In una recente intervista con IGN, Josef Fares, la mente dietro Brothers: A Tale of Two Sons, A Way Out, di cui scrivemmo la recensione, e It Takes Two, esprime le sue opinioni sui nomi delle nuove console Microsoft, sull’approccio alla creazione dei titoli cooperativi e sul proseguire imperterriti verso i propri sogni, a prescindere dagli ostacoli.
La maggior parte delle persone ha conosciuto Josef Fares attraverso il suo intervento ai The Game Awards del 2017, in occasione della presentazione del suo secondo gioco, A Way Out, un titolo incentrato completamente sulla cooperazione tra due giocatori. A tal punto che sin dal lancio l’acquisto di una copia garantiva il download per una seconda, garantendo così a due amici di giocare senza dover effettuare la doppia spesa.
Il suo “f****** gli Oscar” è immediatamente diventato virale nella community videoludica, simbolo di una persona senza peli sulla lingua, pronta ad urlare al mondo la sua passione e il suo rispetto per questo medium. A Way Out seguiva la strada già tracciata da Fares con il suo primo lavoro, Brothers: A Tale of Two Sons, un’avventura dove un singolo giocatore o un paio di amici controllano due fratelli in viaggio, alla ricerca di una cura per il padre malato.
Il nucleo del concetto di interazione per il game designer rimane la possibilità di condividere un’esperienza, di vivere i momenti in compagnia, di formare relazioni o perchè no, di metterle in discussione. Proprio per questo motivo Hazelight Studios ha reso disponibile per entrambi i giochi una modalità cooperativa locale, con l’intenzione di favorire l’esperienza dal vivo. Insomma, un rapporto che pone l’interazione tra persone di fronte all’esperienza singleplayer, pur non tralasciando trame coinvolgenti e ricche di significato.
La sua ultima fatica è ora It Takes Two, che come è facile evincere dal titolo, proseguirà nel percorso verso titoli cooperativi sempre più evoluti, pur variando drasticamente meccaniche e stile di gioco affrontati.
Stava oramai diventando necessario trovare una definizione calzante per lavori che così tanto sfuggono alle classificazioni canoniche, ed un nome ha cominciato a delinearsi per identificarli nel panorama videoludico: avventure narrative co-op. Pare forse una denominazione banale, in fondo abbiamo giocato una miriade di avventure assieme ad amici, parenti o fidanzate. Ma è proprio la ricerca di una categoria che definisca con precisione le creazioni del team di Fares a mostrarne con chiarezza le peculiarità. La cooperativa non è una possibilità, ma lo scopo ultimo.
Nell’intervista con il giornalista Joe Skrebels di IGN, lo sviluppatore esprime con forza la sua intenzione nel diventare, assieme al suo studio, i migliori al mondo in questo genere. Per poi fermarsi e ammettere che effettivamente i migliori al mondo lo sono già, essendo fondamentalmente gli unici che se ne occupano.
Elemento centrale di questa unicità è proprio Fares, così testardamente convinto del potenziale inespresso di questa forma d’interazione, da remare contro ogni possibile pronostico per portare a termine i suoi progetti.
Nemmeno EA, che ha prodotto A Way Out, credeva nel successo dell’operazione, per poi venire grandiosamente smentita dalle 3,5 milioni di copie vendute. Tenendo a mente la possibilità di condividere l’acquisto con un amico, ricorda Fares, è quindi probabile che i giocatori che hanno vissuto l’avventura siano vicini ai 7 milioni. Un successo inaspettato che ricorda in parte le vicende eroiche di alcuni romanzi o film, dove nonostante il fato avverso il protagonista, alla fine di tutto, ha la meglio.
La valanga di vendite avrebbe potenzialmente potuto far vacillare lo studio, magari spronandolo a cercare una fetta di mercato più mainstream, sfruttando l’ondata di successo. Ma a quanto pare ciò non è fortunatamente accaduto, con It Takes Two che vedrà protagonista una coppia sull’orlo del divorzio, che ritrovandosi catapultata in un mondo magico e sconosciuto, dovrà fare affidamento sulle forze di marito e moglie per uscirne, poichè il libro magico che narra le vicende, interpretato nientemeno che da Fares, spiega che solo ritrovandosi avranno una possibilità di farcela.
Durante l’intervista afferma, con quello spirito sognatore di cui a volte sentiamo un po’ la mancanza in quest’industria, di come la base sia sempre quella di creare seguendo i propri sogni e ideali, sottolineando come probabilmente là fuori esistano altri studi potenzialmente interessati ad esplorare questo genere, ma che forse rimangono bloccati dalla paura di conseguenze negative.
Parlando del proprio team di sviluppo è fiero di ricordare come per A Way Out il personale fosse composto prevalentemente da stagisti e sviluppatori alle prime armi, che però ora sono cresciuti e sfrutteranno l’esperienza acquisita per fornire avventure con un livello qualitativo sempre maggiore. Il numero di meccaniche presenti in It Takes Two, ad esempio, sarà a suo dire così elevato da potergli far vincere il premio per “il maggior numero di differenti meccaniche presenti in un gioco“. Di certo sono ottime premesse. Nonostante un hype eccessivo possa trasformarsi in un’arma a doppio taglio quando viene mal gestito, sembra impossibile arginare il fiume in piena di entusiasmo proveniente da quest’uomo, che prima di essere sviluppatore fu regista, al punto da ricevere alcuni riconoscimenti per i propri film.
L’obiettivo con la nuova produzione è quello di “analizzare da vicino il rapporto tra meccaniche di gioco e narrazione” per un approfondimento paritario di entrambi gli aspetti, che camminando mano nella mano non possono che ricalcare il tema centrale dei lavori di Hazelight Studios.
Accennando brevemente al futuro, discute del suo prossimo progetto, ad oggi ancora non svelato, descrivendolo come un qualcosa di completamente diverso da ciò che siamo stati abituati a vivere finora.
It Takes Two arriverà il prossimo 26 marzo su Playstation 4 e 5, Xbox One, Xbox serie X e S e PC. In riferimento allo sviluppo del progetto e ricollegandosi al concetto di gameplay e narrativa fusi e in evoluzione, Skrebels pone la domanda se ciò sia strettamente legato alla potenza offerta dalle tecnologie a disposizione, quindi all’aver sviluppato il titolo per la generazione attuale e non direttamente per la successiva.
Fares sottolinea come la sua attenzione sia rivolta ai giochi piuttosto che alle console, e di come il suo nuovo lavoro sarà sì più bello da vedere su Playstation 5 ed Xbox serie X e S, ma che non vi è stato il tempo di ottimizzarlo in modo specifico.
Nasce quindi una digressione spontanea sul processo delle assegnazioni dei nomi delle console Microsoft: “Che co di confusione con questo nome. Cosa co ha in mente Microsoft? Hanno perso la testa. Che co succede? Series S, X, Max, Next. Come diavolo fai? Andiamo, è follia. Chiamala Microsoft Box e buona lì. Non so, è un co di casino. Fidati, secondo me pure loro le confondono, nei loro uffici. Cos’è questa? X, S. boh, che c***o“.
Uno sfogo sincero che esprime la personalità più che colorata di Josef Fares, di cui non vediamo l’ora di scoprire i progetti in cantiere.
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