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Attacco al Potere 3 – Il noioso abisso della mediocrità

Attacco al Potere si inserisce in quell’insieme di serie essenzialmente prive di una vera e propria dimensione al di fuori di una lineare e banale deriva d’azione. Nonostante quindi i film che vedono centrale il personaggio di Mike Banning vengano puntualmente stroncati dalla critica ad ogni iterazione, inspiegabilmente vantano alla fine della fiera sempre un grande successo di pubblico ed incassi, motivo questo per cui ci troviamo qui a recensire un terzo capitolo, Attacco al Potere 3- Angel Has Fallen.

Vorremmo potervi dire di averlo apprezzato, di esserci addirittura divertiti durante la proiezione stampa, ma mentiremmo. Attacco al Potere 3 è purtroppo il frutto meno riuscito – per usare un eufemismo – di questa trilogia, due ore sul confine (spesso superato) dell’imbarazzante ed avvolte da un ritmo nemmeno in grado di intrattenere. Il peccato più grave, tuttavia, sta in un lungometraggio che finisce spesso per prendersi sul serio, lontano anni luce dalla consapevolezza della sua natura densa all’inverosimile di cliché, forzature paradossali e caratterizzazioni più appropriate ad un’operazione caricaturale. Lungi da noi capire come il rating degli utenti di Rotten Tomatoes per il film (già arrivato nelle sale americane) tocchi la vetta del 94%, se però Venom – che vanta un irrazionale 80% –  è il metro di paragone, c’è poco da stupirci.


Dopo aver messo al sicuro quindi solo un paio di volte il mondo, il Mike Banning di Gerard Butler è di nuovo solo contro tutti per salvare il presidente e l’integrità nazione. Cosa può andare storto? Tutto. Scopritene di più nella nostra recensione. Attacco al Potere 3 arriva nei cinema italiani da oggi 28 agosto.


La premessa è più meno la solita. Un agente viene accusato falsamente di tradimento, si trova il sistema avverso e punta dunque ad uccidere esecutore e mandante del complotto, come da regola piazzato agli estremi vertici del governo statunitense. Nel mezzo, un condimento ben conosciuto, le solite organizzazioni di sicurezza paramilitare votate esclusivamente ad interessi di parte ed infiltrate nella burocrazia per trarne vantaggio.

La sceneggiatura appare come un’accozzaglia di luoghi comuni del genere

L’agente in questo caso è Mike Banning (Gerard Butler), l’accusa di tradimento è quella di tentato omicidio del Presidente (l’Alan Trumbull di Morgan Freeman) e l’intreccio è di base quindi quello di un qualsiasi action privo di particolari sfaccettature e puntato tutto su pallottole, cazzotti ed esplosioni. In tutto questo, l’uomo al vertice che tira le fila è ovviamente prevedibile già dopo i primi dieci minuti, l’esecutore invece fin dalle primissime sequenze; la sceneggiatura, oltremodo annacquata da un minutaggio ingiustificato, appare infine come un’accozzaglia di luoghi comuni del genere e vive di una propulsione nemmeno adatta a divertire ed intrattenere nella sua semplicità.

Sebbene la stessa scrittura si renda spesso conto di ballare sul  filo dell’imbarazzante, il procedere degli eventi mantiene per la maggior parte una certa ridicola serietà, matrice di momenti comici probabilmente involontari che paradossalmente risultano le parentesi maggiormente vivibili del film. Se da una parte di conseguenza l’intreccio di Angel Has Fallen mantiene perennemente un carattere insipido impossibile da digerire, dall’altra si sviluppa letteralmente da un concept folle in partenza, condannando l’intera operazione a morte certa anche prima dello scempio compiuto in due mediocri ore.

Attacco al Potere 3 parte da un concept folle in partenza

Il cortocircuito sta in un Mike Banning che, già salvatore degli Stati Uniti nel primo capitolo e del mondo nel secondo, viene con scioltezza accusato e ricercato esclusivamente sulla base di essere l’unico sopravvissuto all’attentato di cui sopra, senza grossi giri di parole o ripensamenti da parte di FBI e staff del Presidente. Tirando questa sottile corda di violino fino alla rottura, Attacco al Potere 3 prova a rendere più complesse – fallendo –  le motivazioni di questa caccia all’uomo, in primis poggiandosi ad un Banning ormai invecchiato e logorato (come lo stesso Butler nell’interpretarlo, diremmo), ma davvero lontano dalla dignità di un qualsiasi eroe action che abbiamo imparato a conoscere negli anni (si pensi all’Ethan Hunt di Mission: Impossible, ad esempio).

Nel panorama del carattere di Banning si va ad inserire con forza Nick Nolte (al tramonto della propria carriera, si intende) come Clay Banning, padre dell’agente pluridecorato, fuggito dalla famiglia in seguito ad un esaurimento nervoso dovuto alla partecipazione nel conflitto del Vietnam – e qui trova pure posto una scontata riflessione anti-bellica, superficiale come tutto il sostrato tematico del film. Nick Nolte si affianca quindi a Gerard Butler come una sorta di folle rilievo comico, sul classico leitmotiv della ricostruzione del legame paterno, inserito qui a forza solo nel pallido tentativo di dare tridimensionalità ad un arco narrativo nutrito di piattume.

Essendo un concentrato d’azione si potrebbe anche pensare che sia tollerabile e scontata una critica debolezza negli snodi di sceneggiatura, specie in vista magari di sequenze adrenaliniche ben dirette ed esaltanti. Ebbene no, perché la regia di Ric Roman Waugh (da chi scrive mai prima intercettato), è una melassa confusionaria e priva di vera coesione, con scontri poco leggibili e frammentati, tra la nausea e la ripetitività di primi piani non necessari, accelerazioni/slow motion fuori luogo e ritmo incostante su coreografie inesistenti. Attacco al Potere 3 nelle sue scene più concitate non intrattiene, annoia, a tratti tortura sulla poltrona, in un climax che arriva ad uno scontro finale ridondante e cornice perfetta della consistenza amatoriale della direzione di Ric Roman Waugh. Il momento della fuga in camion è forse la frazione peggiore a riguardo del film, ma questa terza iterazione è tristemente ricca di aberrazioni tecniche su cui avremmo preferito glissare.


In conclusione, Attacco al Potere 3 è senza la minima ombra ombra di dubbio il capitolo peggiore di una serie già per la maggior parte avvolta dalla mediocrità. Gerard Butler arriva sullo schermo affiancato da un anziano Nick Nolte, e tra i due si incasella il binomio della base più introspettiva del film, che appunto si prende eccessivamente sul serio laddove avrebbe probabilmente dovuto giocare sulla superficialità della propria scrittura. Le vette cringe del film si riassumono in una scena post-credit senza alcun senso, che firma con successo la dimensione imbarazzante racchiusa da Angel Has Fallen.


Simone Di Gregorio

Da sempre cinefilo e videogiocatore, passioni di una vita e forza propulsiva nel quotidiano. Scrivo, guardo e gioco, ormai da 2 anni a questa parte. Responsabile sezione cinema.

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