Rilanciare e modernizzare una grande storia, percorrere la strada del ricordo e della nostalgia, attraversare generazioni nel tentativo di proporre un’opera dal sapore agrodolce, che sappia essere apprezzata tanto da appassionati quanto dai (piccoli) neofiti; questo in estrema sintesi l’obiettivo ideale di ogni remake, cinematografico e non. Certo, quando si tratta di andare ad interpretare una piccola perla come Dumbo, entrata a far parte addirittura del nostro retaggio culturale (anche più di molti altri classici Disney), la posta in gioco si fa decisamente cospicua, e il pericolo della delusione si nasconde sempre dietro l’angolo del successo.
Ad assumersi la responsabilità di portare ancora una volta sul grande schermo l’iconico elefantino è qui Tim Burton, il visionario regista de Big Fish e La Fabbrica di Cioccolato che proprio su una pellicola Disney (Alice in Wonderland) ha affrontato uno dei fallimenti più gravi ed universalmente riconosciuti. A farsi strada tra lo stile eccentrico tipico di Burton e un cast d’eccezione è poi una sceneggiatura che deve rispondere dell’esigua durata (e semplicità) del materiale originale, nel tentativo di mantenere intatto lo spirito del 1941 ed allo stesso tempo dargli quel corpo e quella struttura che mai aveva in fin dei conti ricevuto.
Il risultato – vi anticipiamo – ci ha nel complesso convinto, seppur lasciandoci con diverse perplessità e riserve. Se siete dunque interessati a sapere nel dettaglio cosa pensiamo di Dumbo, non vi resta che continuare nella lettura della nostra recensione! Prima di iniziare, vi ricordiamo che Dumbo arriverà nelle sale italiane da giovedì 28 marzo, distribuito da The Walt Disney Company.
Come prevedibile, Dumbo parte dalle stesse ed identiche basi e premesse del mediometraggio animato del ’41, per evolversi invece in intreccio e personaggi completamente inediti, limitandosi – dopo la prima mezz’ora – a sparuti e limitati riferimenti al materiale di ispirazione. Laddove infatti il circo di Max Medici (Danny DeVito) rispecchia quasi alla perfezione la parabola del piccolo elefante Dumbo – da reietto a “celebrità” -, il resto del film si apre su fronti del tutto inesplorati, volti ad arricchire l’enorme parentesi morale con sfaccettature in primis relative all’animalismo, in secondo luogo ad una critica monocromatica della cupidigia umana.
Il film scorre principalmente su binari narrativi inediti
In questa ottica si incastrano quindi le nuove vicende della stravagante Dreamland, il parco in cui finiranno la compagnia Medici e l’elefantino in seguito al miracoloso volo di quest’ultimo, ma anche quelle dell’arco narrativo di Holt Farrier (Colin Farrell) e i suoi due bambini, i quali – nonostante l’abbondante minutaggio – rimangono costantemente stereotipati e poco incisivi nelle varie dinamiche; questo accade sia a causa di una caratterizzazione piuttosto maldestra, sia per una serie di interpretazioni estremamente scialbe da parte dell’intero trio di attori. Al contrario, Danny De Vito riesce appieno a dare forma al suo ruolo caricaturale di bonario direttore circense, mentre Michael Keaton, nel ruolo di V. A. Vandevere, esprime con eccellente fare istrionico quella malata aspirazione al successo e quella psicologia macchiettistica che sembra direttamente mutuata dai più stilizzati personaggi Disney. Mosca bianca nel teatro delle luci e dello sfarzo della opulenta e bartoniana Dreamland è invece l’Eva Green che veste i panni di Colette Marchant, su cui l’attrice francese riversa – come di norma – un fascino fuori scala di cui è semplicemente impossibile non essere assuefatti; merito pure di un percorso di evoluzione a sufficienza stratificato e tangibile, dalla prima fulminante comparsa a schermo fino al vertice risolutivo dell’epilogo.
I riflettori sono tutti puntati sul piccolo Dumbo
Tra la variegata gamma di eventi e personaggi i riflettori sono però tutti puntati sul piccolo Dumbo, adorabile nella sua manifesta innocenza e nel bonario candore attraverso cui filtra la cinica e materialista realtà che gli si pone davanti, dapprima come emarginato, dappoi come prigioniero e fenomeno circense. Lo sforzo fatto da Burton nel sottolineare le emozioni dell’adorabile elefantino – reso ed animato in computer grafica – ci porta all’immedesimazione con una esistenza pura ed intatta, la quale non arriva – come potreste pensare – al massimo compimento con la sequenza di Bimbo Mio (che ritorna cantata), ma nella stupenda rappresentazione circense dei celeberrimi ed onirici elefanti rosa – di cui vi ricorderete dal Dumbo del ’41 -, probabilmente il momento migliore del film.
Tuttavia, – al netto delle parole di plauso finora spese – bisogna ammettere la ovvia disparità di contenuto tra il materiale originale e questo remake, che viene in verità costruito con protesi di sceneggiatura spesso non efficaci, poco ispirate ed artificiose, incredibili e visionarie su un piano artistico, ma scontate ed inadatte ad assorbire anche il pubblico adulto. Come accennato sopra, l’ingombrante sviluppo della famiglia Farrier risulta un mero (e a tratti insopportabile) strumento di coesione diegetica, così come alcune frazioni delle vicende di Dreamland, rendendo palese quanto sia stato in fin dei conti forzato e complesso raddoppiare la durata esigua del classico Disney ormai vicino agli ottant’anni.
Se dunque – per la quasi totalità – Dumbo si conferma un prodotto adatto alla fascia di giovani e giovanissimi e molto meno apprezzabile da un pubblico critico e maturo, acquisisce invece uno spessore invidiabile attorno alle sue splendide coordinate visive e grafiche, vantando un’esplosione eclettica di stile e colori che grida il nome di Burton in ogni frame. Non solo nel cuore pulsante della direzione artistica di Dreamland o del circo Medici, la declinazione burtoniana sfonda più volte lo schermo percorrendo anche piani citazionisti e autoreferenziali, a partire proprio dalla reunion tra De Vito e Keaton (direttamente dal Batman di Burton dell ‘89) e passando per rinomati omaggi cinefili (Spielberg e Jurassic Park, ad esempio), fino ad arrivare ad una direzione piuttosto chiara e godibile, specie negli ultimi esplosivi venti minuti. Almeno da un punto di vista estetico, Dumbo costituisce insomma un ottimo compromesso tra i composti immaginari Disney e quell‘entusiasmo pop e peculiare tipico di Burton nella costruzione degli scenari, affidati per la maggior parte ad un massiccio utilizzo di computer grafica (ben lontana dalla perfezione).
Concludendo, Dumbo è un remake purtroppo riuscito solo a metà. Rigoglioso nella ripresentazione del concept del ’41, onirico e sorprendente nelle atmosfere burtoniane, a dir poco problematico nel sovrapporre una sceneggiatura solo nelle intenzioni più ricca e complessa dell’originale. Parliamo quindi di un film palesemente rivolto ad una fascia di giovanissimi, poco adatto agli adulti, che per l’appunto troveranno l’intreccio intriso di banalità e tematiche ridondanti, al netto tuttavia di una curatissima visione eterogenea del mondo circense, vero fiore all’occhiello dell’intera produzione. La forma in definitiva non regge il passo con un latitante contenuto, imbrigliato dalle redini di una scrittura fin troppo poco coraggiosa.
Se state cercando un po' di sollievo dallo stress quotidiano e volete immergervi in mondi…
Ho sempre visto la pizza come mezzo di aggregazione e condivisione, oltre il piacere estremo…
Sono passati tre anni e mezzo dall'uscita della grandiosa Parte II di The Last of…
Le festività natalizie sono il momento perfetto per scartare regali e rilassarsi con una sessione…
Kojima Productions ha confermato che l'adattamento cinematografico live-action del gioco Death Stranding dello studio è…
The Game Awards 2023 ha svelato una lista di vincitori molto interessante, con Alan Wake…
View Comments
Non so esattamente perché...ma ho pianto dall'inizio alla fine.🤣