Cinema & Serie TV

Good Omens, apocalisse all’ora del tè

Neil Gaiman, più che uno scrittore un alchimista, capace di trasformare la carta in immagini, come solo il potere della mente umana riesce a fare. Dopo il successo di American Gods il miracolo si ripete con Good Omens, primo romanzo dell’autore britannico datato 1990 ,che sarebbe dovuto diventare pellicola già qualche anno fa con Terry Gilliam in cabina di regia (e sbavo al pensiero di cosa sarebbe potuto venirne fuori), oggi sublimato direttamente in formato digitale su Amazon Prime Video, diviso in sei comode puntate. Il risultato è una mini-serie scintillante, che reinterpreta per l’ennesima volta il tema della fine del mondo senza farlo pesare, grazie a una scrittura eccellente, personaggi fantastici, ironici, grotteschi e una vena allegorica carnevalesca, capace di interpretare la Bibbia con l’irresistibile verve umoristica inglese.

È la storia di uno scambio di neonati nelle culle, un gioco delle tre carte che fa sparire il figlio del diavolo alla vista della burocrazia ultraterrena. Colpa della provvidenziale incompetenza di Azraphel e Crawley, angelo e demone (gli eccezionali Michael Sheen e David Tennant), amici dalla genesi a oggi, impegnati a sventare una guerra inevitabile alle spalle dei propri schieramenti per difendere una Terra (e relativi piaceri) a cui ormai sono troppo affezionati. Un intreccio occulto che si aggroviglia tra epoche, personaggi, antenati e discendenti, lasciando tracciare a loro i confini tra bene e male, quando si scoprirà che sul piano celestiale questa distinzione è questione di pura apparenza. Personalmente non ho mai letto le opere letterarie di Gaiman, ma nella piccante comicità della sceneggiatura, sempre sospesa tra l’anima grottesca e quella epica e drammatica tipica dell’Armageddon, così come nell’interconnessione olistica degli eventi, che comprendono casualità, scelte stupide e previsioni infallibili scritte centinaia di anni prima, mi ha ricordato tantissimo il Dirk Gently di Douglas Adams, 1987.

C’è quel gusto per l’assurdo assolutamente irresistibile, dove ogni sentiero narrativo porta al compimento del disegno divino, osservato da un Dio onnisciente

C’è quel gusto per l’assurdo assolutamente irresistibile, dove ogni sentiero narrativo porta al compimento del disegno divino, osservato da un Dio onnisciente che prende forma nella voce di Frances McDormand. Fantastica. Attraverso i suoi personaggi si compie una parabola dissacrante, satirica, che culmina probabilmente con la prima parte della terza puntata, dove il regista Douglas Mackinnon ripercorre “alla Monty Python”, attraverso gli occhi di Azraphel e Crawley, i più importanti avvenimenti della storia umana, dal diluvio universale alla crocifissione di Gesù Cristo, dalla rivoluzione francese alla Seconda Guerra Mondiale, non in modo estemporaneo, come fossero semplici sketch irriverenti, bensì organico. È un’opera di alta qualità produttiva che gioca con cliché ancestrali, tanto spirituali quanto cinematografici, con disinvoltura, senza curarsi del possibile effetto deja vu, semplicemente perché lo fa bene, con la coscienza pulita, inducendoci in tentazione.

Si viene subito ammanettati sentimentalmente agli interpreti, ai due protagonisti ovviamente, ma anche ad Anathema, occultista sbocciata dall’albero genealogico di quell’Agnes Nutter autrice de “Le belle e accurate profezie di Agnes Nutter” (titolo originale del libro di cui la serie è trasposizione, n.d.r.), finita bruciata – ma in modo spettacolare – sul rogo per mano di Adulterio Pulsifer, noto cacciatore di streghe zimbello dell’anagrafe; o ancora al giovane Adam Young, inconsapevole anticristo sempre accompagnato da tre fedeli amici (e un Cerbero), quartetto destinato ad affrontarne un altro, quello dei cavalieri dell’apocalisse, da tempo immemore metafora dell’autodistruzione umana. È un orologio che muove costantemente le proprie lancette senza saltare un secondo, spingendo a divorare le puntate una dopo l’altra, come un unico lungometraggio di sei ore circa. Forse, alla fine, l’unico che ne esce un po’ acciaccato è proprio la prole demoniaca, che pare più in balia del colpo di scena finale piuttosto che padrone della scena. Colpa probabilmente di un copione che non l’ha mai approfondito abbastanza a livello psicologico. Alla fine però tutti riescono a reggersi a vicenda, giocando da squadra, con la chicca di un Jon Hamm/Arcangelo Gabriele in versione guest star, tutto sorrisi tiratissimi, inquietanti e la solita enorme presenza scenica.

Ovviamente fatevi un favore e preferite i sottotitoli al doppiaggio, perché la recitazione, con quegli accenti meravigliosi, giochi di parole e battute, potrebbe perdere drammaticamente mordente, non per la scarsa qualità dei nostri doppiatori, ma proprio per l’atmosfera che riescono a generare gli originali. Pure a livello meramente estetico Good Omens è ricco, vivace, colorato. Paradiso e inferno diventano un grattacielo che si sviluppa tanto in altezza quanto sottoterra, luogo di intrighi politici e misteri che vanno oltre l’umana comprensione. Si respira un’aria squisitamente artificiale, tanto nella messinscena quanto negli effetti speciali, vagamente e volutamente vintage, perfettamente in linea con l’umore dell’opera e con altre serie sovrannaturali di stampo britannico, alla Doctor Who (oltretutto Tennant fu decimo “dottore” tra il 2006 e il 2010).

Una serie che insomma si scioglie in bocca, lasciando un retrogusto dolce, il buonumore del tempo speso bene, esaltando ogni puntata con un tratto distintivo, senza toppe o momenti piatti. Magari non è un capolavoro assoluto, ha i suoi difettucci qua e là, ogni tanto tende a ripetersi, ma sono sequenze che si perdono in quanto c’è di buono. È un gran momento per una pausa tè, Prime Video acceso e l’Armageddon là fuori. Perfetto.

Stefano Calzati

Petrolhead di The Games Machine, cummenda di Gameromancer e tuttofare per il Tanzen. Scrivere di videogiochi per me è un atto d'amore dove il fattore emotivo batte quello tecnico.

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