Al netto della ostentata semplicità e linearità, bisogna ammettere che franchise come quello di John Wick sono più che necessari all’interno del panorama del cinema moderno. Azione consapevole della sua portata, gettata su schermo con violenza ed elegante simmetria, non contaminata da eccessive sfumature drammatiche e sempre attenta a non scendere mai dal ritmo concitato di montagne russe inarrestabile. La natura volutamente provocatoria e priva di chiaroscuri della saga diretta da Chad Stahelski è un qualcosa che in partenza o si ama o si odia. Adorate abbandonarvi alle immagini e godervi una carrellata di sangue, distruzione e splendide coreografie? John Wick 3 – Parabellum è il film che fa per voi. In caso contrario potete anche abbassare i forconi; John Wick 3 – come i precedenti – capovolge per principio quasi ogni dettame convenzionale di caratterizzazione ed approfondimento dell’intreccio, sfruttandoli invece (come giusto che sia in questo caso) per giustificare scontri deliranti e a tratti fuori di testa, sia nell’elaborazione dei concept, sia più in generale nella messa in scena e nella costruzione funzionale delle scenografie.
Se non l’aveste in ogni caso capito, l’ineluttabile uomo nero di Keanu Reeves sta finalmente per tornare nelle sale di tutto il mondo, ribadendo quell’azione fuori scala che tanto abbiamo imparato ad amare dalla celebre pellicola apripista del 2014. Prima di continuare però con la nostra recensione, vi ricordiamo per l’appunto che John Wick 3 – Parabellum arriverà nei cinema italiani dal 16 maggio, distribuito da 01 Distribution; preparate le armi!
Si vis pacem, para bellum. Arrivato ad un punto di non ritorno e essendo ormai ricercato dal mondo criminale dell’intero globo, preparare una guerra potrebbe davvero essere l’unico percorso rimasto a John Wick per trovare la tanto ricercata pace. Partendo difatti in medias res dal concitato finale del secondo capitolo, Parabellum si apre con Wick in fuga attraverso New York per scampare alla immensa taglia su di lui posta dopo aver ucciso sul territorio neutrale dell’Hotel Continental il camorrista Santino d’Antonio (al tempo Riccardo Scamarcio). Posto il conto alla rovescia prima della partenza della caccia all’uomo, la sequenza di apertura del film si sviluppa su un climax ripido, accelerato e di grande suggestione, nel tentativo (riuscito) di instillare coinvolgimento e tensione attraverso un montaggio serrato e una regia quasi rituale, concentrata sul dettaglio e sullo scorrere del tempo. Lanci di coltelli, confronti all’arma bianca, libri utilizzati per spezzare mascelle, i primi venti minuti sono quanto di meglio si potesse ottenere da una produzione così audace e spericolata. Vedere per credere.
Il film può risolversi in più di un attimo di stanca e monotonia
Nonostante quindi un prologo dalla cadenza di fuoco nucleare, John Wick 3 continua in realtà imperterrito nel mantenere perennemente alto il ritmo dell’intreccio, facendo di piombo e pallottole la sempreverde portata principale; 131 minuti in cui con fatica si riesce a prendere fiato, travolti come si è dal frastuono di continue schermaglie a fuoco volte a folgorare ed assuefare le retine dello spettatore. Se c’è però un difetto da trovare nel progredire di questo terzo episodio, questo è proprio da cercare in una posta in gioco che – appena terminato il crescendo dell’incipit – difficilmente viene ridimensionata e fatta di nuovo con coraggio crescere. Il risultato (data per scontata una tamarraggine inossidabile) può di conseguenza risolversi in più di un attimo di stanca e monotonia, evidenziando a chiare linee da una parte la palese necessità di sorprendere del film, dall’altra una certa mancanza di idee e coerenza all’interno della risicata narrativa e dell’appena accennato immaginario.
Incastonato in momenti di diegesi forzata – al limite della parodia -, John Wick 3 prova timidamente ad approfondire le radici del protagonista di Keanu Reeves e la struttura della società criminale da lui affrontata (la Gran Tavola), finendo però per mostrare il fianco a soluzioni fin troppo pacchiane persino se viste nell’ottica funzionale della mera progressione del racconto. Molti spunti, suggerimenti e comprimari vengono lanciati in scrittura e lasciati morire senza ulteriore spiegazione, portandoci alla fin fine a percepire sensibilmente un minutaggio totale così corposo (e a posteriori ingiustificato). Per capirci, il problema di tutto ciò non sta in assoluto nella qualità di una sceneggiatura da sempre metacinematografica ed (auto)ironica verso gli standard di genere (basti pensare al movente iniziale di Wick), bensì nella gestione delle tante introduzioni perlopiù superflue e invasive del mondo di finzione sviluppato. L’esempio virtuoso di equilibrio sarebbe Mission:Impossible, ma ci rendiamo conto che la saga di Stahelski non punti – per ora – alla stessa dimensione ciclopica ed epica delle ultime clamorose opere di McQuarrie, rendendo dunque inutile addirittura un primo confronto; in definitiva, parliamo di due valori produttivi allo stato attuale ben distanti l’uno dall’altro.
Parabellum lascia spazio ad un intrattenimento godibile, soprattutto grazie alla presenza di personaggi coscienti di essere caricature
Messi da parte dubbi e considerazioni sopracitati, bisogna ammettere che il tentativo di eclettismo di Parabellum lascia in realtà spazio ad un intrattenimento senza dubbio godibile, soprattutto grazie alla presenza di personaggi coscienti di essere caricature e per questo catarticamente esplosivi al momento richiesto. Tra le nuove aggiunte, troviamo la splendida Halle Barry nei panni della carismatica cinofila Sofia, l’inarrestabile emissaria (Giudicatrice) della Gran Tavola interpretata da Asia Kate Dillon e infine Jerome Flynn (Bronn de Il Trono di Spade) come l’esuberante e anche lui appena accennato Berrada. Tra le vecchie conoscenze tornano invece il caloroso e convincente Lawrence Fishburne – che qui evoca in diverse occasioni l’approccio genuinamente anarchico del Morpheus di Matrix – e l’istrionico Ian McShane, il quale riprende le vesti del potente Winston, direttore dell’Hotel Continental di New York. Detto questo, inutile sottolineare come comunque l’intera struttura al cardiopalma del film si regga sulle solide spalle di Keanu Reeves, monumentale nell’esercizio di stili di combattimento specifici e praticamente perfetto appena calato nell’identità rabbiosa (e a tratti paradossale nei suoi eccessi) del temibile John Wick.
Laddove dunque Reeves costituisce il cuore furioso e brutale della saga, non abbiamo però dubbi nell’affidare alle preziose mani di Chad Stahelski (regia) e Dan Laustsen (fotografia) la mente e l’anima della produzione. Le sequenze d’azione guidate dal primo scorrono infatti con un sostrato di complessità e continuità mai tangente ai primi due capitoli, grazie in primis a stacchi molto meno presenti (e il conseguente insorgere comune di catalizzanti piani sequenza), in secondo luogo per merito di un evidente e sensibile aumento di risorse in grado di nutrire le aspirazioni sconfinate nella costruzione della scena. Laustsen invece, ribadendo quanto di buono fatto con il secondo episodio e con The Shape of Water, immerge i combattenti in immagini ricche di giochi di luce e artifici virtuosi, con l’effetto di integrare la percezione della pellicola all’interno di una palette cromatica ben definita nella sua apprezzabile varietà. Su questo fronte John Wick 3 è diretta evoluzione del precedente film, di cui costituisce a tutti gli effetti la riflessione simmetrica di tono e struttura.
In definitiva, John Wick 3 – Parabellum si configura come una soluzione concentrata di azione al suo stato più puro ed essenziale, guidata da una tecnica tout court sopraffina che fonda le sue basi su coreografie molto elaborate e mai scontate. La debolezza di questo terzo capitolo vive di contro tutta nell’impossibilità di sorprendere il pubblico con improvvisi cambi di ritmo e climax, che – eccetto per i primi venti minuti – fanno fatica ad imporsi e decollare. L’esuberanza di John Wick sorprende dunque molto meno rispetto al passato nel suo perenne osare e forzare la sospensione di incredulità, rifugiandosi tra l’altro in derive narrative che mostrano in conclusione il fianco al difetto di sostanza tipico di molti lungometraggi action. Godibile, divertente ed ambizioso: Parabellum sintetizza l’essenza della serie e ne mostra tuttavia ogni sottile debolezza. Quello che ci aspettavamo e molto di più, insomma, ma non possiamo negare come la serie sul lungo periodo abbia cominciato a mostrare le tipiche incrinature di una preoccupante stagnazione creativa, la quale tutto sommato viene soffocata ed anestetizzata dall’instancabile costanza nel proporre schermaglie mozzafiato.
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Insomma un bellissimo giro di giostra ma che al terzo capitolo mostra tutti i limiti concettuali della serie. Lo guarderò come gli altri capitoli, per passare due ore di sano divertimento action. Ottima recensione come sempre!
Vabbè dai, non vedo l'ora di gustarmelo al cinema! Grande! Bella recensione!
Dubbio amletico, al cinema avrebbe sicuramente una resa molto più scenografica ma visto il genere e la qualità credo che attenderò l'uscita in home video
Dopo il passo falso del secondo episodio,davvero una mezza delusione,vista anche la pessima interpretazioni degli attori italiani,questo capitolo a saputo rialzare il livello di una saga potente.
Il quarto è già in programma dunque,a presto John amico mio.