Uno degli aspetti più complessi della vita umana è certamente la crescita, sia quella emotiva sia soprattutto quella produttiva. Migliorarsi, sotto un aspetto o un altro, non è mai semplice e rappresenta uno degli ostacoli più soverchianti e spaventosi. Se c’è però qualcosa di ancor più arduo e complesso è senza dubbio un altro aspetto della crescita e dell’evoluzione: confermarsi. Raggiungere un certo livello qualitativo è una sfida in alcuni casi titanica, confermarlo e difenderlo può essere ancora peggio. Ciò si avverte non soltanto nella sfera quotidiana, ma anche in diversi altri ambienti, compreso quello dello spettacolo, che anzi è uno di quelli maggiormente soggetti a tale considerazione. Mantenere alto il livello di uno show non è mai facile, e ciò, ultimamente, è un obiettivo che soltanto in pochi riescono a portare a casa, sudando le proverbiali sette camicie e magari anche qualcuna in più.
Seguendo questo ragionamento, ci siamo affacciati alla terza stagione de Le Avventure di Sabrina con uno stato d’animo fondamentalmente scisso in due parti uguali: da un lato, ovviamente, quella più “fanboy”, desiderosa di rivedere su schermo quel mirabolante show dal sapore anni ’90 che ha tanto saputo far parlar bene di sé nelle prime due stagioni, dall’altro quello più obiettivo, discretamente spaventato nei confronti di quella che a tutti gli effetti è da considerarsi la stagione della consacrazione per la serie.
Dopo esserci catapultati nel nuovo infernale (nel senso stretto della parola) viaggio della bella e rampante signorina Spellman, siamo complessivamente soddisfatti di quanto visto negli otto nuovi episodi, disponibili su Netflix dal prossimo 24 gennaio, seppur onestamente qualcosa non ha funzionato al meglio come in passato.
Wind of change
Ci eravamo lasciati qualche mese fa con una situazione che, nella sua complessità, aveva in qualche modo chiuso l’arco narrativo dedicato alla lotta contro il temibile Signore Oscuro e il suo “braccio destro”, padre Faustus Blackwood (Richard Coyle), senza dimenticare l’ascesa al trono degli inferi portata a compimento con successo dall’abile e strategica Lilith (Michelle Gomez). I tasselli dell’intricato puzzle si erano in qualche modo attaccati tra loro con successo, offrendo un quadro complessivo coerente e capace di chiudere in modo credibile una storia ricca di mistero e colpi di scena.
Un ritmo frenetico ci accompagna verso nuovi orizzonti narrativi
Era lecito, però, a causa del destino a cui era andato incontro il giovane Nicholas Scratch (Gavin Leatherwood), attendersi una stagione incentrata fortemente sul desiderio della protagonista di riprendersi il proprio, al netto di tutti i tradimenti e i collegamenti col male in persona di cui si era resa in qualche modo protagonista. E, ovviamente, tutto questo si palesa molto rapidamente. La vita di Sabrina è nuovamente ad un bivio, e dalle sue azioni scaturiscono le naturali ripercussioni, che si riversano come un fiume in piena non solo sulla sua esistenza, ma anche su quella di chi le sta intorno.
Per salvare il suo presente, la giovane Spellman è costretta a mettere in discussione il suo futuro, abbracciando in via quasi totale e definitiva il suo lato “infernale” e finendo col lasciarsi trasportare in una lunga e nuova lotta verso una dimensione finora del tutto sconosciuta del suo io interiore.
La “nuova” Sabrina è un treno senza freni
Sullo sfondo di una già di per sé molto ingarbugliata storia, che vede anche nel mondo umano diverse altre sottotrame legate al resto della ciurma, si affaccia però un pericolo ben più oscuro e antico, di cui i nostri eroi verranno a conoscenza a piccoli passi. Col passare degli episodi infatti la serie abbraccia una nuova sequela di antagonisti, di cui però non vogliamo anticiparvi assolutamente null’altro, così come per le restanti diramazioni della trama, decisamente interessanti e numerose, da gustare con gli immacolati occhi di chi allo spoiler ha giurato guerra eterna.
Tell me baby… what’s your story?
Se vi abbiamo parlato di “passo indietro” rispetto alle due precedenti stagioni il motivo risiede non tanto nella qualità della direzione artistica in generale o dei vari episodi, tutti molto piacevoli da vedere, bensì nella scrittura in generale, che appare purtroppo spesso confusionaria in alcuni passaggi. Sia chiaro, la coerenza narrativa, figlia di un immaginario costruito con cura durante le prime due stagioni, non viene in alcun modo compromessa, ma questa terza tornata di episodi vive di qualche momento di smarrimento di troppo. Problema generato in particolare da un inizio di stagione in cui gli eventi sembrano rimbalzare in modo eccessivamente veloce da un punto all’altro, rendendo poca giustizia ad alcuni passaggi che avrebbero meritato probabilmente un’attenzione maggiore.
In questa confusione tematica finiscono inevitabilmente coinvolti i personaggi comprimari della serie, schiacciati sia appunto da una fretta eccessiva nello sbrigare più di una pratica, sia e soprattutto dalla scelta in verità poco felice – dal nostro punto di vista – di dare a Sabrina un ruolo non solo da protagonista, ma quasi da figura onnisciente e onnipresente nello show. L’evoluzione della protagonista, raccontata in modo inesorabile ma tutto sommato lento e a piccoli passi, in particolare nella seconda parte della prima stagione, quella che ha segnato la maggiore svolta nella concezione del personaggio, qui risulta a tratti esagerata, violenta, dando vita a momenti eccessivamente scopre le righe, ai limiti della satira e in cui quasi non si riesce a prendere sul serio la stessa figlia di Lucifero in persona.
Sotto alcuni aspetti, la terza stagione rappresenta un piccolo passo indietro per la serie
Ciò però, chiaramente, non è assolutamente un attacco nei confronti di Kiernan Shipka, semplicemente perfetta nei panni di una versione moderna e tremendamente attuale della giovane strega più amata dello spettacolo, ma è più che altro un piccolo ammonimento nei riguardi degli autori. Autori che si sono lasciati eccessivamente trasportare dal desiderio anche comprensibile di mettere la protagonista sempre più al centro degli avvenimenti e di farne sempre di più l’ago della bilancia della produzione.
Questa soluzione finisce per ricadere sulle sorti dei personaggi secondari, sempre più numerosi grazie ad alcuni nuovi innesti sul fronte nemico come su quello degli alleati, il cui spazio risulta sempre meno importante e fin troppo legato alla sopracitata egemonia della protagonista.
Di pari passo alla sua ascesa va la sua rilevanza su ciò che le accade intorno. Risulta così emblematica una delle sequenze del settimo episodio in cui i suoi amici umani (Harvey, Theo e Rosalind) ne invocano il nome a gran voce, avvallando ancora di più la nostra disamina sulla questione. Per fortuna, completando il discorso sul cast, a salvare la situazione ci pensano i nuovi cattivi della situazione, di cui però, come vi dicevamo anche poco fa, non vogliamo anticiparvi nulla. Questi risultano infatti ben caratterizzati e coerenti alla loro natura, rappresentando per Sabrina e più in generale per tutte le streghe della congrega una spina – è il caso di dirlo – nel fianco più dolorosa che mai. Chiosa finale sull’immancabile duo Hilda (Lucy Davis)–Zelda (Miranda Otto): le due attrici risultano ancora una volta semplicemente memorabili e i loro personaggi sempre più predominanti, senza mai però “strafare” come accade nel caso della loro splendida nipote.
Direzione diversa?
Il quadro generale di questa terza stagione de Le Terrificanti Avventure di Sabrina è comunque, nell’insieme, discretamente conservativo. La direzione tecnica e artistica si mantiene sugli standard della serie, nonostante il buon Roberto Aguirre-Sacasa abbia deciso di dare a questa tornata di episodi una vena decisamente più dark. Le situazioni “smorzate” e romanzate, anche quelle più oscure, vengono qui riprodotte con maggior noncuranza della fascia d’età più bassa, dando vita a molti momenti sanguinolenti, quasi splatter, che compensano però una quasi totale assenza di effetto sorpresa.
E, probabilmente, proprio nel desiderio di cambiare qualcosa, la produzione pecca eccessivamente, specie nel finale di stagione, di un picco qualitativo decisamente più basso, in cui le nuove idee sembrano quasi andare a scontrarsi con quanto messo in piedi nell’intera stagione, sbrigando il tutto con un eccessivo bisogno di attingere a ispirazioni esterne fin troppo marcate.
In definitiva comunque ci siamo gustati con grande piacere questi otto episodi della terza stagione dello show targato Netflix, pur dovendo ammettere di aver assaporato un po’ di amaro in bocca per le ragioni che vi abbiamo elencato poco sopra. La speranza per un futuro radioso per la serie in ogni caso è ancora viva e pulsante, perché l’immaginario creato ha un grande potenziale e, laddove sfruttato al meglio, ha la possibilità offrire soluzioni narrative e stilistiche di primo livello, chiaramente contestualizzate al target di pubblico di riferimento.
Tutto questo però a patto che le sequenze musicali, sempre fini a sé stesse, vengano spazzate via dallo show. Ma non parliamo della colonna sonora in sé, sia chiaro: sentir suonare Teenage Dirtbag e My Sharona ci ha fatto schizzare dalla sedia più volte, così come la versione intonata dalla stessa Shipka di “It’s Tricky” dei Run DMC è stato uno dei momenti più simpatici di tutta la serie.
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