Dopo due anni dal debutto la creatura di David Fincher ispirata al libro di Mike Olshaker e John E. Douglas torna sul piccolo schermo stavolta non per limitarsi a studiare i grandi serial killer del secolo scorso ma per catturarne uno. Un drastico cambiamento di registro rispetto al passato con meno interviste e più azione, ma non quella à la The Shield ad armi spianate bensì un lavoro sul campo fatto di osservazioni e profilazione criminale.
La seconda stagione di Mindhunter aumenta il ritmo a dismisura introducendo una moltitudine di elementi nuovi che forse mancavano alla precedente, intricando una trama già di per se articolata e mettendo alla prova la gavetta fatta dai protagonisti durante le prime dieci puntate della serie. Sarà riuscito David Fincher a gettare l’unità di scienze comportamentali dell’FBI nella mischia senza perdere il suo tratto caratteristico?
Avevamo lasciato Ford (Jonathan Groff) e Tench (Holt McCallany) nella loro comfort zone ad intervistare i peggiori serial killer tentando di estorcere ogni informazione utile a creare una prassi nella profilazione criminale, attorniati da un aura di scetticismo dello stesso bureau. Dopo l’incontro con Kemper che chiude la prima stagione Holden ha un attacco di panico credendo che il pluriomicida volesse ucciderlo, quando in realtà si limita ad abbracciarlo. Questo trauma fa realizzare al giovane agente l’idea che Kemper, Speck, Brudos e gli altri non sono solo dati di un fascicolo da analizzare ma assassini a sangue freddo. Questo cambio di prospettiva è alla base delle nuove indagini in corso ad Atlanta dove Holden e Bill affiancati dal detective Jim Barney (Albert Jones) sono mandati dal nuovo capo Ted Gunn ad indagare sul famigerato omicida di bambini, un caso impossibile per i tradizionali metodi investigativi che funge da battesimo del fuoco per la nascente unità dell’FBI. Da un tono psicoanalitico e ragionato simile ad un In Treatment la narrazione passa ad una vera investigazione sul campo fatta ancora di psicologia criminale ma accompagnata da tanta roba da poliziotti.
Interrogare i vicini, organizzare appostamenti con le reclute per mancanza di personale, l’ansia della richiesta di un mandato, lungaggini burocratiche e delicati equilibri politici che mirano al mantenimento dello status quo piuttosto che ad una giustizia libera ed imparziale sono la vera novità di questa stagione. Elementi della realtà che spesso non sono raffigurati in tante serie e che permettono a Mindhunter di restituire una verosimiglianza molto simile a quella che ha caratterizzato The Wire, probabilmente ancora oggi l’esempio di serie poliziesca per eccellenza.
Mindhunter è una serie atipica, non spettacolarizza la violenza e gli aspetti più clamorosi di un omicidio ma mette in scena il lavoro dell’unità di scienze comportamentali senza fronzoli: analizza i dati, li incrocia e ne delinea un profilo. Personaggi come Il figlio di Sam e persino la superstar Charles Manson non sono accompagnati da quell’aura di mostruosità che la narrazione dei media statunitensi ha sempre portato avanti, Fincher non perde occasione di farci notare che non c’è niente di disumano a prescindere in queste persone e che spesso i deliri satanici sono strategie giudiziarie. Quello che rende questi mostri tali sono un’infanzia difficile, vessazioni, frustrazione, pulsioni soffocate alla follia, e l’FBI è alla ricerca di questi elementi.
Ford e Bill non sono novelli Brad Pitt e Morgan Freeman, i detective Sommerset e Mills di Se7en, la prima pellicola poliziesca di Fincher.
Oltre alle investigazioni di Atlanta la narrazione segue altri due filoni: la vita privata di Tench e le interviste curate ora dalla dottoressa Wendy Carr (Anna Torv), di cui viene anche approfondita la storia personale. La vita di Bill non è facile e lo avevamo già visto nella prima stagione a causa delle difficoltà nel crescere un bambino autistico, in questa seconda stagione viene approfondito il rapporto padre-figlio a causa di un evento drammatico che porta Bill a fare profonde riflessioni sulla vera natura di suo figlio Bryan. Possibile che proprio lui che studia i comportamenti criminali abbia in casa un bambino con tendenze omicide? Una scelta narrativa molto interessante che pone delle basi molto promettenti per futuri sviluppi.
Ma la nuova fase operativa non cambia solo l’approccio dei due agenti. I tanti sconvolgimenti nell’FBI e nell’unità portano Wendy ad affrontare in prima persona gli interrogatori in vece di Bill e Holden, cambio di prospettiva che le fa capire dopo aver constatato l’incapacità dell’agente Gregg nell’estrapolare informazioni utili da Elmer Wayne Henley Jr. (vittima, complice e carnefice del serial killer Dean Corll, tristemente famoso per gli omicidi di massa di Houston che fece almeno 28 vittime negli anni ’70) come l’attenersi rigidamente agli schemi preimpostati non sia garanzia di risultati, decidendo così di seguire l’esempio di Holden per cercare altre vie d’accesso verso il subconscio dei killer. Dopo una prima stagione passata perennemente in ufficio la Kerr apre la sua vita privata ad un nuovo amore, permettendo alla serie di fare luce su alcuni aspetti del suo passato mostrandola come personaggio a tutto tondo e non in funzione del dipartimento di scienze comportamentali.
Tra i tanti serial killer che si avvicendano c’è un interessante curiosità che collega Mindhunter di Fincher e C’era una volta a… Hollywood di Tarantino (qui la nostra recensione): Charles Manson. Il leader della setta più famosa d’America, vera e propria star americana, è interpretato in entrambe le produzioni da Damon Harriman che ha rilasciato un’interessante intervista sulla differenza tra i due approcci registici verso Manson.
Volendo esprimere un giudizio sulla seconda stagione di Mindhunter possiamo immaginarla come un altro gradino in un’ipotetica scala che David Fincher sta costruendo per arrivare all’apice del genere crime, godibile già allo stato attuale ma che sappiamo essere la base per qualcosa di grandioso che vedrà il culmine alla fine di un ciclo che probabilmente sarà di cinque stagioni. D’altronde quando hai Fincher alla regia non puoi aspettarti defiances sotto alcun punto di vista, men che meno quello tecnico – la qualità della fotografia è impressionante – ed anche la colonna sonora è eccezionale, non solo per l’immancabile (quanto scontata) Psycho Killer dei Talkin Heads ma anche per tracce d’atmosfera che donano uno sfondo fantastico alle scene, Crime of the Century di Jason Hill su tutte.
Serie come questa non se ne trovano tutti i giorni e Netflix ha fatto decisamente centro ampliando così il proprio catalogo con un prodotto che al momento non annovera nulla di simile fatta eccezione per documentari come Conversazioni con un killer: il caso Ted Bundy. Non aspettatevi casi risolti nel giro di una puntata o intuizioni alla Sherlock Holmes che svelano il mistero in un batter d’occhio, Mindhunter è una serie che cuoce a fuoco lento lo spettatore sviscerando scene del crimine e profili criminali col plus dei casi di cronaca realmente accaduti che rendono il tutto più interessante ed inquietante senza (quasi) mostrare una sola goccia di sangue. Una serie in piena maturazione in cui si avverte la sensazione di miglioramento di puntata in puntata che se apprezzate il genere non avete bisogno di leggere oltre, altrimenti dategli lo stesso una possibilità perchè le atmosfere violente e corrotte della società americana di fine XXI secolo valgono la pena di essere (ri)vissute con gli occhi di Holden Ford.
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Premetto che non ho letto l'intero articolo dato che la serie non m'interessa. Ma è mai possibile che si parli solo ed esclusivamente di serie tv targate Netflix e si ignorano praticamente tutte le migliori produzioni HBO e/o targate Sky?
Beh in realtà se ne parla, o almeno noi lo facciamo (la recensione dell'ottimo The Boys di Amazon Prime Video ne è un esempio). Per il resto è normale che Netflix avendo più rilevanza mediatica riesce ad accentrare su di se l'attenzione, però se noti noi (ma anche altri) parliamo a 360° di quello che più ci colpisce, un altro esempio è Chernobyl recensita dal sottoscritto che è targata HBO, o a breve arriverà Carnival Row che è anch'essa di Amazon :)
Ho trovato recenti mancanze di notevole importanza. Due/tre che mi vengono in mente, così, su due piedi: la seconda splendida stagione di Big Little Lies, la stagione finale di Big Bang Theory e il finale della seconda stagione (davvero eccelso) di Young Sheldon. Comprendo perfettamente che Netflix debba avere il giusto risalto (per disparate ragioni che noi tutti conosciamo) ma è giusto non finire a limitarsi a questo e poco altro; a mio avviso c'è tanta altra roba meritevole la fuori che aspetta solo di essere recensita.
Posso risponderti sul piano personale: essendo una categoria "collaterale" ai videogiochi riusciamo ad occuparci delle produzioni più grandi e di quelle a cui veniamo invitati agli eventi o ci mandano le anteprime, e Netflix è molto attiva da questo punto di vista.
Oltre a questo fattore poi si mettono le possibilità personali dei vari redattori. Io ad esempio ho visto ed apprezzato molto Chernobyl e ne ho scritto (in totale autonomia, senza inviti o anteprime di sorta) o The Boys che ha riscosso un notevole successo e ha catturato l'attenzione di molti in redazione.
BBT o YS probabilmente sono più "di nicchia" tra di noi e nessuno ha seguito queste serie, perciò non ne abbiamo parlato, ancora. Quindi ripeto, noi recensiamo quello che vediamo nel nostro tempo libero e ci colpisce di più o che ci viene proposto da Netflix, Amazon o Sky (e nulla vieta arriveranno più serie comedy sulle nostre pagine, mentre quelle di Amazon se noti ce ne sono già molte, Good Omens un'altra per dire).
Mi piacerebbe si ragionasse qualche volta prima di commentare.
1)Non faccio/facciamo favoritismi su roba di cui scrivere, lato serie stiamo coprendo Prime Video, come Sky/HBO e come Netflix.
2)Poi, ovviamente questo non è un sito di cinema, quindi ovvio non non ci sia un’estensione capillare della copertura. Big Little Lies non é in target (abbiamo fatto qualche eccezione alla regola quando possibile, comunque, vedasi Refn su Prime Video) e The Big Bang Theory/Young Sheldon non ho spinto sul coprirle vista la natura di sitcom (che prevede quindi recensioni periodiche che si addicono ad un sito specializzato)
è fantastico come fincher riesca a tenere la "sua" atmosfera anche in un minitaggio da serie tv. Ti fa rimanere sempre incollato allo schermo anche solo con la sua regia
E pensare che con Se7en ce l'ha fatta in meno di due ore (nonostante siano prodotti molto diversi!). Quando uno è forte, è forte sempre :)
A me invece piacerebbe parlare con educazione e senza spocchiosità, sopratutto qui su Gameplay Cafè dove si respira da sempre aria buona. Si è disquisito serenamente con il buon Giuseppe; esordire con "mi piacerebbe si ragionasse qualche volta" non è il massimo dell'educazione, lasciatelo dire. Soprattutto perchè non posso sapere quale è il target. Per me Little Big Lies è una serie eccellente, a tutto il resto ci ho pensato poco, è vero.
Suvvia non bisticciate! Il fatto è che Simone per quanto giovanissimo (ed in gamba) è il responsabile dell'area film & serie TV, quindi probabilmente si è risentito per la critica (più che lecita, sia chiaro) dato che da il 110% per ottenere contenuti in anteprima e interviste da portare su Gameplay Cafè per cercare di dare ai lettori il nostro feedback su tutte le serie del momento.
Poi ripeto, quando non ci arriva la lunga mano degli accrediti ci adoperiamo noi recuperando in privato le serie che più ci interessano, nulla vieta che un giorno ci si possa occupare di LBL o serie simili (a patto che qualcuno le guardi però :D)
Dispiace se hai percepito male l’inizio del commento, però il “è mai possibile” mi ha un attimo stizzito. Poi è un sito di videogiochi, quindi il target é facilmente intuibile. Detto questo, senza continuare la polemica, spero che i punti che ti ho esposto tranquillamente abbiano chiarito la situazione. Nessun rancore 👌