Nel cinema contemporaneo Christopher Nolan è forse l’unico regista che può fare letteralmente ciò che vuole. La sua ultima opera in ordine cronologico, Dunkirk, è un falso film di guerra completamente privo di violenza e spoglio di dialoghi strutturati che, nonostante un approccio iperrealista ed emotivamente asciutto, ha agilmente superato il mezzo miliardo di dollari al botteghino mondiale. Ciò che ha spinto masse di persone verso questo strano prodotto non è stata la fama degli attori o degli eventi narrati, bensì la fiducia nel regista e nella sua capacità di produrre un’esperienza viscerale capace di incollare lo spettatore alla poltrona. Nel corso della sua ormai quasi ventennale carriera, infatti, Christopher Nolan ha regolarmente scritto, diretto e prodotto lungometraggi estremamente ambiziosi in termini soprattutto di struttura narrativa. La sua abilità di piegare il tempo al servizio di una storia gli ha permesso di stagliarsi rispetto alla gran parte dei suoi autori contemporanei e di acquisire cosi una riconoscibilità immediata presso gli appassionati.

In ogni lungometraggio Nolan detta un set di regole. In Memento, il suo secondo film del 2000, impone agli spettatori gli stessi svantaggi di un uomo privato della sua memoria a breve termine, ricostruendo gli eventi attraverso due filoni narrativi di cui uno avanza nel tempo mentre l’altro procede a ritroso. Tutto lo svolgimento del film sviluppa ed esalta l’idea di base che sostiene la trama. Non vi è commistione di concetti differenti: Nolan propone, esamina e gioca con un solo concetto fondamentale e, così facendo, permette al pubblico di partecipare con soddisfazione al ragionamento.

Date le ristrettezze di budget dell’allora debuttante regista, Memento si regge puramente sul pathos che riesce a creare: non ci sono scene d’azioni né effetti speciali realizzati in computer grafica. Se le prime arriveranno puntualmente nei film successivi, a partire da Batman Begins, gli ultimi rimangono tuttora un territorio che Nolan è restio ad esplorare. Questa avversione allo schermo verde ha portato, una volta aumentato sostanzialmente il budget, alla costruzione di set mastodontici in cui ogni cosa è reale. Le violazioni alla gravità rese possibili dall’universo onirico di Inception sono state realizzate con strutture rotanti in scala reale. Il risultato definisce l’estetica di Nolan come un incrocio ordinato fra realismo e fantasia: il soprannaturale viene contestualizzato nella storia e trattato con la massima serietà.

Un tema caro ai primi film di Nolan è quello della complessità morale delle scelte: sia nel già citato Memento che nel successivo Insomnia alcuni cardini narrativi vertono sulla controversia dell’aver compiuto o meno un particolare gesto. In una maniera che sarà poi ripresa da Martin Scorsese per il personaggio di Leonardo Dicaprio in Shutter Island (2010), sia l’alter ego di Al Pacino in Insomnia che il tormentato Guy Pierce di Memento divengono oggetto dei sospetti dello spettatore durante il corso del film. Raramente infatti, Nolan pone una figura positiva ed eroica al centro dei suoi schemi.

Questa fascinazione nel confondere la distinzione tra eroe ed antieroe trova pieno compimento nella trilogia di Batman e, in particolare, nel celebrato secondo capitolo, Il Cavaliere Oscuro: per bocca del commissario Gordon, Bruce Wayne è meramente un simbolo plasmato dalle necessità della città di Gotham. Lo stesso protagonista di Interstellar, indubbiamente il film più ardito di Nolan, da inizio alla trama compiendo una scelta moralmente complessa: abbandonare la propria famiglia per salvare la specie umana. Senza scadere in spoiler, è possibile osservare come successivamente il film tenti di far leva sul peso psicologico di questo gesto, tuttavia le riflessioni più intense concernono più temi esistenziali che personali in questa ambiziosissima, e per gran parte riuscitissima, incursione nel genere della fantascienza classica.

Trame come quelle di Inception e Dunkirk sono esplicitamente stratificate. I livelli del sogno telescopici del primo consentono a Nolan di manovrare i suoi personaggi su mondi separati in cui lo scorrere del tempo rallenta con la profondità del sogno medesimo. Ciò ricorda molto lo scorrere degli anni alterato dalla relatività del tempo in Interstellar, in cui le vicende degli astronauti si sovrappongono a quelle degli abitanti rimasti sulla Terra. In Dunkirk, invece, il tempo viene dilatato artificialmente dal regista, il quale narra tre vicende aventi luogo in un’ora, un giorno ed una settimana rispettivamente. In tutti e tre i casi citati, la stratificazione sfocia nei momenti climatici dei rispettivi lungometraggi. In questi frangenti, Nolan dosa sapientemente il tempo da dedicare a ciascun piano della storia e, coordinando le immagini alla musica del fidato collaboratore Hans Zimmer, riesce ad ottenere un risultato che, spesso, è da brividi.

Come implicitamente premesso all’inizio, Nolan è forse il campione della propria generazione di registi. Avendo pervaso le sue opere di una carica inventiva dirompente, il suo lavoro ha coinvolto la grande parte del pubblico mondiale che è disposta ad entrare in un mondo che, seppur quasi sempre di fantasia, viene delineato con coerenza. Ciò ha permesso l’esistenza di autentici blockbuster d’autore, ovvero opere intrinsecamente e diametralmente opposte a prodotti come i cinefumetti Marvel.

gmg215

Videogiocatrice a vita, fin dal giorno in cui Psycho Mantis ha provato a controllarmi la mente.

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