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Polar è un’ottima pausa da Kojima, per Mads Mikkelsen

Mancano appena due settimane alle cinquanta candeline di Duncan Vizla (Mads Mikkelsen), “il Kaiser nero”, sicario da una vita, un vero artista nel suo campo, pronto alla pensione e ad incassare una lauta liquidazione di otto milioni di dollari. Un bel colpo per le finanze dell’agenzia Damocle dell’eccentricamente grottesco Mr. Blut (Matt Lucas), che per colpa delle pensioni d’oro ai suoi ex-dipendenti è ora in passivo di ventinove milioni. C’è però una piccola clausola nel contratto che ogni killer è tenuto a firmare: in caso di morte prematura, tutti gli averi del defunto spettano alla società. Una soluzione perfetta sulla carta, ma come insegna la storia di John Wick, se si fa inc@zzare uno per cui la vita umana vale quanto un pugno di ghiaia, magari proprio quando sta per vedere la luce in fondo al tunnel, bisogna prepararsi alle naturali conseguenze.

Pulp, saturo, esplicito in tutto quello che vuole rappresentare ai limiti del body horror, sporco (soprattutto di sangue), eppure capace di momenti noir di gran classe, con una fotografia che riporta alla mente “Uomini che odiano le donne” di David Fincher; per poi tornare ad esplodere in tutta la sua coreografica violenza a favor di telecamera, sfoggiando un look alla Kill Bill mischiato a un videoclip della prima Lady Gaga, che diverte e trascina lo spettatore con la sua sfrontata appariscenza e ironia. Diciamolo subito, Polar (adattamento dell’omonima graphic novel) vale assolutamente le due ore che dura, soprattutto per chi ama il cinema di genere e non se la mena a scendere di un gradino sulla scala della qualità generale (e del buon gusto), soprattutto per una questione estetica. Quando vuole essere pacchiano lo fa alla grande in superficie, ma spesso sotto tutti quei colori, sfarzi e battutacce cerca di nascondere una personalità non sempre forte, soprattutto a livello di cast, dove brillano soprattutto i tre protagonisti, Vizla, Blut e Camille (Vanessa Hudgens), vicina di casa del killer e personaggio chiave della vicenda. Mikkelsen è il sicario perfetto, taciturno, letale, esattamente come ce lo si immagina, tormentato da sogni agghiaccianti e in particolare da un lavoro, che rivivrà nella sua mente più volte nel corso della pellicola. La sua presenza basta a tenere lo spettatore sull’attenti, capace com’è di riempire ogni inquadratura con un’inquietante e gelida tranquillità.

E se fino a quasi metà film l’azione vive di esplosioni estemporanee, per quanto ben girate e adrenaliniche, al giro di boa il ritmo aumenta i suoi battiti e dà vita a sequenze fluide, lunghe, efferate, capaci di brillare anche per inventiva e varietà. Certo, non si raggiungono i picchi di John Wick e soprattutto di Atomica Bionda, pecca un po’ di classe, ma si rimane magneticamente attratti da ciò che avviene a schermo, un po’ per il velo di mistero che copre la figura del Kaiser e il suo passato, un po’ per l’assurdità delle situazioni che coinvolgono chi gli sta dando la caccia, in un continuo alternarsi di ruoli tra preda e pretore quasi documentaristico. Ma l’incognita più attraente è ovviamente scoprire in che modo finiranno al creatore i vari attori che calcheranno questo folle palcoscenico, e senza spoiler posso dirvi che la fantasia non manca praticamente a nessuno, con alcuni momenti capaci di far torcere le budella anche al più scafato appassionato di emoglobina cinematografica. È poi questione di un attimo che una scena di sesso si trasformi in una carneficina, cosa che avviene con una naturalezza da applausi, quasi sconcertante per quanto è trash. Akerlund è veramente un regista delicatissimo e misurato, lo avrete intuito. Più o meno, insomma (qualcuno l’ha già accusato di sessismo).

Ma è proprio questa la sua forza, presentare un prodotto che guarda con disprezzo i limiti che avrebbe incontrato al cinema, sfruttando la libertà creativa concessa da Netflix a maggior gloria del pulp più spinto. Menzione d’onore alla Hudgens, capace di trasmettere angoscia e turbamento solo a guardarla. Sciupata, stanca, sofferente per il la tragedia che si porta dietro, motivi la faranno sentire molto vicina a Duncan, in netto contrasto con Blut e la sua letale squadra. Contrasto anche scenografico, quello tra le montagne innevate che circondano la cittadina di Triple Oak e il quartier generale caricaturale e fumettistico della Damocle e dei suoi dipendenti. Blut ha una presenza totalmente fuori contesto e disturbante, soprattutto nei suoi modi di fare e tic, che funziona perfettamente come nemesi, dopo un primo approccio un po’ parodistico che mi ha riportato alla mente l’indimenticabile Dottor Male di Austin Powers. Chiude il cerchio l’ottima colonna sonora firmata deadmau5, un’elettronica molto industrial, metallica, perfetta per accompagnare il martellante ritmo dei proiettili.

Polar è esagerato, volgare, ma è soprattutto capace di cambiare registro con grande fluidità, ora con una comicità di dubbio gusto, ora con atmosfere tetre, fino alle sparatorie più tirate. Una buona pellicola quindi, assolutamente degna del vostro tempo almeno quanto è certo che non sia un capolavoro (ma per onestà intellettuale vi dico che su Rotten Tomatoes ha una percentuale di consensi del 14%), che probabilmente sarà solo la prima apparizione del letale Kaiser nero.

Stefano Calzati

Petrolhead di The Games Machine, cummenda di Gameromancer e tuttofare per il Tanzen. Scrivere di videogiochi per me è un atto d'amore dove il fattore emotivo batte quello tecnico.

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