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Princess Mononoke: l’eredità dell’animazione tradizionale

In occasione dell’odierno sbarco su Netflix di ulteriori fatiche dello Studio Ghibli, andiamo a riscoprirne una delle più amate: Princess Mononoke.

L’apparente e innocua quiete di un villaggio, situato in qualche remoto e sconosciuto angolo del Giappone feudale, viene bruscamente interrotta dal furioso arrivo di una figura demoniaca, il cui aspetto ricorda quello di un enorme cinghiale.

Il principe Ashitaka, ultimo discendente della propria stirpe, è costretto a uccidere la gigantesca bestia. Nello scontro riporterà una misteriosa ferita, che gli causa una grave ed incurabile infezione.

La vecchia saggia del villaggio, una volta rinvenuto un insolito oggetto metallico all’interno delle lacere carni del demone, confessa al giovane la crudeltà del proprio destino, proponendogli come unica alternativa all’attesa della sopraggiunta della morte: un ultimo viaggio alla ricerca dell’origine della maledizione che l’ha colpito. Durante la disperata impresa egli si imbatterà in Mononoke, la “ragazza lupo”; dunque, inizierà così il cammino che lo condurrà alla scoperta di una mistica foresta popolata da spiriti ed esseri sovrannaturali.

È così che si apre il film capolavoro scritto e diretto dal conosciuto e amatissimo maestro dell’animazione Hayao Miyazaki.

Miya-san stai invecchiando.
Questa potrebbe essere la tua ultima chance per realizzare un film d’azione.

Sono queste le parole, che pronuncia il producer e amico, Toshio Suzuki, al momento di decidere il genere di lungometraggio da realizzare.

E a giudicare dal risultato pare che il regista abbia preso alla lettera le parole del collega, in quanto l’intero film è un trionfo di azione e frenesia, complici gli innumerevoli impeti che animano gran parte delle sue scene.

Un quadro in movimento

Come in ogni lavoro firmato Studio Ghibli il livello artistico dei disegni raggiunge standard irraggiungibili per l’animazione tradizionale. Grazie all’eccelsa colorazione, ci ritroviamo immersi negli stupendi scorci offerti dai diversi paesaggi naturali; questi ultimi, definiti da splendide e variegate tonalità di verde, riescono a calare lo spettatore nelle ambientazioni rurali del periodo Muromachi.

Ancora più clamore lo suscita il numero di fotogrammi, che Miyazaki stesso ha voluto controllare e correggere (circa 80.000 su 144.000). In questo modo si assicurò che la qualità dell’opera fosse in linea con il suo standard.

Come se non bastasse su oltre due ore di animazione, solo dieci minuti fanno uso della pittura digitale, in aggiunta a poche e rare illustrazioni preparate a computer.

Occhi non velati dall’odio

Arrivati a questo punto, vi starete giustamente chiedendo quale sia il messaggio principale di questo particolare film o comunque, dove intenda andare a parare il regista in seguito agli immani sforzi artistici. Ebbene, quella di Princess Mononoke non è una semplice e banale trama che maschera sotto di sé la denuncia del maltrattamento dell’ambiente; bensì un più grande e totale inno volto alla pace in nome di una coesistenza più armoniosa, un grido disperato di accusa verso l’odio più profondo nel quale il mondo è affondato.

Preferirei fermarmi qui senza addentrarmi eccessivamente nel tema, in modo da non svelare particolari aspetti della trama, nel caso non aveste ancora visto il lungometraggio.

La colonna sonora, come di consueto in ogni film di Miyazaki è curata dal suo inseparabile amico e abile compositore Joe Hisaishi. La cui versione vocale è cantata dal contraltista Yoshikazu Mera.

Anch’essa è praticamente impeccabile ed esprime alla perfezione il senso di sofferenza e desolazione che anima la foresta e il mondo umano.

Fra demoni e mostri

Così, Princess Mononoke non è sicuramente il film leggero e spensierato, che più di qualcuno si poteva aspettare: al regista va riconosciuto il merito di aver saputo dare vita ad un universo, che trova le sue radici in un contesto storico ben definito, riprendendone ampiamente miti e leggende (tra cui colossali e fantastiche figure bestiali e demoniache). I personaggi ottimamente caratterizzati e mai banali sono pronti a dare ogni cosa pur di portare avanti la propria battaglia.

Non tutto il male…

È sufficiente pensare alla stessa Mononoke, conosciuta anche come San. La “principessa spettro” è contraddistinta dal profondo odio diretto al mondo umano, per i crimini compiuti contro la natura, che la porta a rinnegare la propria origine.

O alla stessa Eboshi, padrona della città del Ferro ossessionata dal potere, la quale, attraverso i propri ordini, causa il disboscamento della foresta per produrre armamenti, ma allo stesso tempo offre riparo e lavoro nel suo avamposto ai reietti della società, come orgogliose ma simpatiche prostitute e lebbrosi la cui vita è appesa a un filo.

A cosa mi sto riferendo? Alla volontà di Miyazaki di fuggire dai classici schemi che vedono la netta distinzione tra fazioni del bene contrapposte a quelle del male. Ne costituisce un ulteriore esempio, il finale, che è sicuramente diverso da quello che ogni spettatore si sarebbe atteso.

Il film dimostra così, di non basarsi su una filosofia tanto semplice e definita; potremmo, dunque, stare ore a discutere delle possibili interpretazioni e sfaccettature, che presenta, ma sfortunatamente non è questo l’intento dell’articolo.

Conclusione

Per ultima cosa vi starete chiedendo se effettivamente ci troviamo davanti ad un’opera esente da ogni tipo di difetto o imperfezione: probabilmente no, almeno non sotto ogni aspetto; ad esempio, avremmo apprezzato un piccolo sforzo in più per l’approfondimento della vita nel villaggio natio di Ashitaka, piuttosto del rapporto creatosi con San, che non ha avuto troppo spazio, tanto da farci desiderare un particolare e praticamente impossibile seguito.

Ma ci pare giusto che davanti a una così grande quantità di aspetti positivi che portano l’opera a rasentare la perfezione, i punti a sfavore diventino quasi trascurabili.

Va sottolineato il cambio di doppiaggio verificatosi recentemente. Si è passati dalla versione del 2000, “incolpata” di avere modificato il senso di certe frasi, per renderle più vicine al gusto del pubblico occidentale. Si giunge, infine, a quella curata da Lucky Red del 2014, molto fedele all’originale, che potrebbe parere esagerata alle nostre orecchie, per via di certe espressioni, alcune dal suono fin troppo arcaico, altre davvero ilari.

Princess Mononoke si conferma il picco più alto mai raggiunto dall’animazione tradizionale, simbolo di una dedizione impareggiabile. Sequenze d’azione dinamiche in aggiunta a scenari dai colori favolosi, sorretti da una storia solida, arricchita da un forte messaggio di fondo. Il tutto è contornato da un’emozionante e colonna sonora. In poche parole siamo davanti all’opera più matura mai realizzata dal maestro.

Un’eredità non da poco per questi tempi e quelli a venire.

Geko

Classe '95 grande passione per tecnologia, giochi, animazione, miti e leggende.

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