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Terminator: Destino Oscuro – La sorte di un brand maltrattato

Se ci pensiamo bene, il primo Terminator è uscito ormai 35 anni fa: una trama fantascientifica fatta di viaggi nel tempo, macchine ribelli, paradossi temporali e tanta azione che solo un attore come Arnold Schwarzenegger poteva portare a schermo in quel modo. Quasi quattro decadi dopo, il cerchio si chiude: dopo il passaggio di consegna avuto dal terzo capitolo (e la veloce parabola discendente avuta con reboot, sequel mal gestiti e tanti, troppi errori), ora il brand è tornato in mano a James Cameron, con il solo obiettivo di sistemare il tutto, cancellare alcuni scempi e terminare la saga, definitivamente. Eppure i Terminator tornano sempre.

L’idea alla base del film è convincente: riprendere il cast originale, ripartire dagli eventi di Terminator 2 e proporre una linea temporale alternativa dove alcune cose, dopo gli avvenimenti de Il Giorno del Giudizio, sono andate in modo diverso. Ritroviamo quindi una Linda Hamilton in formissima nei panni di Sarah Connor, un fantastico Arnold Schwarzenegger di nuovo a vestire le sembianze del T-800, e due nuovi personaggi: Grace (Mackenzie Davis), un soldato potenziato inviato dal futuro per salvare Dani (Natalia Reyes).

 

Evitando di spiegarvi altre dinamiche che potrebbero rendere il tutto un gigantesco spoiler (sebbene la trama non sia così originale da far urlare al capolavoro, ne tantomeno differente dal classico Modus Operandi visto nelle prime due pellicole), c’è da dire subito che il film si pone come un forte punto di svolta in termini di concetti e significati. Ricordiamo bene come nel primo Terminator l’obiettivo del T-800 fosse quello di uccidere Sarah perché futura madre di John Connor, capo della resistenza e unica salvezza contro Skynet: alla fine il tutto si riduce al fatto che, nonostante la donna sia il vero obiettivo per l’intelligenza artificiale, comunque lo è solo per il fatto di poter concepire un figlio, quindi maschio. Questo concetto, nonostante dal secondo capitolo fosse sparito (mostrando una Sarah decisamente più attiva e capace di badare a se stessa), rimane nel fatto di un John sempre unica salvezza per l’uomo.

Fortunatamente il 2019 riesce a mettere un po’ di luce in quei concetti di 35 anni fa, e Destino Oscuro se ne fa portavoce, senza cadere però nella “necessità del politically correct”: tutto quello che succede è congruo, concreto e soprattutto non forzato. L’altro grande stravolgimento di concetto sta nella dicotomia uomo-macchina: stiamo per entrare nel decennio del Cyberpunk, e Grace ne è la prova lampante: umana, potenziata, capace di pensare e senza alcun tipo di modifica mentale cibernetica, odia però le macchine che nel suo tempo stanno distruggendo la qualunque. Interessante quindi l’accostamento con il T-800 di Schwarzenegger, decisamente più vicino all’umano di quanto lo fosse mai stato nei precedenti film.


Proprio questo rimescolamento delle carte porta su schermo un’altra novità: il bianco e nero ora è un lungo mare di grigio, dove la linea viene disegnata soltanto dalle azioni, e non dalla natura dell’essere.


 

Il lungo filo rosso tessuto dalle dinamiche tra i personaggi reggerà lo scheletro del film

In termini tecnici il film si divide anche qui in due grandi anime: se da un lato alcune scene in computer grafica riescono a sembrare realistiche, con un cattivone di turno che indossa la faccia di Gabriel Luna (e che riesce a rendere spaventoso ogni singolo sguardo), dall’altra parte qualche sbavatura si vede in determinate scene, probabilmente inserite postume e fatte un po’ in fretta. Stessa cosa si può dire per la sceneggiatura: tre grandi parti del film riescono a rendere la visione di un blockbuster (con in cima una scena d’azione davvero adrenalinica e senza sosta) che si perde però in alcune impasse che portano a lenti momenti di piccola noia. Fortunatamente un lungo filo rosso tessuto dalle dinamiche tra i personaggi sarà quello che più reggerà lo scheletro del film, dando davvero un paio di scambi di battute di alto livello. Questo è stato possibile anche e soprattutto grazie al fatto che i due protagonisti del primo film sono tornati, mentre i due nuovi sono pronti a prendere la possibile eredità.

Insomma, alla fine Cameron, Miller e gli sceneggiatori hanno capito che per riuscire a riportare alla luce un brand come Terminator, serviva proprio prendere e ripristinare chi ha reso grande in origine la serie. Destino Oscuro è la luce, ma forse il brand non ne necessitava: anche se le basi del film sono solide e funzionanti, Cameron sembra averle create (almeno da ciò che dice) per concludere questo brand, che come dimostra la nuova pellicola, ha esaurito le cose da dire. Il problema salta all’occhio quando iniziano a scorrere i titoli di coda: la storia di per se ha un’apertura possibile, capace di mettere la saga di Terminator davanti ad una triforcazione.

Se da un lato c’è da sperare che con questo Destino Oscuro tutto si chiuda in modo da lasciare un ricordo decisamente migliore di Salvation e Genisys, dall’altro la continuazione della serie potrebbe essere una scelta possibile, soprattutto visti i possibili risultati positivi del film. La sfida sarà se tornare di nuovo a parlare della stessa ed identica cosa (alla fine le analogie tra Terminator 1/2 e questo Destino Oscuro sono molte e volute) o sviluppare una trama diversa (un po’ come fece Salvation, uno spunto davvero interessante). Il tempo saprà dirci quale di queste strade verrà intrapresa, ma già si vocifera che nemmeno stavolta i Terminator verranno messi a riposo.


Terminator: Destino Oscuro è l’esempio pratico del detto “la terza volta è quella buona”: Salvation aveva tentato un possibile futuro, fallendo però sotto alcuni punti, Genisys aveva cercato di rinnovare la formula sbagliando su molti fronti. Questa volta, complice lo zampino di Cameron, la serie sembra aver preso un punto di svolta talmente interessante che dispiacerebbe non rivedere di nuovo quegli scheletri di metallo nel buio della sala.


Simone Lelli

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