Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha sognato, desiderato con tutte le sue forze, di essere un supereroe. Perché, diciamoci la verità, negarlo è pressoché impossibile. Chi non vorrebbe la super velocità di The Flash? A chi non piacerebbe avere tutta la sfilza di poteri di Superman? Una domanda alquanto scontata, che si infrange solamente con la consapevolezza che in fin dei conti si tratta pur sempre di finzione, di qualcosa, nello specifico, creato ad hoc per intrattenere il pubblico.
Quello che si è generato col tempo, però, è un vero e proprio impero mediatico, nato su carta e poi – con alterne fortune – trasposto in televisione, al cinema e, perché no, sotto le sembianze più meno sexy di un videogioco. Il mito dei supereroi ha lentamente investito ogni angolo della Terra, senza mai curarsi di età o altri luoghi comuni, finendo col diventare una delle costanti non solo dell’intrattenimento, ma anche del bagaglio culturale, di una grandissima fetta di utenza. Negli ultimi anni, grazie anche all’esplosione sempre più dilagante del fenomeno, abbiamo imparato a conoscere meglio anche quegli eroi meno famosi, quasi sconosciuti, i quali, molto spesso, si sono rivelati ben più umani e, se vogliamo, inaffidabili rispetto alle iconiche figure tutte d’un pezzo come quella di Batman, di Captain America e così via. Abbiamo imparato, e anzi ci siamo convinti, che, in quel particolare universo immaginario, gli esseri umani, notoriamente i più deboli e martoriati dell’intero universo, siano in qualche modo al sicuro. Ovunque siano, ovunque vadano, gli indifesi sanno di poter contare su un supereroe, pronto a sacrificare la propria vita pur di mantenere la pace e difendere i più deboli.
E se vi dicessimo che non è sempre così? Se qualcuno provasse a insinuare nella vostra mente che non tutti gli eroi in calzamaglia siano dei prodi paladini senza macchia e senza paura, ci credereste? No? Allora avete urgente bisogno di conoscere “The Boys”, un prodotto pensato apposta per sfatare un mito, per ricordarci che, al di là di ogni super potere, il marcio esiste ed è potenzialmente nascosto all’interno di ogni tipo di persona, super o meno.
Tanto Super… Poco eroi
La piattaforma streaming Amazon Prime Video, nell’ultimo anno, ha ospitato diverse produzioni di una certa caratura, affermandosi sempre di più come un’alternativa più che valida al ben più famoso colosso Netflix. Per tal motivo, l’approdo nel catalogo di The Boys, serie tratta (ma con qualche differenza) dal fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson, ha sin da subito suscitato grande interesse anche, e ovviamente, per il tema trattato. Vedere una locandina su cui svettano una sfilza di supereroi col sorriso smagliante e attraversati da quell’aura di sicurezza tipica della categoria, siamo sicuri, ha convinto molte persone (compreso il sottoscritto), anche profane nei confronti dell’opera originale, a cliccare sul tasto “play”, rimanendo così, successivamente, letteralmente stregati e rapiti da un prodotto tanto esagerato quanto qualitativamente impressionante. The Boys ci trascina con forza all’interno di un universo in cui i supereroi sono delle vere e proprie celebrità, che non agiscono nell’ombra ripagati unicamente con l’apprezzamento delle persone, ma con dei veri e propri contratti milionari, diritti d’immagine, pubblicità e tanto altro ancora. Insomma, essere un supereroe in The Boys è l’equivalente di fare il calciatore, l’attore famoso o un’altra di quelle illustri professioni che garantiscono, in particolare, due cose su tutte: tanti soldi e tanta fama. Ciò che si cela dietro la società degli eroi, un po’ come accade anche in produzioni di lidi nettamente diversi (vedi One Punch Man, ad esempio) è una corruzione dilagante, un marciume che toglie il fiato, e ciò lo si capisce subito.
Bastano, infatti, pochi minuti del primo episodio per capire che, in The Boys, i paladini della giustizia non sono esattamente come ce li potremmo aspettare. Anzi. Qui entrano in gioco quelli che potremmo definire i due veri protagonisti della serie che, a causa di una violentissima (forse in modo anche eccessivo) tragedia, finiscono con l’incrociare le loro storie, in maniera quasi inevitabile e indissolubile. Il più “mite” dei due, il buon Hughie (Jack Quaid), vive un’esistenza tutto sommato pacifica o comunque tremendamente ordinaria, a metà tra il suo lavoro di venditore di apparecchi elettronici e la storia con la fidanzata di lunga data: Robin. Hughie non potrebbe nemmeno lontanamente immaginare cosa il futuro ha in serbo per lui. L’eroe cittadino A-Train (Jessie T. Usher), a cui sono stati dedicati cereali, action figure, bottiglie di latte, una linea di scarpe e quant’altro, durante la ricerca di un criminale, travolge Hughie e Robin, prendendo in pieno quest’ultima e facendola letteralmente esplodere sul posto. Come il nome stesso suggerisce, A-Train è l’eroe più veloce al mondo, e l’impatto a velocità supersonica col corpo esile di Robin rappresenta una fatalità dalla quale è impossibile tornare indietro. Il “bello”, però, viene dopo. A-Train non prova nemmeno a scusarsi, né a a provare a porre in qualche modo rimedio al danno creato, mostrando così un aspetto quasi diabolico di quelli che tutto il mondo considera dei grandi eroi. Qui entra in gioco Billy Butcher (Karl Urban), un essere umano del tutto (ne siamo sicuri?) normale che ha una sola missione: mostrare al mondo la natura marcia, egoista e arrivista dei supereroi e di chi li gestisce. Billy “sfrutta” la tragedia di Hughie per riprendere la sua personalissima crociata contro la Vought-American, una multinazionale che gestisce e amministra (e soprattutto rende praticamente immuni a qualsiasi cosa) i suddetti eroi, in particolare il gruppo dei “Sette”, i guerrieri più forti dell’universo, capitanati dall’enigmatico Patriota.
Homelander, il simbolo della giustizia?
Proprio il Patriota (magistralmente interpretato da Anthony Starr), guida quello che è un vero e proprio cast d’eccezione, non tanto per nomi o stipendi, ma per bravura recitativa e, soprattutto, interpretativa. Così come l’interpretazione magistrale di Urban nei panni di uno spietato (nei confronti degli eroi, si intende) Butcher, anche le loro nemesi possono vantare una qualità altrettanto invidiabile. Il Patriota portato su schermo di Starr è crudele, folle, diabolico, la sua umanità sembrerebbe essersi smarrita insieme alla sua innocenza fanciullesca, in verità strappatagli in modo altrettanto crudele e repentino quand’era poco più che un bambino. L’antitesi che attraversa la figura del Patriota, sulla carta il vero e proprio beniamino e salvatore dell’umanità, è un po’ l’emblema di tutta la società degli eroi, caratterizzata nel gruppo dei Sette più che mai da una corruzione e da una sensazione di intoccabilità a tratti quasi spaventosa.
A fare eccezione è il personaggio di Starlight (Erin Moriarty), una giovane eroina ammessa soltanto da poco nel gruppo d’élite guidato dal Patriota, nel quale rientra anche il recidivo A-Train. Ben presto, infatti, Annie (Starlight) imparerà a conoscere il vero volto di quelli che lei ha sempre considerato dei veri e propri simboli di giustizia e di lealtà, trovandosi ben presto costretta a scegliere tra il sacrificare il proprio sogno o la propria dignità. Con l’avanzare degli episodi, caratterizzati da un ritmo decisamente forsennato, in cui i continui e repentini cambi di location (molto vaste), di inquadrature e di situazioni varie, grazie all’operato non soltanto di Butcher e Hughie, ma anche di Frenchie (Tomer Capon) e M.M. (Laz Alonso), il restante del gruppo dei “Boys”, lentamente, la maschera che cela il vero aspetto degli eroi va via via frantumandosi in piccoli pezzi. The Boys fa leva proprio su questo aspetto, dall’inizio alla fine. La società, apparentemente pronta a prodigarsi all’istante per il bene comune, è in realtà spinta da principi del tutto anarchici e personali, da una sana vena di arrivismo a ogni costo, in cui l’interesse personale surclassa qualsiasi senso civico e del dovere. Un attacco ben congegnato alla società moderna, grazie ad un’attualizzazione ed una contestualizzazione della storia di fondo magistrale, operata nel migliore dei modi da Eric Kripke in collaborazione con Seth Rogen ed Evan Goldberg.
Boys, Boys, Boys!
Per fortuna per il mondo, però, ci sono loro. Gli scapestrati difensori della libertà e della giustizia, in verità anche loro stessi mossi da sentimenti sicuramente meno nobili (come la vendetta), rappresentano l’unico baluardo per gli ignari esseri “normali” contro lo strapotere di Patriota, The Deep (Chace Crawford), Queen Maeve (Dominque McElligott) e di tutti gli altri esseri dai poteri paranormali, il cui status di “divinità sulla Terra” è ogni giorno sempre più saldo. I supereroi mostrati in The Boys, diciamocela tutta, sono molto super ma poco eroi. Basti pensare, ad esempio, a Translucent (Alex Hassell), che utilizza la propria invisibilità per spiare regolarmente le donne nei bagni, o lo stesso Homelander, che gode di una quasi totale immunità e autonomia anche di fronte a crimini ben peggiori di una semplice sbirciatina, come l’omicidio, la mutilazione e l’istigazione all’odio più profondo. Menomale che ci sono i The Boys, quindi, che, al pari delle loro nemesi giurate, portano sullo schermo una violenza continua e sanguinolenta, a volte anche ingiustificabile.
Lo show di Kripke su Prime Video è infatti un tripudio di violenza, nudi e situazioni costantemente al limite, probabilmente non adatto ai più deboli di stomaco, ma che nella sua poetica natura macabra funziona alla grande, dal primo all’ultimo minuto. Il successo della miniserie, offerta in otto episodi dalla durata di circa un’ora (alcuni durano di più, alcuni di meno) è comunque un insieme di più fattori. Su tutti spiccano certamente l’interpretazione della maggior parte dei membri del cast, che sembrano nati per il ruolo ricoperto, ma anche l’ottima direzione artistica e scenografica da parte dei creatori. Dulcis in fundo, un plauso anche alla colonna sonora, che si sposa perfettamente col ritmo scanzonato e frenetico che attraversa ogni scena, seppur drammatica e violenta che sia. Va però ricordato che il progetto ha goduto della forte collaborazione da parte anche della stessa piattaforma, che ha investito nella serie un budget più che elevato, convinta – giustamente – di aver posato le mani e gli occhi su una perla tanto grezza quanto potenzialmente splendente.
In conclusione…
The Boys è un esperimento più che riuscito. La trasposizione televisiva del fumetto di Ennis vince e convince, grazie al coraggio di Amazon Prime Video di credere fortemente sulla produzione e sulla bravura degli sceneggiatori nel lavorare nel miglior modo possibile col materiale a disposizione. Se a questo, poi, si aggiunge un cast semplicemente perfetto, in cui ogni singolo personaggio si cala perfettamente nel suo ruolo allora, beh, il dado è tratto. Peccato per qualche momento “morto” di troppo, e peccato forse per un finale un tantino telefonato, che in nessun modo però inficia la qualità complessiva di uno show che, senza mezzi termini, può ergersi come una delle migliori produzioni di questo 2019 e degli ultimi anni. E il cliffhanger finale non fa altro che rinforzare il pensiero comune dopo aver visto l’ultimo episodio: a quando la seconda stagione?
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Per quanto mi riguarda la serie dell anno a mani basse per qualità recitativa e di regia. Dopo mesi di nulla ( per me ) su netlfix e il resto ho trovato una serie che a malincuore ho finito in 2 giorni da quanto creasse dipendenza.