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The Punisher: la recensione della seconda stagione

Se dovessimo descrivere con una sola parola il nostro stato d’animo, dopo aver visto la seconda stagione di The Punisher, quella parola, probabilmente, sarebbe: peccato! Il motivo? Lo show targato Netflix dedicato all’antieroe più famoso e amato dell’universo Marvel ci aveva abituati molto bene, ma ora sembra aver smarrito qualcosa.

Vogliamo fare subito un piccolo spoiler: la seconda stagione non riesce a replicare l’incontenibile successo della prima. Sia chiaro, si tratta comunque di un prodotto qualitativamente superlativo, che stacca nettamente gli altri esponenti del genere, ma che si sgretola sul più bello, lasciandoci soltanto l’odore di un successo mancato. Mischiato a quello del sangue, chiaramente. Proprio il sangue sarà ancora una volta il protagonista indiscusso di questi nuovi tredici episodi che compongono il mosaico – è il caso di dirlo – di una storia terribilmente violenta e spietata, ancor più che in passato. Del resto, Frank Castle (Jon Bernthal) si è rifatto una vita o, almeno, ci ha provato. Ma Billy? Billy Russo, colui che a Frank ha irrimediabilmente distrutto la vita, è incredibilmente scampato a una condizione clinica apparentemente irreversibile, e la faida tra i due è tutt’altro che scemata.

La lotta tra i due ex commilitoni, però, sarà soltanto una delle tante battaglie vissute all’interno di questa seconda stagione di The Punisher. Tante sono le forze in gioco e tanti gli interessi: tutti credono di avere ragione e tutti provano a concluderla nel modo più adeguato. Per il nostro Frank, lo sappiamo, la via è una sola, ma non tutti condividono la sua visione del mondo.

La seconda stagione di The Punisher si apre proprio con Frank alle prese con la sua nuova vita, ma pur sempre braccato dai fantasmi del suo passato. Non può Pete Castiglione rimpiazzare definitivamente il burbero marine dal cuore tenero e, diciamoci la verità, nemmeno c’è la volontà che ciò che accada da parte dell’interessato. Frank la guerra la porta dentro e sembra aver bisogno sempre di nuovi conflitti per poter sopravvivere.

E così, dopo aver passato una splendida notte di passione e, perché no, di complicità con la bella barista Beth Quinn (Alexa Davalos), che lo proietta in una realtà per lui totalmente nuova, definibile “normalità”, il buon Frank si lascerà trasportare dai nefasti eventi che lo circondano, nel modo più tragico e doloroso possibile, ritornando così a quello status di eterna dannazione, che si è ormai stampato sul petto (e non solo in senso figurato!).

A rispolverare le doti militaresche del buon Frank ci pensa l’arrivo della bella e misteriosa Rachel – o Amy – (Giorgia Whingam), una giovane che per qualche strana ragione è rimasta coinvolta in un conflitto violento e sanguinoso. I due si conoscono proprio nel bar che Frank frequenta (quello dove lavora Beth), quando quest’ultimo nota la ragazza chiaramente spaventata e, soprattutto, braccata da numerosi individui dall’aria fin troppo losca. Seguita e protetta la giovane dalle grinfie di un manipolo di soldati armati fino ai denti, Frank decide di portarla via con sé, nonostante la ragazza non sia propriamente d’accordo, un po’ per senso di giustizia ma un po’ anche per avere nuovamente qualcuno da proteggere (vedi Karen Page). La storia di Amy e Frank viene affiancata di pari passo da quella di diversi altri intrecci narrativi che riguardano sia vecchie conoscenze sia nuove leve. Troviamo, ad esempio, l’agente della Homeland Security, Dinah Madani (Amber Rose Revah), alle prese con una complicata riabilitazione dopo le vicende della prima stagione e, soprattutto, Billy Russo (Ben Barnes) che, così come Madani, dallo scontro finale della prima stagione ha riportato danni enormi, apparentemente irreversibili, a livello sia fisico sia, e soprattutto, mentale. Il volto sfigurato dell’uomo, per mano di quel che è un tempo era suo “fratello”, Frank, rappresenta una sorta di reminder per Russo, dolorante e tormentato dagli incubi, incubi in cui un “teschio” gli sfigura il volto in quel modo per poi abbandonarlo lì, inerme, senza finirlo.

La complicata situazione mentale di Billy, incapace di ricordare cosa gli sia successo, è uno degli argomenti focali della seconda stagione di The Punisher. Per tal motivo, ad esempio, entra in campo un nuovo importante personaggio, la dottoressa Krista Dumont (Floriana Lima), psicologa affidata al caso Russo e che sviluppa sin da subito un forte legame con l’uomo.

Appare immediatamente chiaro quanto anch’ella sia un soggetto complicato ed a suo modo disturbato, e forse è proprio questo a renderla un personaggio interessante sin dalla sua prima apparizione. Non sono solo le esponenti del gentil sesso, però, ad avere l’onere di portare avanti la bandiera delle new entry. Ad entrare in scena è anche Jhin Piligrim (Jhon Stewart), una sorta di predicatore che, per una serie di motivi che non vogliamo in alcun modo spoilerarvi, si è macchiato di innumerevoli omicidi, tra cui quello di tutti compagni di avventura della giovane Amy, a cui solo lei, entrata ora nelle grazie di Frank, è miracolosamente scampata. Inutile dirvi che Piligrim darà la caccia alla spigliatissima bionda per tutta la stagione, un po’ come il Tyrant di Resident Evil 2. Tutti questi frammenti di storie finiscono così con l’intersecarsi l’uno con l’altro, convergendo, alla fine, in un unico punto in cui tanti di questi eventi conosceranno il significato della parole “fine”.

Con ogni probabilità, lo spettro della possibile cancellazione dello show ha giocato un ruolo fondamentale sotto questo punto di vista, facendo sì che la stagione risultasse completa e “conclusiva” sotto tutti gli aspetti, senza lasciare nulla di in sospeso.

Proprio questo aspetto, con ogni probabilità, risulta il vero anello debole della produzione. La volontà di concludere il tutto ha dato il là a un finale forse fin troppo frettoloso e scontato e, se vogliamo, un tantino troppo “positivo”, se confrontato con la natura dark e drammatica dello show.

Tutto il sangue (tantissimo, come al solito) versato durante le tredici puntate della stagione, tutta la violenza osteggiata con fierezza non soltanto da Frank ma anche da Billy, la cui ricerca della verità (e di Frank) culminerà nell’ennesimo mix di tradimenti e bagni di sangue, da Piligrim e da tutto il sistema che gli gira intorno, viene di fatto parzialmente vanificato da un tono fin troppo leggero su cui la serie si affaccia proprio nelle battute finali.

Ci ha convinti poco, in tutta franchezza, anche l’evoluzione della trama stessa. Seppur frenetica ed eccitante come al solito, la seconda stagione di The Punisher (soprattutto nella seconda metà) ha perso parecchio del proprio mordente, mostrando il fianco a una lunga serie di momenti morti ed episodi per certi versi dimenticabili. Nulla di clamoroso, certo, ma ci saremmo aspettati qualcosina in più sotto questo aspetto. Niente da dire, invece, sull’interpretazione e sulla sceneggiatura dei personaggi: Jon Bernthal è nato per essere Frank Castle, e lo dimostra ancora una volta. Ottimo anche Ben Barnes nei panni di un minaccioso e completamente folle “Mosaico” e ci è piaciuto molto anche il personaggio di Amy, ottimamente interpretato dalla giovane Giorgia Whingam.

La seconda stagione di The Punisher riparte dal roboante successo della prima, ma lo bissa soltanto in parte. Se gli attori scelti risultano convincenti e perfettamente calati nei loro ruoli, lo stesso si può dire solo in parte  della trama di fondo che, stavolta, non riesce a convincere appieno. Un peccato, certo, ma ciò non inficia più di tanto la qualità dello show, sempre nettamente superiore agli altri esponenti del genere. Il finale volutamente (secondo il nostro punto di visita) “conclusivo” lancia molte nubi sull’eventuale continuo della saga, ma noi ci speriamo fino alla fine. Del resto, abbiamo tutti un po’ bisogno di Frank!

Salvatore Cardone

Scrivo, cucino, mangio. Spesso contemporaneamente. Necessito di più mani.

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