Cinema & Serie TV

Too Old to Die Young – Cinema di plastica

Sintetico, artificiale, come le emozioni di personaggi completamente sconnessi dalla realtà, l’inferno nello sguardo vacuo, un ego divino da placare. Too Old to Die Young è per Nicolas Winding Refn ciò che la terza stagione di Twin Peaks fu per Lynch. Un’opera magna che emana tutta la sua poetica, la serialità intesa come enorme prateria dove far fluire liberi virtuosismi registici e fotografici per raccontare una vicenda corrosiva, lenta e dolorosa come una tortura. Un prodotto invendibile, folle, estremo per tempi (con la maggior parte delle puntate intorno ai 90 minuti) e modi, autoerotismo artistico che ci rende più voyeur che spettatori, un gorgo di pura arte visiva e visionaria.

Sesso e spiritualitàviolenza e superstizione, tratti borderline di un noir psichedelico dal sapore ferroso, quello del sangue che macchia all’improvviso scenografie dalla composizione maniacale, ossessiva, ecclesiastica. Ogni inquadratura un’opera d’arte, una fotografia da premio Pulitzer completamente fuori di testa, esaltata da riprese quasi esclusivamente a camera fissa, che si esibiscono lentamente in zoom e rotazioni sul proprio asse fino a carrellate orizzontali per piani sequenza magistrali, svelando la scena in modo sensuale, lentamente. Tutto deve essere perfetto, rispettare geometrie immaginarie, comunicare stati d’animo in base alla cromia delle luci, artificiali o naturali che siano, lavorando di nascosto sulla percezione subliminale tra simboli e simbolismi. Un ritmo a tratti soporifero, scandito al metronomo, ipnotico, che fissa nella retina sequenze, colori, dettagli. Una ricchezza asettica, da set fotografico di una rivista patinata. Il feticismo di Refn per il mondo della moda, per certi rituali già raccontati in The Neon Demon, dove gli attori diventano modelli, narcisisti senz’anima che comunicano più col corpo che a parole. Come il clamoroso personaggio di Jesus (Augusto Aguilera), spietato narcotrafficante ossessionato dal proprio aspetto fisico e dalla madre, intrappolato in un loop di gesti e perversioni. Ogni parola è equilibrata da un silenzio, altrettanto lungo, privo di emozioni. Una recitazione plateale, surreale, artefatta dipinge uno spicchio di umanità che si erge a dio su tutti gli altri, guardiani di vita e morte.

Quello che all’apparenza sembra un poliziesco torbido, quasi sui generis seppur filtrato attraverso il gusto estetico di Refn, continua a sprofondare nella follia e nella frenesia erotica, episodio dopo episodio, girone dopo girone. È la storia di una vendetta, di un poliziotto che si erge a giustiziere, del contrasto tra una donna angelica, eterea e la sacerdotessa della morte, portatrice di distruzione. Un intreccio di situazioni che rimane sempre sospeso nella sua incompiutezza, e forse per questo acquisisce un fascino unico, un mistero seducente da proteggere e nascondere. Personalità incredibili, grottesche, egocentriche, protagoniste di eccessi d’ira stranianti e animaleschi. La violenza come unico modo per saziare il proprio demone interiore, mutevole, raffigurazione artistica di un istinto sadico che tutti cercano di giustificare sotto intenzioni nobili, flebili, fasulle. Too Old to Die Young è un’esperienza sensoriale, capace di giocare con le emozioni come Cliff Martinez fa col sintetizzatore. Urla elettroniche che preannunciano uno tsunami di angoscia e adrenalina, estasiando con sonorità 100% poliestere. Inutile e superficiale dire che Refn abbia creato un Solo Dio Perdona di 15 ore, perché ogni episodio vale come oro anche singolarmente, capace com’è di esprimere cinema puro, liquido, allo stato dell’arte, con una tecnica e un gusto sinceramente devastanti, mozzafiato.

È una spirale di dipendenza artistica che sfrutta un canovaccio molto semplice anche nella sua deriva esoterica, senza seguire alcuna logica da serie TV, anarchica fino in fondo senza sembrare inutilmente dilatato. Le stesse scene d’azione sono estremamente statiche, velocissime, chirurgiche. Un’opera che suona sempre fuori tempo, dispari, impossibile da anticipare, non tanto a livello narrativo quanto sul piano visivo. C’è quel gusto vagamente tarantiniano per l’assurdo e il ridicolo che si riflette su alcuni interpreti in particolare, come il personaggio di Theo (William Baldwin), milionario cocainomane tormentato da tic nervosi, dai modi schifosamente viscidi. Sono tutti fenomenali nell’interpretare la volontà del regista, abbracciando completamente il suo stile, dal silenzioso e serafico, quasi catatonico Miles Teller all’eterea Jena Malone, fino alla sensuale e spietata Cristina Rodlo.

Personalmente mi è capitato raramente di rimanere così affascinato davanti a un’opera cinematografica, osservandola svuotato da ogni pensiero, quasi in stato di trance indotto dai costanti giochi di luce. C’è davvero qualcosa di inspiegabile nelle sensazioni che trasmette questa serie, nelle corde psicologiche che riesce a suonare, come una paura infondata, una paranoia. La parabola di una società in caduta libera, con un sottotesto politico tagliente, da non sottovalutare, incredibilmente interessante per come è stato asservito al disegno generale. Amazon ha scelto con coraggio, spinta dal prestigio di avere in catalogo un pezzo d’avanguardia, che santifica Refn nel gotha del cinema contemporaneo. Se prima qualche dubbio era anche lecito averlo, oggi il regista danese ha dimostrato il suo genio, senza appello.

Stefano Calzati

Petrolhead di The Games Machine, cummenda di Gameromancer e tuttofare per il Tanzen. Scrivere di videogiochi per me è un atto d'amore dove il fattore emotivo batte quello tecnico.

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