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Toy Story 4 – Il ciclo della vita visto dagli occhi di un giocattolo

Se si pensa al percorso di Pixar in poco più di vent’anni, non risulta poi così difficile comprendere il perché sia diventata quasi sinonimo di cinema d’animazione. Da Monster & Co. a Gli Incredibili, da Alla Ricerca di Nemo ad Up, da Inside Out a Coco, e così via a continuare tra capolavori ed ottimi film, nel crescendo di una delle compagnie forse più fertili dell’intera storia dell’intrattenimento. 

Ogni percorso tuttavia ha un inizio, e quello di Pixar, se si escludono corti (tra i quali appunto il dimenticato Tin Toy) e progressi pionieri nel campo del rendering 2D e 3D, ha inizio nell’ormai lontano 1995 con Toy Story, primo clamoroso (anche sul piano tecnico) lungometraggio del team, che avrebbe sancito già in partenza il – conflittuale – legame con Disney. Trascorsi ben venticinque anni, l’acquisizione della multinazionale di Topolino e due seguiti, la serie di Toy Story ha mantenuto intatto il prestigio del capitolo apripista, imponendosi sia per un concept tanto lineare quanto efficace ed originale, sia per una scrittura sempre accessibile e mai banale. La chiusura della trilogia, semplicemente perfetta nelle singole modalità, con lo splendido passaggio di testimone da Andy alla piccola Bonnie, ha siglato con un marchio indelebile quello che sembrava a tutti gli effetti un punto ultimo nell’introspettivo arco narrativo di Woody, Buzz e del gruppo di giocattoli. Proprio a fronte di tale epilogo, la notizia di un quarto capitolo ha lasciato sospesa l’opinione di molti, spaventati al pensiero di un’evidente forzatura di ciò che fino ad allora aveva sorpreso e funzionato. Toy Story 4, vi anticipiamo, soffre per l’appunto di eredità ed aspettative così gravose, finendo per essere sì un ottimo ulteriore approfondimento di personaggi immortali, ma alla fin fine molto meno brillante sul versante creativo rispetto agli illustri predecessori. 

Prima però di iniziare, vi ricordiamo che Toy Story 4 sarà in tutte le sale italiane dalla giornata di domani. Se siete curiosi di scoprire nel dettaglio cosa ne pensiamo, non vi resta che continuare nella lettura della nostra recensione! 

Nonostante metta le proprio radici in un flashback di apertura, ambientato appena un anno dopo la fine del secondo episodio, Toy Story 4 muove quasi direttamente dalla conclusione de La grande fuga, con una Bonnie – la nuova proprietaria dei giocattoli di Andy – alle porte dell’avventura dell’asilo e come ogni bambino spaventata al pensiero di essere immersa in un ambiente diverso dalle mura domestiche. Proprio attraverso un guizzo creativo dettato dalla più infantile delle disperazioni, una forchetta di plastica diventa improvvisamente il giocattolo più importante per la bambina, prendendo il nome di Forky. Complice la natura suicida della forchetta (anch’essa viva in quanto giocattolo) che si vede spazzatura, Woody, Buzz e compagni si vedono trasformare una tranquilla settimana di vacanza estiva in un’ennesima corsa contro il tempo; se quindi l’incipit può sembrare simile a quanto fatto in passato, lo stesso non è possibile dire dei temi affrontati, consapevoli di una maggiore maturità dal consueto sapore agrodolce. 

E’ Woody ad essere al centro dei riflettori in Toy Story 4

Ed è difatti il personaggio più sfaccettato ed universale della saga al centro dei riflettori in Toy Story 4, quel Woody che tanto ha caratterizzato l’essenza di ogni singola iterazione del franchise, specchiando in sé stesso tratti esistenzialistici che esplicitano – come accennato prima – la vera natura dei film Pixar: accessibili per l’adolescente ed il bambino, abissi profondi da scandagliare per l’attento (?) pubblico maturo. Cristallizzato e forse perduto nella fedeltà inossidabile al suo ruolo di giocattolo, il temerario cowboy – scosso dall’incontro con la smarrita Bo Peep (vista per l’ultima volta in Toy Story 2) – vive un forte conflitto tra responsabilità, passato, amore ed emancipazione, tramortito tra l’altro da una presa di coscienza che si manifesterà chiaramente solo nelle battute finali. In questa nuova serie di messaggi e temi che vanno in definitiva a stravolgere il retaggio consolidato della saga, Toy Story 4 si sviluppa su un sistema che vede due principali ramificazioni: da una parte, una rinnovata attenzione alla dialettica bambino-giocattolo, attraverso Forky (in primis) e l’inquietante Gabby Gabby; dall’altra, con Bo Peep e Woody, il nuovo percorso di una libertà tracciata dall’incertezza. Un ciclo della vita che finalmente si chiude, un altro che si apre, è questo il nucleo essenziale di questo quarto capitolo. Se ne La Grande Fuga il passaggio di testimone era tra adulto ed infante, ora è da giocattolo a giocattolo, completando il processo di personificazione di esistenze mai così umane.

La qualità nella scrittura insomma non manca, ma il concept perde la vivacità del passato per rifugiarsi spesso in risate fini a sé stesse (le aggiunte Bunny e Ducky sono semplici spalle comiche) e commedia slapstick, trascurando talvolta l’attenzione all’introspezione su cui il leitmotiv dell’intreccio poggia – come al solito – le basi. Il comunque ottimo finale, d’altro canto, al netto delle dichiarazioni roboanti degli scorsi mesi, non ha neanche lontanamente lo stesso impatto di quello del terzo episodio, né nel carattere romantico (nel senso letterario del termine), né più in generale per quello che si vuole definire. Laddove gli ultimi minuti de La Grande Fuga ponevano un punto al lungo tracciato di una trilogia, la conclusione di Toy Story 4 va ad estendere e modificare il significato di quell’epilogo; si ingloba una chiave di lettura che completa la caratterizzazione di alcuni personaggi mettendone in discussione  – con un certo coraggio, questo bisogna concederlo – persino gli elementi fondamentali, in realtà recuperando qualcosa dalle questioni del secondo capitolo. 

Ad accompagnare e definire l’intreccio intessuto da Pixar si stagliano di nuovo poi le splendide musiche composte da Randy Newman, tra le quali la sempreverde Hai un amico in me e le inedite Non permetto e The Ballad of the Lonesome Cowboy, con le prime due cantate in lingua nostrana dal solito monumentale Riccardo Cocciante. Un quindi eccellente accompagnamento sonoro scorre parallelo ad un grande lavoro di doppiaggio in lingua italiana, ora orfano dell’iconica voce di Fabrizio Frizzi nei panni dello sceriffo Woody. A proposito, – su questo vogliamo rassicurarvi – il lavoro di Angelo Maggi (doppiatore di Tom Hanks, voce originale di Woody, e voce italiana del Tony Stark nel Marvel Cinematic Universe) risulta ottimo e si digerisce dopo pochissimi minuti, tanto appare fedele al personaggio – a conti fatti – più rilevante della saga. 

In conclusione, Toy Story 4 nel suo volere “forzare” il perfetto epilogo del terzo episodio risulta alla fin fine una scommessa vinta, al netto di un concept non più così brillante e molto meno di impatto rispetto al passato. Di nuovo sorprendente la qualità della scrittura ed i temi in questa contenuti ed approfonditi, attraverso una percezione caleidoscopica  che nasconde – come da tradizione Pixar – chiavi di lettura multiple. Un finale non particolarmente convincente e la natura incerta di alcuni segmenti del film non ci permettono di promuovere l’operazione a pieno, tuttavia ribadendo sempre la genuinità di quello che potrebbe essere da molti considerato il lungometraggio minore della serie.  

Simone Di Gregorio

Da sempre cinefilo e videogiocatore, passioni di una vita e forza propulsiva nel quotidiano. Scrivo, guardo e gioco, ormai da 2 anni a questa parte. Responsabile sezione cinema.

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  • Da appassionato d animazione non vedo L ora di andare a vedere questo nuovo lavoro di pixar. A dire la verità anche io ero uno di quelli dubbiosi su un nuovo capitolo della saga ma pixar è sicuramente una di quelle case che ha fiducia quasi incondizionata .

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