Hands on

Code Vein: il sangue è la via

Ogni volta che viene tirato fuori il termine Souls-like il cuore di chi, come il sottoscritto, ha fondato buona parte delle proprie eccitazioni videoludiche sul genere coniato dai ragazzi di From Software finisce velocemente in brodo di giuggiole.

E così, quando ormai diversi anni fa venne annunciato Code Vein, che prometteva di essere si un Souls Like, ma dal design e stile tipicamente manga, la mia mente ha subito tintinnato con forza, allarmando il resto del mio corpo. Qualcosa di grosso, insomma, era – potenzialmente – in arrivo, con buona pace dei miei polpastrelli e, soprattutto, del calendario fieramente disegnato e appeso accanto alla postazione da gioco.

Col passare dei mesi, però, di Code Vein si sono lentamente perse le tracce, fino a diventare un oggetto misterioso, quasi un fantasma, il cui sviluppo ha subito numerosi rallentamenti nel corso degli anni. Ora, però, qualcosa parrebbe essersi finalmente smossa: Bandai Namco ha offerto la possibilità di provare il gioco alla stampa specializzata e, successivamente, ha reso disponibile una closed beta, necessaria anche per controllare lo stato dei lavori in corso e la stabilità dei server di gioco. Inutile dirvi che non mi sono lasciato scappare l’occasione, ed ho trascorso il week end in compagnia di sangue, redivivi e gigantesche creature di ogni genere. E mi è piaciuto!

Onestamente, le mie aspettative al riguardo si erano raffreddate parecchio a causa anche di un’univoca interpretazione delle caratteristiche del gioco, sistema di combattimento in primis. Mi aspettavo un gioco dalla legnosità ingestibile e flagellato da uno scarso feedback delle armi. Fortunatamente, tutto questo si è rivelato vero soltanto in parte.

Frantumare le ossa e i corpi delle temibili creature che popolano il decadente mondo di gioco, finito ormai in mano alla rovinosa piaga di un morbo, che ha reso la razza umana schiava del sangue, non è esattamente fresco e adrenalinico come in Bloodborne o Sekiro, ma riesce comunque a restituire quella giusta dose di eccitazione. Non vogliamo girarci troppo intorno: Code Vein si ispira molto al lavoro di From Software, ma finisce col distaccarsene su alcune meccaniche, in modo quasi obbligatorio e se vogliamo involontario, riuscendo comunque ad essere divertente, appagante e assuefacente.

Questo è anche merito di un tasso di sfida solido e che spinge il giocatore a migliorarsi costantemente , ma anche di una discreta versatilità e differenziazione delle armi di gioco. Seppur caratterizzate da uno standard ormai ritrovabile ovunque (spadone, spada, martello, ascia e così via) le armi riescono a rendere ben diverso l’approccio ai vari scontri. Diventa importante anche scegliere con cura quale tipo di arma utilizzare con un certo nemico anziché con un altro, per una profondità complessiva di tutto rispetto. Questo però non vuol dire che il gioco non sembri soffrire di una sorta di “lag” permanente, che si palesa in modo nettamente più massiccio quando ci si trova alle prese con avversari di grosse dimensioni e, soprattutto, più nemici, abbracciando così anche un’ottimizzazione generale non propriamente – per ora – riuscitissima. I nemici sembrano rispondere in modo o troppo lento o troppo veloce ai nostri attacchi ma, come dicevo anche poco sopra, ciò si verifica in determinate circostanze.

Complessivamente, comunque, il tutto risulta divertente e sufficientemente appagante, ma una messa a punto generale andrebbe certamente compiuta.

Ciò che mi ha reso veramente felice è tutta la struttura generale del titolo, più semplice e accessibile su alcuni aspetti.

Ho apprezzato parecchio, ad esempio, la meccanica secondo la quale al salire di livello aumentano tutte le statistiche principali, senza dunque la possibilità di scegliere quali statistiche aumentare a favore di una o di un’altra build. E anche sotto questo aspetto il tutto è molto più semplicistico. Le “classi” sono legate al DNA del nostro redivivo, misteriosamente munito della possibilità di immagazzinare più di un codice genetico contemporaneamente. Proprio i “codici”, ritrovabili uccidendo boss o completando altre attività, rappresentano le vere e proprie classi, che apportano automaticamente modifiche allo status del proprio giocatore, con conseguenze anche sull’equipaggiamento utilizzabile.

Per dirne una: se dovessimo utilizzare il codice “Berserker” avremmo un grosso boost a parametri come la forza e il peso trasportabile, ma finiremmo col perdere rovinosamente punti dal lato della salute, della destrezza, e così via. Di conseguenza, anche l’equipaggiamento subisce tali scossoni. Se scegliamo una classe che offre poca destrezza, non potremmo più utilizzare un’arma veloce e agile e viceversa: la classe “Ranger” non può permetterci di impugnare asce e martelli pesanti, e via dicendo. Questo si ripercuote anche sul vestiario: no, non possiamo indossare elmi, cinture e pezzi singoli, bensì un unico vestito che oltre al valore estetico in se,  funge da metro di paragone tra una build e l’altra.

Ognuna di questi abiti offrirà parametri diversi, da abbinare sapientemente con la “classe” scelta e, di conseguenza, le armi più adatte. Ah, e in pieno stile ruolistico, il tutto è potenziabile con l’ausilio di oggetti che si ottengono uccidendo mostri, esplorando o dai mercanti.

Che “Souls-like” sarebbe senza parlare di boss? No, sul serio, non voglio assolutamente peccare da questo punto di vista e, per fortuna, la versione di Code Vein testata mi ha dato modo di vederne più di uno.

E, devo proprio, dirlo: che belli! I nemici “principali” delle varie aree (due, per la precisione) si sono rivelati molto piacevoli da vedere e splendidamente realizzati, anche discretamente variegati in termini di attacchi, movenze e stile in generale. Quello che non è proprio piaciuto, ad onor del vero, è un livello di sfida che queste creature offrono tutto sommato tirato verso il basso. A parte il boss “finale” della demo in questione, davvero ostico anche in situazioni di svantaggio numerico (sì, in Code Vein potrete portarvi dietro un alleato, tipo Monster Hunter World, per intenderci, ma con molti meno peli), tutti gli altri affrontati hanno messo a nudo una resistenza agli attacchi del nostro alter-ego (livellato tantissimo, lo ammetto) modesta e poco convincente.

La cosa che più mi ha lasciato sbalordito è certamente il mastodontico editor di creazione del personaggio, che permette la genesi di numerosissimi personaggi diversi tra loro e davvero splendidi da vedere. Risulta molto chiaro quanto tutto lo stile anime abbia inciso parecchio da questo punto di vista, e infatti il character design di NPC e alleati vari è davvero pregevole. Ciò che però lascia l’amaro in bocca sono le aree di gioco: quelle viste finora – seppur rappresentate da una buona varietà di segreti e mostri speciali vari – sono fin troppo scarne e simili tra loro, finendo così praticamente all’antitesi di ciò che è il restante del comparto tecnico/grafico che, in ogni caso, sembra pesantemente legato ad una sensazione di arretratezza alquanto marcata.

A chiudere in bruttezza, piuttosto che in bellezza, è l’interfaccia generale. I menù di gioco sono molto ostici da utilizzare e “pesanti” da vedere, risultando quasi sempre eccessivamente controproducenti ai fini dell’azione.

Questo primo contatto con Code Vein mi ha lasciato delle ottime sensazioni. Chiudendo un occhio su un comparto grafico abbastanza vetusto e su una legnosità di fondo su cui, tutto sommato, si può sorvolare, mi sono ritrovato per le mani un “Souls-like” derivativo, sì, ma in grado di sbandierare con forza i suoi tratti distintivi, che vanno ben oltre il semplice stile visivo figlio della sua natura da anime/manga nipponico. Un livello di sfida severo ma giusto, una buona libertà di esplorazione e il giusto punto focale sui combattimenti possono risultare la chiave di un prodotto potenzialmente molto interessante, ma bisogna capire come si comporterà in termini di longevità e, soprattutto, varietà. Intanto torno a ritentare la fortuna con l’affascinante boss segreto della mappa accessoria ritrovabile nella demo.

Salvatore Cardone

Scrivo, cucino, mangio. Spesso contemporaneamente. Necessito di più mani.

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