Hands on

Days Gone e l’hands on che vince facile

Non credo siate qui per leggere la storia di Bend Studio, che dopo sei anni di lavoro sta per dare finalmente alla luce il suo figliol prodigo, ma dovesse interessarvi ce lo scriverete nei commenti e vedremo come accontentarvi. Se al contrario aveste fretta di sapere quando, come e dove nasce, risalendo la cronologia fino al suo acquisto da parte di Sony Computer Entertainment nel 2000… beh: avete sbagliato url. Qui voglio lasciarvi solo le impressioni delle prime due ore di Days Gone, provato in quel di Milano qualche giorno fa. È altrettanto vero che un trailer non si nega nemmeno ai carcerati, quindi vi linko un video facile facile su cui perdervi per qualche minuto (ma alzate il volume).

Volendo fare un’estrema sintesi di quando ci è stato offerto durante l’hands on si potrebbe riassumere Days Gone come un action shooter in terza persona calato in un open world che ricorda quello di Horizon Zero Dawn, tanto nelle dimensioni quanto nella densità di punti di interesse, ma ambientato nel Nord Ovest degli Stati Uniti d’America dopo che una pandemia ha sterminato quasi tutta la popolazione mondiale… come in The Last of Us, sì. Il capolavoro di Naughty Dog sembra aver ispirato Bend Studio anche per la trama e il sistema di crafting, ma qui entro nel campo della speculazione e il parallelo serve giusto per darvi un’idea generale dell’atmosfera che si respira fin dal primo minuto di gioco. Terminato il filmato introduttivo si viene infatti catapultati in un mondo in rovina, popolato da – pochi e non sempre pacifici – sopravvissuti che si sono organizzati in accampamenti e case sicure, orde di “non morti” che infestano boschi o città abbandonate, ma anche di deviati allo sbando, banditi e membri di una strana setta che vaga in quella desolazione armata di fiamma ossidrica per convertire al dolore i miscredenti.

Days Gone sembra incarnare in un unicum tante feature di qualità osservate altrove come originali

Ci si muove a bordo di una motocicletta, agile e facile da controllare anche in velocità, con cui si possono coprire lunghe distanze, mentre a piedi la sensazione non è diversa da quella che si proverebbe con un The Division a caso, ma non è questo il punto. Il punto è che, almeno nelle prime due ore di gioco, tutto funziona a meraviglia, forte di una narrazione costante che guida le azioni del protagonista farcendole di cutscene come se non ci fosse un domani – le ultime indiscrezioni parlano di sei ore sulle trenta che compongono la campagna – e dialoghi… esatto: tipo God of War. Vediamo di capirci: il continuo rimando a videogiochi famosi non è buttato lì a casaccio. L’impressione iniziale, pad alla mano, è stata proprio quella di essere al cospetto di un titolo capace di cogliere alcuni aspetti di successo di “colleghi” più rinomati per riproporli in un’IP nuova e “diversamente uguale”. Non sto dicendo che il gioco sia derivativo – e nel caso lo sarebbe solo di Horizon Zero Dawn – quanto che Days Gone sembra incarnare in un unicum tante feature di qualità osservate altrove come originali.

Ora, per venire al sodo in Days Gone si spara e ci si mena: pistole, shotgun, balestre, taniche di benzina lanciate e fatte detonare con un proiettile come in Uncharted 4 (aridaje!), ma anche mazze da baseball o assi di legno raccolte da terra per colpire silenziosamente l’avversario. Al netto di un sistema di controllo che mi è parso piuttosto canonico e collaudato, il crafting di kit medici, molotov e strumenti vari avviene in game grazie a un menu radiale richiamabile con la pressione di un tasto.

la dimensione contenuta della mappa permette di sentirsi al centro di un mondo vivo e popolato

Se le missioni della campagna porteranno la trama a ricongiungersi – ipotizzo – con quanto di sospeso intuito nell’introduzione, le missioni secondarie permetteranno di approfondire il contesto all’interno del quale tenta di sopravvivere il protagonista, ma ci torneremo in sede di recensione perché quanto provato non mi permette di esprimermi sulla qualità di entrambe. Un ruolo centrale sembra però averlo la motocicletta, anche perché nel primo rifugio visitato c’era un meccanico con cui interagire e l’idea è che si potrà moddare alla bisogna. L’officina non era l’unico esercizio commerciale presente, ma non ho avuto il tempo di interrogare gli altri PNG anche a causa di un bug che mi ha costretto a chiedere l’intervento di uno sviluppatore e una mezz’ora buona l’ho persa così. Ciò che non ho potuto fare a meno di notare, però, è stata l’elevata cura con cui sono stati realizzati gli ambienti, le location all’aria aperta e la magnificenza della foresta, tra texture senza sbavature, effetti di luce, modelli rifiniti fin nei più piccoli dettagli senza mai un rallentamento o un pop up. Il trailer e le immagini a corredo dell’articolo non rendono bene l’idea del coinvolgimento offerto dal gioco di Bend Studio e mi trovo costretto ancora una volta a richiamare Horizon Zero Dawn per esplicitare quanto la “ridotta” dimensione della mappa permetta di sentirsi al centro di un mondo vivo e popolato, dove le strade diventano familiari e s’impara a orientarsi in scioltezza senza controllarla ogni piè sospinto.

Sarà che stasera ho bevuto una Corona ghiacciata con uno spicchio di limone infilato nel collo della bottiglia in memoria dei miei sedici anni, ma ogni tentativo di trovare qualcosa che in questa demo non mi ha convinto fallisce miseramente. Ho poggiato il pad sperando con tutto il cuore che ci venisse recapitata una copia da recensire il giorno stesso, pur sapendo che fino al 26 aprile il gioco non vedrà gli scaffali. Ho anche una voglia matta di dedicare del tempo al photo mode, testato giusto una decina di minuti ma foriero fin da subito di grandi soddisfazioni. Col senno di poi avrei voluto fare qualche domanda a John Garvin, il creative director responsabile di Days Gone che ha fatto una breve presentazione prima di lasciarci alle nostre postazioni… ma avrò modo di farlo prossimamente.

Roberto Turrini

Per 10 anni sulle pagine di The Games Machine ha sognato una vita a tre con Lara T'Sioni ed Elena Fisher; poi ha scoperto che non sapevano cucinare e si è dato all'autoerotismo.

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