Hands on

Ho provato Borderlands 3 a Los Angeles

Quando il primo Borderlands arrivò sul mercato, ben dieci anni fa, per me fu amore a prima vista. Avevo seguito lo sviluppo del gioco fin dalle prime fasi, quando ancora non era stato deciso di utilizzare il toon shading e la grafica sembrava quella di un generico sparatutto sci-fi. Il cambio di rotta sul fronte stilistico che Gearbox aveva operato all’improvviso mi aveva colpito in positivo: in quell’epoca di shooter tutti uguali a sé stessi il look “squisitamente cartoon” di Borderlands sembrava davvero il modo giusto per distinguersi dalla massa.

A conquistarmi del tutto fu però la componente ruolistica, quel sottofondo statistico e matematico che si intrecciava con il gameplay da FPS: quasi senza saperlo, probabilmente a causa di quell’incoscienza che ha sempre contraddistinto il team di sviluppo, Gearbox aveva inventato quelli che oggi si chiamano “looter shooter”, anni prima che soluzioni simili venissero adottate -ad esempio- dalla maggior parte dei Game as a Service.

E insomma, come dicevo, mi innamorai. Al punto che Borderlands è stato l’ultimo gioco per cui ho spudoratamente finto un malanno, così da chiudermi in casa a giocare per più tempo di quanto gli impegni quotidiani potessero concedermi.
Senza scendere troppo nei dettagli di quello che è venuto dopo, vi basti sapere che l’idillio si è ripetuto ovviamente con il secondo capitolo, apice della saga e straripante di situazioni memorabili, mentre The Pre-Sequel mi ha lasciato davvero indifferente. Fatto sta che quando quando hanno annunciato il terzo episodio, con quella copertina da urlo e la solita voglia di fare quanto più casino possibile, sono subito scattato sull’attenti. Erano almeno due anni che ad intervalli regolari chiamavo il PR di 2K per chiedergli: “ma quando arriva questo Borderlands 3?”, e i miei desideri erano finalmente esauditi.
Capite bene che quando mi hanno chiamato a Los Angeles per provare il gioco in anteprima non ci ho pensato neppure per un secondo. Cercando, però, di tenere sotto controllo le aspettative, visto che è sempre pericoloso farsi travolgere dal treno dell’hype. Analizzando i primi trailer, del resto, sembrava di distinguere il profilo di un gioco molto conservativo, non solo nello stile ma anche nelle meccaniche, e la prospettiva di avere per le mani un ben assemblato “more of the same” non era comunque da scartare.

Arrivato nella calda California, dalle parti di West Hollywood, è diventato molto più difficile imbrigliare quel brivido di esaltazione che era rimasto sempre sotto traccia. È bastato dare un’occhiata all’organizzazione dell’evento per capire che Borderlands 3 aveva qualche asso nella manica, che il team sta puntando davvero tutto su questo progetto. Duecento postazioni di gioco per ospitare, in due giorni, più del doppio di giornalisti da tutto il mondo, e inoltre la possibilità di fare due ore di streaming direttamente con la versione preparata per l’evento. Senza preoccuparsi neppure di eventuali problemi di stabilità, e portando avanti una strategia all’insegna della completa trasparenza. Quando un publisher organizza un evento così, soprattutto se si tratta di un reveal, significa che non ha davvero paura di nulla, e ripone la massima fiducia nella sua produzione.
E infatti, quando ho giocato a Borderlands 3 dieci anni dopo l’uscita del primo, storico capitolo, è stato – un’altra volta! – amore a prima vista.
Nella sostanza e nella struttura questo terzo capitolo non rinnega quello che è stato fatto dai suoi predecessori. Si parte su Pandora, ci si trova di fronte un’interfaccia tutto sommato classica (con qualche ritocco, fortunatamente, per renderla più moderna e leggibile), e ci si imbatte in un colpo d’occhio tradizionale, ancora affidato al toon shading (si chiama così perché le texture sono disegnate, e non va confuso con il cel shading, che ormai non usa più nessuno, in cui i poligoni sono “nudi” e di un colore uniforme). A tal proposito, se è vero che a livello poligonale i singoli elementi non sembrano dettagliatissimi, il colpo d’occhio generale ha un impatto estremamente efficace, almeno su PC. Le texture sono molto più definite, gli scenari sono pieni di oggetti, e il passo in avanti a livello tecnico si nota senza fatica. Il gioco gira fluido nella maggior parte dei casi, lasciando che i 60 fps esaltino al massimo il dinamismo del gunplay.

Ecco: se c’è un aspetto che mi ha davvero sorpreso, questo è sicuramente il feedback delle sparatorie, la loro ritrovata fisicità.

Il gunplay di Borderlands 3 è indiscutibilmente più piacevole rispetto a quello dei precedenti capitoli, migliorato in modi che non mi sarei aspettato. Se è vero che le statistiche delle armi contano ancora tanto (stiamo sempre parlando di un looter shooter), d’altro canto si percepisce adesso una maggiore sensazione di controllo, che fa coppia con un gunplay più diretto e brutale. Il personaggio si muove rapidamente, scivola, si sposta indiavolato tra schiere di avversari: sarebbe ingiusto dire che si arriva alla pura esaltazione degli shooter targati id Software come DOOM e Wolfenstein, ma è chiaro che il team di sviluppo ha fatto un passetto proprio in quella direzione.
Il risultato è che sparare in Borderlands 3, in definitiva, è estremamente soddisfacente; anche grazie all’eccellente differenziazione del comportamento delle armi. Un numero stratosferico di bocche da fuoco è sempre stato il tratto distintivo della serie, e questo terzo capitolo ovviamente rilancia anche su questo fronte. Ciò che più conta, tuttavia, è che le armi siano tutte molto divertenti da utilizzare, restituiscano ottime sensazioni e soprattutto aprano la strada ad una varietà di strategie senza precedenti. Avere a disposizione una mitraglietta che può essere lanciata a terra per trasformarsi in una sorta di torretta automatica, ad esempio, permette di giocare in maniera più tattica, senza avvicinarsi troppo agli avversari, mentre missili a ricerca e fucili a pompa a carica elementale puntano tutto su un approccio violentissimo e irruento. Improbabili, esagerate e sempre molto creative, le armi rappresentano ancora il fulcro della produzione, e stavolta ci saranno anche delle bocche da fuoco uniche che potremo strappare soltanto alle mani dei boss.

Il fatto che questo terzo capitolo sia stato sviluppato all’insegna della varietà lo testimonia anche la riscrittura (almeno parziale) del sistema di classi. Saranno sempre quattro (e per il momento non sono previsti nuovi arrivi con il supporto post-lancio), ma stavolta ognuno dei tre rami dello skill tree avrà una diversa abilità attiva. Così l’Operativo (ovvero il classico soldato) potrà schierare proiezioni olografiche che funzionano da esca, lanciare droni che bersagliano i nemici, o posizionare una barriera per proteggersi dai colpi avversari. L’aspetto interessante del sistema di sviluppo del personaggio è che tutte abilità attive potranno essere personalizzate grazie a delle Mod, capaci di alterarne il funzionamento. Una skill d’attacco potrà trasformarsi ad esempio in un colpo di supporto, magari riducendo lievemente il danno inflitto agli avversari per innescare però un parziale recupero della vita.
Anche dando un’occhiata alle abilità della seconda classe disponibile (la sinuosa Sirena) si nota che ci sono skill pensate per chi preferisce giocare in singolo e altre che sono chiaramente orientate al gioco di gruppo, con buff e potenziamenti estesi all’intero gruppo di giocatori.

Borderlands 3, infatti, darà il meglio di sé se lo affronteremo con un affiatato gruppo di amici, massimizzando il ritmo, l’intensità degli scontri e soprattutto il casino. D’altro canto, nonostante questa propensione per il multiplayer, l’approccio di Gearbox è decisamente virtuoso: il titolo si potrà giocare anche offline, in split-screen sul divano, e senza troppe complicazioni. Nonostante sia già stato annunciato un corposo supporto post lancio, insomma, non aspettatevi un trattamento da Game as a Service, perché anche i contenuti aggiuntivi saranno pubblicati come DLC completamente autonomi, esattamente in linea con il secondo capitolo.

Se dovessi indicare la cosa che mi è piaciuta di meno, nel corso della prova, punterei il dito sulla struttura complessiva della progressione, che procede di quest in quest, aderendo ad un meccanismo un po’ troppo tradizionale. I dialoghi e la sceneggiatura delle missioni sono sempre divertenti e sopra le righe, ma ogni tanto si avverte un po’ la tendenza a trasformarsi in “fattorini spaziali” (cit.), spediti da un posto all’altro con una scusa ogni volta diversa. Certo, le sparatorie movimentano il tutto, ma sarebbe stato gradevole vedere un mondo di gioco un po’ più dinamico, con eventi casuali e nemici sempre in agguato. Spesso succede invece che le aree della mappa si popolino solo quando accettiamo un incarico, per poi tornare ad essere un po’ vuote.
Dall’altra parte non si può che essere felici del fatto che in Borderlands 3, finalmente, lasceremo Pandora per dedicarci ad una più ampia esplorazione spaziale.

Avremo a disposizione una massiccia nave che fungerà da Hub, la Sanctuary III, in cui finiremo per ospitare personaggi ed NPC salvati durante l’avventura. Dal ponte di comando (che ricorda un po’ quello della Normandy di Mass Effect) potremo scegliere la destinazione, e a giudicare dal trailer i vari pianeti saranno molto eterogenei: nonostante la mia prova si sia svolta interamente in una delle futuristiche città di Promethea, nel filmato proiettato all’evento si intravedo giungle rigogliose, caverne spettrali e cunicoli completamente infestati da schiere di insetti. Anche su questo fronte, insomma, la parola d’ordine sembra sempre la stessa: varietà senza pari.

La prima prova con mano di Borderlands 3 convince con poche riserve. Ovviamente il titolo Gearbox ha ancora tanto da dimostrare, e i mesi che ci separano dal lancio (fissato per il 13 settembre) saranno fondamentali per tarare definitivamente le aspettative. Sono molto curioso di vedere altri pianeti per scoprire qualche dettaglio in più sul design delle mappe, sulla varietà di nemici e atmosfere, sulla caratterizzazione dei boss. Stessa cosa per le due classi che non erano disponibili in questa prima build. Soprattutto, ci sarà da capire se l’avanzamento dell’esperienza sarà legato solo e soltanto alle quest principali e secondarie, e quali attività il team avrà preparato per i giocatori che vorranno frequentare la produzione anche una volta raggiunto il massimo livello.
Per il momento, tuttavia, sono ben felice di aver trovato uno sparatutto feroce, indiavolato e brutale, molto più dinamico e fisico dei sui predecessori, nonostante l’attenzione ancora molto alta per tutta la componente “ruolistica”, legata a numeri e statistiche. La varietà di armi, la qualità della scrittura, la caratterizzazione delle classi e la tendenza a coinvolgere il giocatori in situazioni surreali, esagerate ed esplosive sono i tratti distintivi di un prodotto con un carattere davvero unico.

Francesco Fossetti

Responsabile Editoriale di Everyeye.it; gioco molto e sempre con curiosità. Scrivo, viaggio, cucino.

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