Recensione

Burning Daylight: una metafora postmaterialista

Burning Daylight è un piccolo capolavoro della metanarrativa, sviluppato da alcuni studenti universitari danesi nella cornice dell’istituto The Animation Workshop. Sul loro sito ufficiale potrete trovare decine di cortometraggi, film animati o esperienze interattive portatrici di un vettore a metà strada tra l’innovazione artistica e quello spirito underground con cui tanti studi di sviluppo indie hanno iniziato a farsi conoscere ai tempi di Braid (Jonathan Blow, 2008). Si tratta di un’esperienza breve, circa quaranta minuti, certamente acerba sul lato tecnico ma pantagruelica in quello dell’astrazione visiva su temi non distanti dalla raffigurazione che ne hanno dato i ragazzi di Playdead con il loro Inside.

Disponibile gratuitamente su Steam dallo scorso 19 aprile, Burning Daylight è un walking simulator d’essai che prende il giocatore e lo porta, per mano, lungo una serie di scenari espressionisti esplicativi degli aspetti più scabrosi della nostra quotidianità; una quotidianità voyeuristica sempre connessa a qualcosa di remoto, qui rappresentato da un visore per la realtà aumentata, intervallata da un’accezione allargata di pornografia di contenuti che insistono sulla violenza dei forti sui deboli, sulla prepotenza della civilizzazione sulla natura, sull’estremizzazione delle differenze culturali, nell’ottica di traghettare l’essere umano a uno stadio di mero consumatore (o consumattore, se vogliamo rifarci alle logiche del marketing esperienziale) in cui ciò che cerca, ciò di cui ha bisogno per essere felice, non risiede nel suo “intorno” ma è lontano, altrove, e gli viene dettato da una coscienza algoritmica senziente (peraltro doppiata in maniera magistrale).

Burning Daylight è un walking simulator d’essai che prende il giocatore e lo porta lungo una serie di scenari espressionisti esplicativi degli aspetti più scabrosi della nostra quotidianità

Il protagonista si muove in un ambiente distopico e futuristico, familiare a chi conosce Soylent Green, pellicola del 1973 tratta dal romanzo fantascientifico Make Room! Make Room! di Harry Harrison (1966) in cui la sovrappopolazione e la crisi economica globale avevano costretto la società civile a trovare risorse alimentari alternative; familiare anche a chi ama George Orwell e il suo 1984 (del 1949) per via della costante sensazione di essere osservati, come fossimo un bug di sistema in cerca di fix. Con queste premesse, il cannibalismo presente in Burning Daylight fin dal primo minuto è una metafora esplicita di un Occidente che divora se stesso; di un motore economico e industriale indifferente alle spigolosità dell’individuo se non per il suo essere, appunto, un alimento indispensabile alla crescita inarrestabile della “macchina” impersonale.

È un viaggio che passa da scenografie di grande effetto che non risparmiano atti di accusa diretti all’abuso di sesso e religione, qui inequivocabilmente oppio di un popolo addormentato e stipato in edifici alveare con tanto di numero di serie. Non mancano riferimenti al cibo spazzatura, al fitness da risveglio mattutino sulla spiaggia con gli animatori, prima del gioco aperitivo, alla realtà virtuale che genera isolamento e abbandono mentre il mondo circostante collassa sotto il peso dei rifiuti. Ogni j‘accuse è accompagnato da veri e propri quadri digitali dove l’uso del chiaroscuro, delle tonalità accese e sature, di una colonna sonora che sa cogliere il climax di ogni capitolo e di una fotografia magistrale contribuiscono a costituire un pacchetto ludico che, al netto del suo essere gratuito, non ha molti eguali nemmeno sul mercato dei titoli a pagamento.

È un viaggio che passa da scenografie di grande effetto che non risparmiano atti di accusa diretti all’abuso di sesso e religione

Ci sono dei difetti? Sì: il sistema di controllo è impreciso e in alcuni scenari si nota una specie di effetto blur su protagonista e PNG che impasta la vista nel tentativo di attirare l’attenzione del giocatore su elementi di contorno, ma sarebbero piccolezze insignificanti anche per chi non riuscisse a capire la portata “politica” di questo lavoro.

Scrivevo che si tratta di un viaggio breve ma vi chiedo di considerare questo suo limite temporale al pari dei secondi trascorsi dando un primo bacio, di sfuggita, a una ragazza (o a un ragazzo, poi dipende). Magari vi siete sfiorati solo le labbra, mentre l’altro spariva dietro alle porte scorrevoli di un vagone della metropolitana, ma quell’istante sarà valso più delle ore trascorse a baciarsi sul prato di un parco fuori città un anno dopo. Ecco: tenetelo a mente quando lo farete partire e non aspettatevi una morale o un lieto fine, ché gli sviluppatori non hanno avuto la pretesa di enucleare alcuna soluzione… ma solo un sogno, come fosse un ritorno alle origini in cui il bene e il male erano distinti, separati fin dal principio o forse uniti da sempre, come frutti di un albero immortale e preclusi agli stolti

Roberto Turrini

Per 10 anni sulle pagine di The Games Machine ha sognato una vita a tre con Lara T'Sioni ed Elena Fisher; poi ha scoperto che non sapevano cucinare e si è dato all'autoerotismo.

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