Recensione

Curon, la recensione di un mistero italiano

Curon, la nuova produzione italiana del colosso dello straming Netflix, prende il suo nome dall’affascinante paesino della Val Venosta che fa da sfondo alla vicenda. Un luogo dall’immediato sapore esoterico, caratterizzato dall’affascinante campanile che fa capolino dalle acque del lago di Resia, ultimo segno visibile dell’antico borgo, volutamente sommerso nel 1950.
Decisamente una ambientazione ideale per un thriller dalle forti tinte fantastiche che, fin dai primi momenti, riporta inevitabilmente alla mente capisaldi del genere come Twin Peaks e Shining.

Andateci però piano, poiché agli eccellenti modelli ispiratori, ahimè, questa Curon non si avvicina neppure minimamente, risultando come l’ennesima occasione sprecata, per la produzione nostrana, di sfruttare la straordinaria vetrina offerta dalla piattaforma Netflix.

I sette episodi (della durata di circa cinquanta minuti) che compongono la prima stagione, infatti, riescono nella non facile impresa di annoiare mortalmente lo spettatore e di vanificare quelle poche buone idee partorite dagli ideatori Ezio Abbate, Ivano Fachin, Giovanni Galassi e Tommaso Matano.

 

Dalla padella alla brace.

Le vicende prendono il via con il ritorno della protagonista Anna (interpretata da Valeria Bilello) nel suo paese natale, Curon appunto, in fuga da Milano con i suoi due figli gemelli, i diciasettenni Mauro (Federico Russo) e Daria (Margherita Morchio). Il motivo della fuga è da ricercare nella ricomparsa del padre dei ragazzi, un uomo con cui la donna aveva tagliato ogni legame da tempo ma che ora reclama, con deciso ritardo, di esercitare il suo ruolo paterno.

La mancanza di originalità è in effetti il primo grande problema di Curon

Da Curon, però, Anna era scappata diciassette anni prima in seguito alla morte violenta di sua madre, uccisa proprio nell’albergo di proprietà della sua famiglia. Un evento che ancora la perseguita, tormentata da incubi costanti e da domande a cui non ha il coraggio di dare risposta. Non proprio un porto sicuro, insomma, nonostante la presenza del padre di Anna, Thomas (interpretato da Luca Lionello), che vive nell’ormai disabitato albergo e che sembra custodire chissà quali indicibili segreti.

Segreti di Pulcinella, in realtà, poiché sin dai primi due episodi ogni mistero di Curon, o quasi, sarà perfettamente chiaro allo spettatore, in un crescendo di banalità e cliché immediatamente leggibili anche per chi non è particolarmente smaliziato.

 

Originalità, questa sconosciuta.

La mancanza di originalità è in effetti il primo grande problema di Curon, che risulta una copia sbiadita e quasi parodistica delle opere che cita. In generale la scrittura, quindi, è decisamente da bocciare poiché fallisce sia nel tratteggiare personaggi credibili, sia nel declinare i registri del genere di appartenenza.

Genere che, paradossalmente, è persino difficile inquadrare, dal momento che si passa dal mistery all’horror, dalla commedia al teen drama con una schizofrenia spiazzante, senza alcuna amalgama. Il motore stesso della narrazione è quasi sempre pretestuoso (a partire dall’esile motivo per il ritorno a Curon di Anna) e con rapporti di causa-effetto forzati e poco credibili.

Come se non bastasse, ad aggravare ulteriormente la situazione, vi sono una manciata di scene “ad effetto”, per lo più decontestualizzate, distribuite in maniera pressoché scientifica nell’arco della puntata (più o meno ogni quindici minuti) con il compito di mantenere viva l’attenzione dello spettatore. Un compito, nemmeno a dirlo, assolutamente mancato, con il risultato di infastidire ulteriormente lo spettatore e di minare il già incomprensibile ritmo della serie che, se da una parte corre in maniera indiavolata, dall’altro lascia un’inspiegabile sensazione di vacuità.

 

Il lupo cattivo…

E dire che il soggetto alla base della serie, per quanto già visto, poteva offrire uno spunto interessante se sapientemente maneggiato e amalgamato all’affascinante contesto made in Italy. Il tema del doppio, alla base della vicenda, è ben simboleggiato dallo specchio d’acqua del lago di Resia e dal suo campanile, “a cavallo tra due mondi”, quello sommerso e quello emerso, che nella serie rappresentano il buono e il cattivo che c’è in ciascuno di noi.

A porre però la pietra tombale sulla riuscita del progetto è, ahimè, il registro recitativo, enfatico e innaturale

Peccato che, oltre a questo, la serie sia infarciti di simbolismi assolutamente banali e ridicoli, talvolta completamente privi di significato: crocifissi, maschere diaboliche, lupi e così via, in un tripudio di oggettistica orrorifica che, più che spaventare, fa tenerezza per l’uso ingenuo che ne viene fatto.

A porre però la pietra tombale sulla riuscita del progetto è, ahimè, il registro recitativo, enfatico e innaturale al punto da far ridere laddove dovrebbe spaventare e creare tensione (non di rado vi capiterà di pensare ai finti trailer di Maccio Capatonda). In generale le performance degli attori sono ben al di sotto della sufficienza e non riescono a salvare le sorti di personaggi comunque bidimensionali e scritti male.

 

…e il lupo buono.

Vi sono però anche delle note positive in Curon e che non fanno che aumentare il rammarico per quello che doveva essere un prodotto capace di competere con altri prodotti di genere presenti sulla piattaforma, perlomeno altri prodotti europei (il primo pensiero va inevitabilmente all’ottima serie tedesca Dark).

La nota più positiva è senza dubbio la fotografia che, pur con alti e bassi, riesce comunque ad elevare la qualità del prodotto. Peccato sia supportata da una regia poco lucida (che incappa anche in qualche scavalcamento di campo), da un montaggio che disinnesca sistematicamente la tensione attraverso tempi sbagliati e da musiche non originali che strizzano l’occhio ai quattordicenni (in bilico tra rap e pop) ma che risultano assolutamente fuori contesto.

Infine la rappresentazione del “doppio”, della quale non posso dirvi di più senza il rischio di incappare in qualche spoiler, è interessante nella misura in cui tratteggia il bene e il male in maniera fluida e non assoluta.

Curon è purtroppo l’ennesimo passo falso produttivo di Netflix in Italia. Una serie senza identità che vuole essere tutto e finisce per non essere nulla, confusa e a tratti involontariamente ridicola. Per qualche ragione il nostro paese non riesce a tenere il passo qualitativo degli altri paesi (europei ed extra europei) in cui il colosso americano produce. Questo, purtroppo, è il vero mistero italiano di Curon.

Se siete appassionati di mistery paranormale troverete su Netflix, e non solo, prodotti decisamente più validi. Se invece volete provare a dare una possibilità a Curon, la serie sarà disponibile a partire dal 10 giugno.

 

Leonardo Alberto Moschetta

Appassionato di videogiochi dal lontano...ehm..troppo tempo. Amo ogni genere di audiovisivo, in particolare il cinema, al punto da aver trasformato in lavoro questa mia passione. Tra le altre mille passioni: Giappone, Cibo, Vino, Musica, un po'di sport (il fantacalcio conta?), letteratura, fumetti e...

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