Vi potreste accontentare nel sentirvi dire che DiRT Rally è per distacco la miglior simulazione rallistica mai scesa in Terra, e un’opera che può permettersi di guardare tutti gli altri suoi simili dall’alto al basso di un posto fisso nell’Olimpio ludo-motoristico. Ma quarantuno parole, per quanto lusinghiere e senza possibilità di ricorso, svilirebbero sia questo spazio concesso dal Tanzen che il mastodontico lavoro tecnico-emotivo di una software house che vive tra benzina, fango, grasso e contagiri perennemente in “zona rossa”, per sempre nella memoria di Colin McRae, fidato consigliere, prima che testimonial, dei loro primi progetti su sterrato e ormai parte del loro spirito, stimolo costante al miglioramento estremo sull’altare dell’amore per questa disciplina. DiRT Rally è un tuffo al cuore perpetuo, accompagnato da un bagno di adrenalina in cui il cuore galleggia e trasforma l’elettrocardiogramma nell’altimetria di una tappa finale del Giro d’Italia ad ogni scandinavian flick, ogni dosso, ogni salto, credendo di avere un mancamento nel vedere una Delta lanciata a velocità penali nella ghiaia greca.
Per alcuni è pura pornografia (come biasimarli?), per altri arte digitale nel simulare 1:1 emozioni reali, quelle della guida estrema, del controsterzo e della natura selvaggia che ci sfreccia davanti. Per quanto siano disponibili svariati eventi e campionati in cui primeggiare, il senso ultimo dell’acquisto di un titolo del genere è la volontà di dominare macchina ed elementi. Una lotta contro il tempo e la propria abilità, brutale, frustrante, furiosa, perché perfetta nella fisica, nel realismo di ogni ingranaggio che compone il suo meraviglioso meccanismo, nella maniacale ricostruzione “tattile” dei diversi tipi di terreno e delle reazioni meccaniche che ne conseguono. Ce ne si accorge subito, tolti dopo pochi minuti tutti gli aiuti alla guida (o quasi) e impostata la visuale interna come unica opzione possibile, di quanta differenza faccia la manualità del giocatore, la sua sensibilità su freno (soprattutto a mano), acceleratore e sterzo. Disabilitare l’ABS permetterà di sfruttare tutta la corsa del pedale/grilletto per bloccare strategicamente le ruote nel punto giusto, intraversando l’auto e permettendo un’uscita di curva fulminante. Strumenti di chirurgia motoristica, mezzo virtuale per la soddisfazione totale, raggiungendo la beatitudine del controllo perfetto attraverso allenamento, dedizione e tantissimi fuoripista, incidenti, imprecazioni, proprio quando tutto sembrava indomabile, dosando (la pressione sui pedali/grilletti) oltre che osando.
“Straight road are for fast cars, turns are for fast drivers”
C’è qualcosa di miracoloso nelle sensazioni che ogni terreno riesce a restituire; l’auto morde il fondo stradale, reagendo anche al più piccolo sassolino, avvallamento, lastra di ghiaccio, tutto calcolato dall’Ego Engine in tempo reale, quando altri titoli, anche in tempi moderni, si limitano a farcela scivolare sopra come se tutto fosse cosparso di olio d’oliva. Si gioca sul millimetro, sulla precisione più che sulla velocità pura, sull’anticipo più che sui riflessi, studiando più che improvvisando. È estremo, bellissimo, dal gusto pieno e inconfondibile, un piacere riassumibile in un solo gesto, quello della derapata perfetta in freno a mano, alla corda del tornante come un equilibrista del Cirque du Soleil, lasciando il retrotreno libero di scodinzolare gioioso mentre le ruote anteriori stanno già pensando alla prossima curva, essenza di uno sport che è slalom tra le avversità del creato. Ogni meraviglia estetica e ingegneristica che andremo a guidare ha senso di essere provata, amata, odiata, accorgendosi di quanto le caratteristiche e la stessa identità di questo sport sia cambiata dagli anni ’60 ad oggi, dalla Renault Alpine A110 alla Wolkswagen Polo Rally, passando per le leggendarie e folli “Gruppo B”, gli anni ruggenti tra Delta e Quattro.
È Storia, gloriosa e immortale, a portata di divano. Tutto fantastico al tatto, e quando si passa la palla dell’emozione a vista e udito la musica non cambia. Grecia, Montecarlo, Svezia, Galles, Germania, Finlandia, declinate in mille combinazioni diverse di orari, stagioni e condizioni meteo, esaltate dalla pulizia dei sessanta quadri al secondo senza il minimo sussulto che santificano la bellezza da copertina di Madre Natura, capace di incute timore reverenziale al solo sguardo. Tramonti di fuoco sul brullo entroterra ellenico, dolcemente offuscati dalla fine polvere dorata che si leva al nostro passaggio; i tornanti montani del Principato, tempestati di ghiaccio come fossero la montatura di un collier di diamanti, strettissimi, nebbiosi, quasi fiabeschi; Tappe graziate da un track design allo stato dell’arte che asseconda il paesaggio senza deturparlo, trovandosi a inseguire la gloria a pochi centimetri da uno strapiombo mentre il tachimetro indica 120km/h, altre nelle tenebre, illuminate solo dal cono di luce dei nostri fari, ringraziando la suggestiva gestione delle luci in tempo reale e mettendo nelle mani del copilota (doppiato non così benissimo, bisogna dire, con alcune traduzioni abbastanza “originali” di termini tecnici) il destino di ogni curva cieca, perché il rally è anche una disciplina di ascolto e fiducia.
“We’re here for a good time, not a long time”
Audio che entra in gara non solo tramite il nostro prezioso passeggero, ma che avvolge tutto l’abitacolo. Gli pneumatici che grattano sulla ghiaia cercando trazione in uscita da un tornante, i piccoli sassi che sbattono sul pianale e gli scarichi che scoppiettano di piacere al cambio di marcia, solo un piccolo esempio del coinvolgimento uditivo che danza all’unisono con quanto accade sul tracciato, un piacere costante come il frusciare della pioggia battente, rinfrescante e rilassante purché pericolosissima e viscida in termini fisici. Un prodotto che Codemasters ha confezionato con amore puro, accudito per tutti gli anni passati nella prigione dorata del simcade, nella serie DiRT principale (continuata l’anno scorso con l’ottimo, e pesantemente influenzato da “Rally”, quarto capitolo), partita a 32-bit nel nome di McRae e via via sempre più dispersiva, pluridisciplina, particolarmente yankee, ridimensionando l’anima rally in nome del triumvirato “varietà-accessibilità-spensieratezza”, sulla scia degli show motoristici 2.0 del geniale Ken Block. Quasi uno spin off dedicato a chi da troppo tempo era orfano di questa declinazione motoristica in formato virtuale, un respiro a pieni polmoni in alta montagna, un ritiro spirituale che da due anni accoglie nel suo Nirvana quanti hanno avuto il piacere di mettercisi al volante, dimostrato davvero quanto può dare questa generazione alle simulazioni motoristiche.
Ho giocato DiRT Rally per due anni e un numero di ore a tre cifre, suddivise tra Xbox One e PlayStation 4, giusto per non farmi mancare niente, trovando un "giocattolo" simulativo perfetto in grado di settare nuovi standard per il genere e farmi tornare indietro nel tempo a Colin McRae Rally 2.0
DurataUn’opera di livello assoluto, un capolavoro completato dalla licenza ufficiale FIA World Rallycross Championship, spettacolari gare su circuiti chiusi e superfici miste, sei contro sei, che poi in verità rappresenta l’anello debole della produzione, perfezionatissimo poi nel già citato DiRT 4, e dall’Hill Climb, disciplina tipicamente statunitense che prevede la scalata, senza copilota, dei vari tratti stradali che si inerpicano sul Pikes Peak, una delle cime più alte delle Montagne Rocciose, Colorado. Un diversivo adrenalinico alla guida di auto appositamente settate e sovralimentate, capaci di picchi di velocità folli e per questo divertentissime ed estreme.
Se non vi siete ancora rotolati in questo splendido fango recuperate la “Legend Edition” e guardate, prima di mettere mano al pad, il meraviglioso documentario allegato sulla vita di Colin McRae, tutt’oggi il più giovane campione del mondo di sempre. Uno che guidava in maniera feroce, oltre il limite, dentro o fuori, sempre col diavolo alle calcagna e conscio di cosa il pubblico volesse da lui: puro spettacolo. Per questo o vinceva per distacco o veniva tirato fuori dal roll bar dai soccorritori. “Se hai tutto sotto controllo, vuol dire che non stai andando abbastanza veloce”. Questo era lo scozzese, la sua essenza e filosofia di vita/guida, ciò che ci è rimasto quando nel 2007 non è più sceso da quell’elicottero che lui stesso pilotava. Commuovetevi e poi emulatelo al volante della sua Impreza o della sua Focus, cogliendo, anche da profani, anche dalla poltrona, l’immensità, l’eroismo e l’eleganza di questo sport.
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