Recensione

Divinity: Original Sin 2 – Definitive Edition

Le catene attorno alle caviglie e le manette ai polsi sembrano cigolare all’unisono, seguendo lo spartito dettato dalle onde del mare. All’interno di una stiva buia, tra alambicchi e tavoli da tortura, giace il nostro corpo pronto a risvegliarsi. Prigionieri dei Magister dell’Ordine Divino, gli Origomanti sono il carico speciale della Serenissima, imbarcazione militare con destinazione Forte Gioia. In quell’avamposto da cui pare non esservi via di fuga, quest’ultimi dovranno essere privati della Sorgente, la fonte magica di natura divina tanto temuta dai comuni mortali. Stando alle accuse dei nostri aguzzini, proprio il suo utilizzo avrebbe causato uno squarcio nel Velo tra i mondi, permettendo l’invasione dei letali Risvegliati del Vuoto. A differenza delle sventurate vittime destinate alla barbarie del mutismo, noi non siamo degli Origomanti qualsiasi: in quanto Eletti e protagonisti di questa incredibile avventura, il nostro fato prevede l’ascesa alla divinità, per sostituire lo scomparso Lucian e sorpassare gli stessi Sette. Quella narrata con maestria da Larian Studios è un’esperienza ricca e coinvolgente, un prodotto confezionato con amore e cura per i dettagli. Prima su PC e ora anche sulle nostre console grazie alla Definitive Edition, Divinity: Original Sin 2 s’è rivelato come uno dei giochi di ruolo più validi di questa generazione. Con imperdonabile ritardo, accingiamoci a recensire le gesta di Fane, Sebille, Ifan e di tutti gli altri Godwoken.

Per il bene del Rivellon

Quello che sembrava viaggio tranquillo, nonostante la sua terribile destinazione, celava una macchinazione oscura volta al sabotaggio. Tra i passeggeri della nave era stata imbarcata anche la perfida Windego, una strega malvagia al servizio del misterioso Dio Re: con un’esplosione di sorgente e l’attacco di un Kraken del vuoto, lo scafo era stato ridotto in mille pezzi e il nostro corpo sembrava oramai relegato alle correnti marine degli abissi più profondi. Salvati in extremis da una voce saggia e celestiale, ci ritroviamo ora incolumi sulla spiaggia di Forte Gioia. Dopo aver superato una fase d’addestramento sull’imbarcazione, è proprio sulla terraferma che possiamo muovere i primi passi, avventurandoci in un mondo ricco di pericoli, personaggi e missioni da affrontare. All’interno del campo di prigionia facciamo la conoscenza di tutti gli altri membri dell’equipaggio, formando di volta in volta quello che diverrà il nostro party e cooperando non solo per sfuggire al giogo dei Magister ma anche per compiere il destino di ogni singolo comprimario. Sin dal primo momento appare molto chiara la qualità della narrazione, introducendo ogni capitolo con sequenze animate e dialoghi sublimemente architettati. È possibile perdere intere ore di gioco semplicemente conversando con i nostri compagni, con gli NPC, leggendo libri e – perché no – scambiando due chiacchiere con anime defunte e animali selvatici. Proprio il padroneggiare l’arte oratoria riesce ad aprire nuovi spiragli verso soluzioni alternative, metodi secondari per portare a termine gli incarichi più disparati: perché cercare il proprio obiettivo estorcendo informazioni con fatica quando si potrebbe chiedere tutto ciò, con la dovuta cortesia, a un ratto delle fogne?

Fin dal primissimo atto, il diario costituisce il vostro miglior amico, permettendovi non solo di ripercorrere le cronache, gli eventi passati e i dialoghi, ma anche di tenere sempre traccia delle missioni. Proprio le quest sono presenti in abbondanza e terminandole riceverete, oltre ai punti esperienza, una ricompensa a scelta. Certo non mancano i soliti riempitivi, altresì noti come missioni “fuffa” ma la maggioranza degli incarichi sapranno stupirvi grazie alla loro qualità. Dagli obiettivi più assurdi – come favorire la storia d’amore tra un topo e una tartaruga – a quelli dall’elevato fascino, i suddetti sanno come intrattenere il giocatore, il quale perderà spesso e volentieri la cognizione del tempo. Seppur valida o comunque nella media, la gestione delle missioni presenta cionondimeno alcune falle, come marker sulla mappa non sempre presenti e indicazioni talvolta fin troppo fumose. Ogni personaggio possiede inoltre una propria storyline personale da portare a termine, con le dovute attenzioni sia chiaro: il fine di uno potrebbe coincidere col fallimento di un altro comprimario. Starà a voi quindi scegliere con cautela quale compagno contare nel vostro gruppo, optando sempre per una risoluzione pacifica degli alterchi. Gli intrecci realizzabili sono numerosi, così come i bivi davanti ai quali vi troverete nel corso della narrazione. Uno storytelling curato nel minimo dettaglio e tanti finali differenti conferiscono ancor più valore a un’esperienza unica, piacevolmente rigiocabile e da custodire gelosamente nel proprio cuore.

Sette Eletti, infinite possibilità

Come affrontare la modalità Storia di Divinity: Original Sin 2 sta totalmente ai nostri gusti. È possibile partire per il viaggio completamente soli oppure farsi accompagnare da altri tre protagonisti. La forza del titolo di Larian Studios risiede anche in questo: la gestione del party è semplice ma accurata e sa fare la gioia sia dei giocatori più pignoli sia di quelli più permissivi. Una volta aggregatosi alla nostra squadra, ogni personaggio ci chiederà di scegliere un proprio campo di specializzazione. In base alle nostre esigenze potremo optare per un guerriero, un ladro, un mago, un cacciatore e tante altre classi. Proprio il numero di opzioni e talenti riesce a mostrare fin da subito tutte le potenzialità dell’editor iniziale: oltre agli Eletti già esistenti, il giocatore potrà scegliere d’impersonare umani, non-morti, elfi, nani o lucertole, selezionando aspetto fisico, origini, carattere e addirittura lo strumento musicale preferito. Ogni razza possiede inoltre facoltà innate, le quali possono renderci più facile la vita nel corso dell’avventura. Fane e gli scheletri in generale, ad esempio, possono scassinare qualsiasi serratura grazie alle loro dita ossute, mentre il Principe Rosso può dissotterrare i tesori senza l’ausilio del badile grazie alle sue zampe. Il divertimento però inizia con la nostra specializzazione, la selezione delle abilità base e due dei numerosissimi talenti a disposizione. Questi ultimi garantiscono – oltre a un elevato fattore di rigiocabilità – un gameplay sempre fresco e variegato: Amico degli Animali ci consente di parlare coi nostri amici a quattro zampe; Lupo Solitario fornisce bonus non indifferenti a coloro che affronteranno il gioco in solitaria; Boia ci premia con punti azione aggiuntivi dopo l’uccisione di un nemico. Quelli elencati sono solo una piccolissima parte di un grande insieme, al quale se ne aggiungono altri guadagnabili tramite apposite missioni secondarie. Investire i propri sudatissimi punti esperienza in una singola classe non implica che quella debba essere per forza la nostra unica via. Oltre a poter mischiare le carte in tavola, scegliendo di unire ad esempio la magia alla destrezza o alla forza bruta, in Divinity 2 è possibile – da un certo punto in poi della trama – effettuare il respec di ogni singola abilità. Non è quindi escluso che un negromante possa diventare un arciere, che un incantatore diventi un guerriero dotato di ascia e nemmeno che un prode spadaccino inizi a destreggiarsi nell’evocazione di demoni. Le combinazioni sono potenzialmente illimitate e saranno ostacolate solo dalla nostra immaginazione. Tutte le abilità a disposizione garantiscono numerosi metodi d’approccio a ogni situazione, spaziando dai danni ad area fino alle pugnalate multiple. Ad affiancare le consuete specifiche belliche e i talenti unici ci pensano le sempreverdi specializzazioni sociali: potenziare il furto ci consente di borseggiare i personaggi (cosa fondamentale per chi gioca alle massime difficoltà), l’identificazione permette di sbloccare equipaggiamenti arcani, Buona Stella aumenta le chance di trovare loot pregiato mentre aumentando la persuasione avremo più successo nei dialoghi a scelta multipla.

Tralasciando alcune delle piccole chicche sopra elencate, tutto quello di cui vi abbiamo finora parlato parrebbe all’ordine del giorno per un gioco di ruolo occidentale. A strabiliare il giocatore non è infatti nulla di ciò: il vero gioiello della corona di Divinity: Original Sin 2 è il sistema di combattimento. Quello che apparentemente sembrerebbe un canonico apparato di scontri a turni raggiunge vette di tatticismo impressionanti, il tutto con la leggerezza di un gioco d’azione. Il famigerato Mana e la stamina sono stati totalmente rimpiazzati dai Punti Azione, vitali per sferrare attacchi, utilizzare magie e compiere qualsiasi tipo di movimento. Guai però a pensare che le sorprese si fermino qui: come precedentemente detto, il gameplay è incredibilmente stratificato e nasconde un gran numero di fattori da considerare. Così come nel mondo reale, anche nel titolo di Larian Studios la fisica non è qualcosa di trascurabile e sarà allo stesso tempo nostra alleata e nemica. Un arciere può sfruttare a proprio vantaggio le alture per infliggere danni maggiori ai nemici, mentre le pozze d’olio potranno rallentarci o addirittura infliggere danno una volta date alle fiamme. Tutte le superfici elementali presentano determinati malus – come “Ardente” o “Avvelenato” – ma si rivelano ugualmente utili se utilizzate come esche per gli avversari. Una volta estinte con l’acqua, le fiamme si tramutano in vapore, il quale può essere condensato ed elettrificato dalle giuste abilità. Le superfici sulle quali poggiamo i piedi sono quindi parte fondamentale del combat system, così come lo studio di tutto il terreno di scontro, dalle zone sopraelevate alle trappole. La parola chiave che potrebbe riassumere il tutto sarebbe tranquillamente “libertà”, non solo tattica, ma anche di scelta e d’approccio. Qualora un nemico fosse troppo potente da sconfiggere in un normale scontro, nulla ci vieterebbe di far scorta di barili esplosivi, posizionarli strategicamente e dare inizio alle danze. Allo stesso modo, aree inaccessibili a piedi possono essere raggiunte grazie alla magia del teletrasporto, con la quale possiamo traslare non solo i personaggi nemici e alleati, ma anche bauli e tesori nascosti. Susperare ostacoli apparentemente insormontabili è ugualmente semplice: avete bisogno di un oggetto ma il suo possessore è davvero un osso duro? Basterà distrarlo con un personaggio, mentre con un altro membro del party potrete mettergli le mani in tasca e sottrargli il malloppo. Le porte possono essere scassinate o – con molta ignoranza – sfondate, i forzieri possono essere aperti con le cattive maniere, tutto può essere aggirato con la giusta dose d’ingegno e fantasia. In Divinity: Original Sin 2, se potete pensarlo allora molto probabilmente potrete anche farlo. Quanto finora detto è di vitale importanza per sopravvivere all’esperienza delle difficoltà maggiori, dove aguzzare l’ingegno non è solo essenziale per ottenere un gran senso di soddisfazione e progressione, ma anche per tenere al sicuro la pelle. Nella fattispecie, la modalità Onore – di cui abbiamo già parlato in un articolo separato – è qualcosa di brutale e punitivo: intelligenza artificiale dei nemici superlativa, salvataggi limitati a un solo slot, autosalvataggio non disattivabile che scatta dopo la dipartita di un personaggio, morte permanente e Game Over una volta morto tutto il party. Sì avete capito bene, dovrete ricominciare daccapo un gioco da oltre sessanta ore.

INFO UTILI

Divinity Original Sin 2 è un titolo sconfinato e riuscirà a catturarvi anima e corpo, grazie a una campagna rigiocabile e sconfinata. La Definitive Edition per PlayStation 4 presenta - oltre allo stesso gioco base per PC - anche i testi completamente tradotti in Italiano. Ne consigliamo l'acquisto a tutti gli amanti dei giochi di ruolo vecchio stile.

Durata
  • Dallesessanta alle cento ore di gioco
Struttura
  • Combattimento tattico a turni.
  • Navigazione libera per le mappe.
  • Aree ampie e falso open world.
  • Narrazione curata e dialoghi a scelta multipla.
  • Tanti finali differenti.
  • Gestione del party oculata e accattivante.
Collezionabili e Extra
  • Missioni segrete da scoprire nel gioco
Scheda Gioco

Come i giocatori PC avranno già intuito, Divinity dà il meglio di sé con mouse e tastiera, coi quali gestire i menù e gli scontri sarà molto più rapido e facile. Ci sentiamo però in dovere di specificare che non abbiamo riscontrato particolari difficoltà nel portarlo a termine su PlayStation 4. Esattamente come accadde molti anni fa con Dragon Age Origins, il pad non ci ha fatto penare le sofferenze dell’inferno, anzi il tutto è risultato più semplice del previsto. La visuale tattica dall’alto inoltre può essere di grande aiuto durante gli scontri, per selezionare con cura i nemici e scegliere dove eseguire una determinata azione senza il pericolo di sbagliare. Nel caso non facciate parte della  cosiddetta Master Race, non sentitevi tagliati fuori: Larian Studios ha fatto in modo che anche voi possiate godervi l’avventura dei Godwoken a livelli accettabili. Infine, cosa rispondereste se vi dicessimo che è presente anche una componente multigiocatore? Normalmente sarebbe una notizia che farebbe storcere il naso ai più ma fidatevi, Original Sin è tutt’altro che il classico “scontro online”. Certo, è possibile scendere nell’Arena e combattere contro altri giocatori, il tutto secondo turni, strategie e regole scandite dal calmo ponderare, oppure avviare la modalità Game Master e creare una campagna personalizzata da condividere in pieno stile Dungeons & Dragons. Quello che però vorremmo davvero elogiare è la possibilità di vivere il viaggio in compagnia dei propri amici. Una volta invitati, compari di tutti i giorni o perfetti sconosciuti potranno iniziare una nuova storia assieme a noi, cooperando per il bene di tutto il team o mettendoci vicendevolmente i bastoni fra le ruote per ottenere il potere delle divinità. Non importa che vi sabotiate o sappiate andare d’amore e d’accordo: tra una combinazione di forze e una grandissima caciara, Larian Studios ci ha fornito ore divertimento sfrenato.

Un piccolo, grande mondo

Non sarà di certo il più vasto o il più originale tra gli ecosistemi videoludici, ma il Rivellon di Divinity: Original Sin 2 ci ha impressionati. A dispetto di un’estensione piuttosto contenuta, le cinque maggiori mappe hanno racchiuso una miriade di dettagli in piccoli spazi. Con un’illusione da mondo aperto, abbiamo esplorato ogni area disponibile, passando alla successiva al termine dei capitoli principali. Purtroppo non è possibile tornare sui propri passi ed è consigliato completare tutte le missioni prima di avanzare oltre. Non facendo leva su di una mitologia fantasy innovativa, illustratori e sviluppatori hanno concentrato i propri sforzi nella creazione di un mondo che fosse “bello da vedere”. A partire dalla gigantesca isola di Forte Gioia fino alla splendida cittadina di Arx, ogni luogo pullula di animali, NPC, oggetti con cui interagire ed elementi da ammirare. Nonostante l’inquadratura non favorisca l’osservazione ravvicinata, è possibile ammirare nei menù la fattezza di armi e armature, le quali cambiano look a seconda della razza dei personaggi a cui sono equipaggiate. Promuovere a pieni voti il comparto artistico è quindi cosa buona e giusta, specialmente dopo esserci persi nella bellezza di alcune illustrazioni, come quelle dei dipinti durante la selezione della difficoltà, quelle delle schermate di caricamento o nei crediti finali. Allo stesso modo la colonna sonora svolge un lavoro egregio, con brani epicheggianti che ricordano molto da vicino i temi di Dragon Age e de Il Signore degli Anelli. Trovano però spazio anche motivetti più allegri e che più facilmente riescono a conficcarsi nei nostri cervelli, come quelli delle taverne o della Lady Vendetta, la nave dell’improbabile gruppo di Eletti. Spese parole lusinghiere per un reparto artistico di gran caratura, è altresì tempo di sottolineare alcuni difetti di quello tecnico. Il divario tra home console e PC in questo caso è ancor più lampante: non capiterà di rado che il framerate subisca cali vertiginosi durate i combattimenti più “esplosivi” (come quello delle Pozze Nere), che il cursore per le abilità schizzi via tra le stelle e che le texture impieghino più di qualche istante per caricarsi. I trenta fotogrammi al secondo e i 1080p di risoluzione non sono quindi sempre garantiti ma su tali lacune è possibile chiudere un occhio, specialmente se si considera l’eccezionale qualità complessiva del prodotto.

Due giorni e diciotto ore: il salvataggio della Modalità Onore ci tiene a farci sapere quanto tempo della nostra vita, complessivamente, abbiamo trascorso in compagnia dei nostri amici Origomanti. Quasi dispiace dover abbandonare il Rivellon, nonostante il trofeo di platino testimoni come non ci sia più quasi nulla da fare. Questa è una menzogna e lo sappiamo benissimo: Original Sin 2 ha dimostrato di essere una vera cornucopia di segreti, piccole perle nascoste che attendono ancora oggi di essere svelate. Se volessimo davvero sapere tutto ciò che giace nei meandri di questo meraviglioso mondo, dovremmo sacrificare fin troppi giochi. Forse è bene che certe cose restino lì dove sono, avvolte nel manto nero dell’ignoto. Anche questo sequel del primo meraviglioso Divinity ha però un luogo ben preciso ove riposare: il nostro cuore. Larian Studios ha confezionato un piccolo, grande tesoro da custodire e ricordare, anzi probabilmente sarebbe bene erigere in suo onore un altarino e rendere grazie per uno dei migliori giochi di ruolo di questa generazione. Nel caso siate appassionati del genere o più semplicemente curiosi, non lasciatevi sfuggire un’esperienza fantasy più unica che rara, un viaggio personale, un’evoluzione intima nonché – in poche parole – una gran figata.

Farow

Un tempo avevo voglia di alzare il mondo. Ora al massimo alzo il volume alla TV.

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