Anni prima che Squaresoft diventasse un punto di riferimento per tutti gli amanti di JRPG, e prima ancora che il suo Final Fantasy VII rivoluzionasse più avanti il concetto stesso di “gioco di ruolo”, rendendolo di fatto diffuso anche fra quei giocatori che nemmeno sapevano fino a quel momento cosa fossero termini quali “Skill Point” o “HP Level”, la serie Dragon Quest (fuori dal Giappone conosciuta come Dragon Warrior), iniziava il suo percorso all’interno di quel genere di cui sarebbe stata a sua volta fonte di ispirazione.
Era infatti il lontano 1986 quando Enix rilasciava sul mercato un gioco di ruolo nato dalla mente dello sceneggiatore Yuji Horii, che si era ispirato a giochi come Wizardry e Ultima, dalla fantasia dell’artista Akira Toriyama e da quella del compositore Koichi Sugiyama. Un primo episodio che avrebbe dato vita a una delle più importanti saghe della storia dei videogame, oggi composta da diversi spin-off e undici capitoli regolari, l’ultimo dei quali, Dragon Quest XI: Echi di un’Era perduta, appunto, è il protagonista di questa nostra recensione.
Dragon Quest XI: Echi di un’era perduta arriva in Italia un anno dopo l’uscita originale. Questo perché Square Enix ha deciso di apportare alcune sensibili modifiche alla struttura del gioco col preciso obiettivo di renderlo più appetibile al mercato occidentale. Niente di eclatante, comunque: parliamo infatti dell’aggiunta delle voci in inglese, di una modalità missione estrema che offre sfide aggiuntive per i giocatori più esperti, di una nuova funzione per correre, menu e interfaccia utenti più intuitivi, e una modalità foto che permette ai giocatori di fotografare in dettaglio i paesaggi, i personaggi e i mostri del gioco.
Entrando nel dettaglio, invece, il titolo racconta di un giovane cresciuto nel tranquillo villaggio di Roccapietra che dopo aver partecipato alla cerimonia di passaggio all’età adulta del suo villaggio, scopre un’incredibile verità: infatti è la reincarnazione del leggendario “Lucente”, un eroe che ha salvato il mondo in epoche passate, ed è destinato a fare grandi cose… Ma dopo aver rivelato la sua vera identità, l’eroe viene marchiato come “Figlio dell’Ombra” e l’esercito inizia a dargli la caccia. Durante la sua fuga, raduna un gruppo di coraggiosi avventurieri, tra i quali la guaritrice Serena, il ladro Erik dai capelli blu e il vecchio misterioso Rab. Questi credono davvero alla reincarnazione del Lucente e con lui partono per un viaggio che li porterà ad attraversare continenti e oceani, dove scopriranno una terribile minaccia che incombe sul mondo.
Dragon Quest XI presenta la struttura classica di molti JRPG, con una trama poco originale ma divertente da seguire e non priva colpi di scena, varie locazioni da esplorare, personaggi che seguono la loro routine quotidiana con cui interagire per raccogliere informazioni o incarichi, negozi da visitare per comperare tutto il necessario per le missioni, e mostri che si comportano in modo diverso a seconda dell’ambiente in cui si trovano, da abbattere per farsi largo nell’avventura e racimolare punti esperienza.
La crescita di ogni personaggio è gestita direttamente dall’utente attraverso la Griglia delle Abilità, sopra la quale si possono usare i punti abilità ottenuti in battaglia per “insegnare” nuove magie e tecniche agli eroi, e migliorarne le caratteristiche. Altre se ne possono poi sbloccare “muovendosi” sui pannelli della scacchiera: quando se ne attiva una, quelle circostanti diventano a loro volta disponibili, ampliando le opzioni.
Tutto questo permette di schierare sul campo di battaglia quattro personaggi alla volta attrezzati per affrontare orde di mostri coloratissimi e dall’indole a dire il vero piuttosto buffa, in combattimenti caratterizzati dalla canonica struttura a turni. Gli avversari sono visibili sullo schermo, pertanto è possibile evitarli o attaccarli per prima per cominciare lo scontro con un piccolo vantaggio quando il party viene “trasportato” nella classica schermata della battaglia.
Il sistema di combattimento è semplice e intuitivo, con i classici attacchi fisici e magici e le abilità univoche di ogni personaggio da alternare abilmente per sfruttarle a dovere in base alle caratteristiche e alle debolezze dei nemici. Ciascun tipo di attacco, così come gli incantesimi o le altre mosse speciali, varia a seconda del personaggio, dell’arma e del suo livello.
C’è però una bella novità costituita dai cosiddetti Poteri Pimpanti, una tipologia di attacchi speciali che un personaggio può eseguire da solo o in cooperativa con altri membri della squadra che a loro volta si trovano nello stesso status. La condizione affinché si possano usare questi poteri prevede che il membro del party abbia subito prima una certa quantità di danni. Lo stato Pimpante dura diversi turni e può mantenersi anche dopo la fine di un combattimento, pronto per essere utilizzato in uno scontro successivo.
Il livello di difficoltà generale non è molto alto, e comunque ci sono una serie di elementi che agevolano il compito del videogiocatore. In quest’ottica si può per esempio sfruttare uno degli accampamenti che si trovano disseminati nella mappa che servono come area di ristoro per il party. La zona infatti non è attaccabile dai nemici, consente di salvare la partita, ricaricare la salute e il mana e forgiare oggetti particolari e rari attraverso un simpatico minigioco, a patto ovviamente di possedere la relativa formula alchemica.
Trovare armi, oggetti, materiali rari e formule nascoste per migliorare il proprio equipaggiamento diventa così la molla che spinge il videogiocatore a girovagare per il mondo.
L’elemento esplorativo è infatti una componente fondamentale del gioco, così come grande importanza è data all’interazione con gli elementi che “popolano” le varie cittadine o i vari locali di un mondo immenso e meraviglioso che unisce uno stile cel-shading a dei dettagli fotorealistici. In questi ambienti si può infatti parlare con gli abitanti per raccogliere informazioni utili o sbloccare side-quest (altro motivo che può spingere ad avventurarsi per il mondo), ma anche interagire con diversi oggetti quali botti, vasi, librerie, pozzi e sacchi, nei quali molto spesso si celano sorprese preziose. Parallelamente all’avventura, Dragon Quest XI presenta inoltre tutta una serie di minigame atti a variare il gameplay e a permettere ai puristi del genere di godersi fino in fondo il gioco, scoprendo tutto lo scopribile.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, Dragon Quest XI è un vero spettacolo per gli occhi grazie alla scelta dei colori e alla modellazione tridimensionale di personaggi, scenari e creature. Città affollate, villaggi pittoreschi, foreste lussureggianti, castelli e dungeon tenebrosi da esplorare, tutti disegnati con cura e rappresentati con una pulizia dell’immagine davvero notevole. Un po’ più deludente la parte sonora, non tanto negli effetti quanto piuttosto nel fatto che la bella colonna sonora curata dal solito Koichi Sugiyama, è costituita da semplici midi e non da brani orchestrali o cantati.
Ho giocato a Dragon Quest XI: Echi di un'Era Perduta su PlayStation 4 per circa 58 ore, completandolo senza però finire tutte le missioni secondarie opzionali.
DurataLeggero, ma al contempo anche divertente, longevo e profondo più di quanto possa sembrare di primo acchito, Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è un RPG alla giapponese vecchia maniera che sembra essere stato pensato appositamente per far felici gli appassionati di genere. In un momento storico nel quale assistiamo spesso a continui stravolgimenti tecnici in molte saghe storiche, fa piacere ritrovare quel feeling, quell’atmosfera e quella giocabilità, seppur semplificata in alcuni punti, dei classici del passato. Insomma, un titolo completo sotto tutti i punti di vista, capace di emozionare e far divertire chiunque ami sul serio i giochi di ruolo.
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