Dopo il primo esperimento concluso con Sifu e quello attualmente in corso dedicato a Horizon: Forbidden West, è il momento… è finalmente giunto il momento di dedicarci alla recensione diario di Elden Ring, l’ultimo e tanto agognato videogioco di From Software e Hidetaka Miyazaki. Si tratta di un titolo lungo, sfaccettato e complesso: godiamocelo quindi assieme, senza fretta, catturando una miriade di screenshot originali e scrivendo le nostre impressioni di volta in volta, tra stupore e gioia
E se volete aggiungermi su PSN, fatelo pure, il mio nick PS5 è TanZeN!
Prima pagina: 1 marzo
Seconda pagina: 24 marzo (75 ore di gioco circa)
1 marzo 2022
Come siamo arrivati a Elden Ring? Beh, non dimenticherò mai quando nel 2008 sono stato preso letteralmente a calci sul sedere in una modesta stanzetta del Tokyo Game Show, dove era presente per la prima volta tale Demon’s Souls. Sono entrato, morto una mezza dozzina di volte, uscito frastornato da quello che avevo vissuto ma incuriosito già allora dal suo potenziale malato.
Da allora ne sono passate di anime sotto i ponti, ho giocato ovviamente tutti i suoi figli e figliastri (qualcuno platinato, come Bloodborne e proprio il remake di Demon’s) ma non mi considero assolutamente un “giocatore pro”, di quelli che si beano della loro bravura pad alla mano o di aver battuto i boss al “first try”, o che usano tanti altri inglesismi che fanno molto figo ma solo perché li hanno cercati per primi su Wikipedia.
Sono disposto ad accettare serenamente la frustrazione provocata dalle continue morti, la curva di apprendimento richiesta in chiave tempismo e parametri da sfruttare per avere la meglio; sono disposto a sfruttare le ‘fondamenta talvolta approssimative’ dei titoli di Hidetaka Miyazaki per avere la meglio del nemico di turno anche quando non è eticamente corretto al 100%.
Del progetto creato dal mitico game designer giapponese in collaborazione con George R.R. “Game of Thrones” Martin ero a conoscenza da parecchi anni grazie a soffiate custodite gelosamente, che quindi hanno alimentato ben prima dell’annuncio ufficiale le mie aspettative relative a un titolo legato a un immaginario inedito.
A partire dall’inserimento del disco nella mia PlayStation 5, quindi, mi sono estraniato dal resto del mondo per una lunga e ignota sessione di 15 ore nell’arco di due giorni, che trovate raccontata proprio in queste righe.
Non starò qui a sciorinare caratteristiche di Elden Ring oramai di dominio pubblico, ma l’eccitazione maggiore che ho riscontrato in queste prime ore di gioco è legata alla struttura Open World a tutti gli effetti, che regala a questo soulslike un’accessibilità diversa da quella a cui ero abituato. Badate bene, non maggiore facilità, ma una varietà di approccio su quello che si può fare e su come e quando affrontare i boss ‘bloccanti’ per la storia, che erroneamente può far pensare a una minore sfida complessiva e quindi un’accessibilità maggiore per tutti i giocatori.
Elden Ring rimane brutale nelle sue fondamenta, anzi ti sbatte in faccia un cavaliere (aggirabile) super incazzato poco dopo l’inizio per mettere le cose in chiaro, un po’ quando Hokuto no Ken sbarca sull’isola dei demoni (paragone a caso che mi è venuto in mente, e per questo l’ho scritto. Che bello il formato diario.). Però è anche una figata andarsene a zonzo all’interno di una mappa sorprendentemente (considerando il pedigree dello sviluppatore) densa di personaggi da affrontare, dungeon facoltativi, linee narrative secondarie un po’ più chiare ma sempre abbastanza criptiche nei loro tratti.
La parte platform è importante per raggiungere posti nascosti e forieri di oggetti o passaggi interessanti, il cavallo Torrente perfetto per la verticalità di alcuni passaggi e per muoversi con gran gioia affettando nemici, anche qui col rischio di lasciarci le penne se si prova a fare i fenomeni o avventurarsi da subito verso ambientazioni troppo pericolose per essere affrontate subito.
Di base tutto questo è una figata, il sogno perverso degli amanti dei Souls che si ritrovano con una maggiore libertà e una quantità di contenuti da pelle d’oca, i quali poco importa che siano riciclati da precedenti capitoli o all’interno dello stesso gioco: chi è abituato a un Souls sentirà come se avesse trovato una miniera d’oro alla quale dedicare decine (centinaia) di ore senza mai annoiarsi.
Ma la struttura aperta rompe la tensione?
È indubbio che proprio la mappa aperta a cavallo, il viaggio rapido (ma non nei dungeon o in combattimento) e la presenza abbastanza generosa di luoghi di grazia (i classici falò innestati nell’attuale contesto narrativo) mitighino in parte quel senso di tensione proprio dei precedenti titoli di From Software, ma non sono già mancati momenti in cui ho dovuto avere un approccio cauto per non perdere le rune acquisite; e non si contano poi le situazioni in cui un nemico mi ha fatto il mazzo quando pensavo oramai di averla fatta franca.
Mi ero ripromesso di contare esattamente il numero di morti e parolacce proferite in napoletano, ma è troppo facile incaponirsi addentrandosi in aree troppo complesse inizialmente, oppure fare slalom tra orde di nemici per vari motivi, segnando la propria condanna a morte. Ho già collezionato qualche decina di dipartite, comunque, sarebbe bello avere a fine avventura un contatore ufficiale approntato direttamente da From Software nel gioco.
In fase di creazione del personaggio – il mitico Nino Dungeon, l’eroe dell’Interregno che fa doppiamente paura alla Lega: non solo napoletano, ma anche nero – mi sono fatto guidare dalla mia solita inclinazione quando impersono un eroe negli RPG, quella del paladino. Nel caso specifico il cavaliere errante, con spada, scudo e una build tutta da definire man mano che aumenterò di livello.
Ho girato abbastanza nel cuore centrale di Sepolcride, con alcuni dungeon mica male, seppur piuttosto basici, mi sono diretto poi verso il Castello di GranTempesta, presidiato dal primo Signore importante ai fini narrativi, prima di terminare la sessione dopo qualche tentativo andato a vuoto.
Sarà una lunga avventura…
Ho raccolto già a questo punto un bel po’ di equipaggiamento, oggetti per il crafting e abilità di supporto. Dalle evocazioni, che possono dare una mano per indebolire e distrarre gli avversari, fino ai personaggi NPC che vanno assolutamente ascoltati e ‘seguiti’ nella loro linea narrativa per aumentare la conoscenza di gioco ma anche per renderli disponibili come evocazione (quelli buoni, s’intende) nei momenti difficili. Senza dimenticare l’infusione delle armi, le prime abilità magiche (ma nel mio caso saranno poche, data la classe scelta), le diverse posture di combattimento, archi, balestre e così via.
Ci sono altresì tanti elementi di contatto con i Dark Souls, ma la varietà di configurazioni mi è sembrata superiore, la stabilità ha un ruolo importante e per la prima volta (nei souls, non contendo Sekiro) c’è la presenza del salto che può risultare utile in schivata, ma anche per attacchi potenziati.
Ho abbattuto Margit, il boss alle porte del Castello, in solitaria ma evocando un NPC; per il Signore di GranTempesta ho sperimentato qualche invocazione di compagni in cooperativa, anche se il multiplayer è tutto da approfondire e non funziona proprio al massimo: più volte ho ricevuto il messaggio “Impossibile evocare il personaggio selezionato”.
Sul fronte tecnico, il motore grafico di Elden Ring si porta dietro quella leggera sciatteria che ha sempre caratterizzato le produzioni di From Software e, come sempre, la parte artistica parecchio ispirata mitiga in parte un colpo d’occhio che sicuramente non è di primissimo pelo, e tradisce uno sviluppo iniziato parecchi anni addietro. Non mancano gli scorci evocativi, anzi, ma sono soprattutto ad appannaggio del design voluto dagli artisti di From, che come studio di sviluppo nemmeno questa volta è riuscita a creare un comparto tecnico esente da incertezze e qualche bug.
Su PC a quanto pare la situazione è abbastanza critica in termini di stuttering e coerenza di prestazioni, su PlayStation 5, dove ovviamente ho scelto la modalità fluidità che punta a un target pari a 60 fotogrammi al secondo, abbiamo diverse situazioni abbastanza ballerine che un po’ si percepiscono nella risposta ai comandi, pur rimanendo il tutto giocabile. Il remake di Demon’s Souls, strutturalmente più semplice, mi aveva abituato troppo bene, ma come al solito ci si adatta con un leggero sorriso amaro in bocca.
Da quanto si apprende dalle recensioni, mi trovo solo alle battute iniziali con Elden Ring, ma già adesso mi ha completamente catturato con tutti i difetti del caso e grazie al suo design pazzesco, a cui sto pensando anche ora mentre sto ultimando questo primo diario.
Ci rileggiamo al prossimo aggiornamento, mentre già ho capito che utilizzerò la seconda parte di Horizon: Forbidden West per scaricare la tensione da Elden Ring, grazie al suo mondo colorato e un gameplay nettamente più permissivo.
24 marzo 2022
Ci ho messo un po’ a scrivere la seconda parte della mia Recensione Diario di Elden Ring… ma nel frattempo sono passato da 15 a 75 ore di gioco. Il motivo è presto detto: il gioco di From Software mi ha rapito completamente con tutti i suoi difetti e approssimazioni, oscurando, debbo dirlo, gli altri giochi che sto provando in contemporanea.
E il bello è che sono ancora lontanissimo dalla fine, ho battuto “solo” tre nemici principali e decine di boss secondari, esplorando la mappa attualmente a mia disposizione pezzo per pezzo, centimetro per centimetro, trovando sempre qualcosa da fare o un pezzo di equipaggiamento che non mi aspettavo, magari molto utile per il mio modo di giocare e dislocato in un posto apparentemente secondario.
Per quanto mi riguarda, la bellezza di Elden Ring risiede proprio nella realizzazione della mappa pensata da Hidetaka Miyazaki e il suo team, alla prima esperienza con una struttura Open World ma già in grado di creare un “mood” che funziona estremamente bene. Quello della scoperta costante, di invogliare al senso di esplorazione semplicemente guardandosi attorno, scorgere una struttura in lontananza e chiedersi cosa risiede al suo interno. Senza contare le parecchie caverne nascoste, il mondo sotterraneo (!) e tutta una serie di sezioni che si possono raggiungere dopo aver ricevuto un oggetto da una quest, aver utilizzato un teletrasporto posizionato a caso oppure essere “fregati” da una cassa speciale o da un nemico a cui piace inglobare gli avversari.
L’approccio potrebbe essere definito alla Gothic o in tempi recenti alla Zelda: Breath of the Wild, quello di non riempire tutta la mappa di decine di indicatori non appena giunti nella zona delle quest, nemmeno utilizzare torri e derivati per indicare tutti i punti di interesse possibili. Piuttosto una cartina disegnata come un artwork che rivela, analizzandola, possibili punti da esplorare, senza sapere però cosa ci si aspetta, se c’è qualche personaggio secondario oppure qualche nemico particolarmente ostico.
La mappa… quant’è bella la mappa!
Il risultato è semplicemente figo, perché ti porta a utilizzare il trasferimento rapido solo per utilità e comodità, senza andare ad incidere minimamente sul “piacere” di galoppare ed esplorare tutto il possibile, perché davvero ogni angolo o anche piccola struttura può ospitare un’arma, una magia o un proseguo di una quest. Un’altra cosa che mi ha fatto impazzire è l’imprevedibilità degli eventi, talvolta anche tornando in posti già visitati ma magari con una quest che nel frattempo è andata avanti.
Mi sono tornati in mente anche i tempi di un Morrowind, dove camminavo e mi succedevano cose che non mi aspettavo e a cui ero impreparato, e dal mio punto di vista risulta un valore aggiunto all’interno di una struttura, quella Open World, che non di rado viene sfruttata in malo modo dagli sviluppatori giusto per allungare il brodo, facendo sopraggiungere la noia o comunque un “rapporto” col gioco stesso abbastanza piatto.
Ad ogni modo riguardo la parte Open World ci ho fatto anche un video di confronto con Zelda e non solo, che potete visionare qui sotto:
Sul tema accessibilità, mi sento di confermare le prime impressioni sul fatto che sia differente rispetto agli altri Souls e migliore, senza sacrificare particolarmente la difficoltà. È chiaro che un approccio analitico e al contempo variegato alla mappa permette di ritornare in sezioni particolarmente ostiche con un livello di esperienza, del personaggio e di armamentario abbastanza superiori, ma rimangono passaggi dove rimane fondamentale la tecnica, studiare le mosse dell’avversario e non buttarsi a capofitto in combattimenti multipli, pena la morte certa. Indubbiamente a oggi non ho avuto particolari difficoltà a proseguire – anche se mi sono imbattuto per curiosità o per caso in aree dove per adesso sono fuggito a gambe levate, e sono morto per incuria spesso e volentieri – ma stiamo parlando di un gioco con un livello di sfida/difficoltà sempre e nettamente superiore alla media, che provoca soddisfazione da questo punto di vista per larghi tratti.
A tal proposito l’equipaggiamento incide di meno sulle proprie caratteristiche, e spesso l’ho cambiato più per gusto estetico che altro, mentre magie e armi offrono una varietà di personalizzazione enorme, anche sfruttando le ceneri di guerra e quelle elementali che possono risultare utili in aree con nemici deboli a un particolare tipo di attacco o elemento stesso. Varietà che va di pari passo, appunto, con le tipologie di avversari e zone, se vogliamo anche didascaliche nella loro suddivisione, ma sempre soddisfacenti da affrontare perché bisogna curarsi non solo della potenza di attacco avversaria, ma anche con comportamenti differenti e “aggravanti” quali ad esempio veleno o marcescenza procurati.
Tecnicamente le patch uscite in questi giorni hanno ottimizzato alcuni bug, migliorato leggermente il frame rate e addirittura aggiunto nuove linee di quest; le impressioni permangono simili alla prima parte del diario, quelle di un gioco tecnicamente ok che viene sorretto, e tanto, dal lato artistico che considero fondamentale nella realizzazione di un videogioco. Dopo 75 ore non mi sono stancato minimamente del tempo speso su Elden Ring, anzi col ritmo che sto avendo non avrei problemi a giocarne altre 150 senza annoiarmi: presumibilmente ci sentiremo verso le fasi super avanzate, l’end game o dopo il platino che sicuramente proverò ad ottenere.
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Ken che sbarca sull'isola dei demoni con le lenti da sole e le parolacce in napoletano mi piacciono assai.