Recensione

Lupin, la recensione della nuova serie Netflix con Omar Sy

Prima di addentrarci nella recensione di Lupin, una doverosa per quanto triste precisazione è necessaria: il protagonista della serie non è Lupin Terzo, il famigerato ladro gentiluomo nato dalla fervida immaginazione di Monkey Punch oltre mezzo secolo fa. Non ci sono samurai con katane né pistoleri con sigarette piegate, neppure procaci eroine femminili.

L’Assane Diop interpretato da Omar Sy (Quasi Amici) non è neppure l’Arsène Lupin (l’originale) partorito da Maurice Leblanc, per quanto possa esserne considerato una sorta di epigono.

Premessa necessaria poiché, sin dall’annuncio della serie, una certa fetta di pubblico ha cominciato a dare in escandescenza, criticando la scelta di un protagonista nero e accusando la produzione di “blackwashing”. Un’accusa che non sta né in cielo né in terra e che non fa altro che confondere le acque di un dibattito, quello sulla presenza di minoranze etniche nei prodotti audiovisivi, che meriterebbe tutt’altro tenore.

Detto ciò, possiamo addentrarci nell’analisi di luci ed ombre di un prodotto che ha, nonostante tutto, già riscontrato un grande successo di pubblico sulla piattaforma di streaming americana.

Dans l’ombre d’arsene

Assane Diop è quindi un uomo cresciuto leggendo i romanzi di Leblanc e sviluppando una viscerale passione per il Lupin letterario. Egli vive sostanzialmente di furti e di formidabili raggiri, messi in pratica sfruttando le sue innate doti “attoriali” e la sua capacità di uscire da ogni situazione potenzialmente molesta. Ha origini senegalesi, il che ha perfettamente senso nella contemporanea e multietnica Parigi, e ha perso suo padre, autista presso una bianca e ricca famiglia borghese, i Pellegrini, quando aveva appena quattordici anni.

Per Assane è tempo di indagare sulla misteriosa morte di suo padre e, per fare questo, il primo passo è il furto di una preziosissima collana in possesso degli stessi Pellegrini, che andrà all’asta nella splendida cornice del museo del Louvre.

La prima delle cinque puntate che compongono questa miniserie (in realtà, idealmente, è una sorta di prima parte di stagione) è senza dubbio la migliore del pacchetto, sia in termini di ritmo e narrazione, sia in termini di valore produttivo. Le location sono molte e visivamente ricche, le scene d’azione più credibili e abbondanti che nel resto della serie. Omar Sy risulta istantaneamente carismatico e affascinante, nonché piuttosto credibile anche nelle maschere dei vari “personaggi” interpretati da Assane.

La prima delle cinque puntate che compongono questa miniserie (idealmente è una sorta di prima parte di stagione) è senza dubbio la migliore del pacchetto

Purtroppo sin dalle prime battute appare evidente quello che è uno dei principali difetti della serie, vale a dire l’inconsistenza dei personaggi secondari, antagonisti inclusi. Se nella prima puntata è tutto sommato trascurabile una mancanza di approfondimento sui comprimari, alla lunga si evince come siano stati pesantemente trascurati in fase di scrittura. Non aiutano un casting non troppo azzeccato e un registro recitativo quasi di stampo umoristico, che mal si coniuga con le sequenze più squisitamente drammatiche.

Un vero peccato perché alla lunga questo impatta anche sull’intreccio stesso che finisce per sfilacciarsi e perdere cronicamente di mordente, complice anche l’altra grande magagna del prodotto, vale a dire la sostanziale infallibilità del protagonista.

Gary Stu

Il personaggio di Assane, infatti, rientra esattamente nella definizione di Gary Stu, di protagonista eccessivamente idealizzato e privo di debolezze. Se, sulle prime, questo è perfettamente in linea con il personaggio letterario di Leblanc e risulta facile rimanere ammaliati dal suo carisma, alla lunga diventa stucchevole, quasi antipatico. In più un personaggio essenzialmente privo di punti deboli finisce per atrofizzare ed appiattire il meccanismo narrativo.

La suspance, che nella prima puntata è palpabile e genuina, muore con il progredire delle puntate. Risulta infatti impossibile crearne partendo dal presupposto che ogni potenziale problema sul cammino dell’eroe verrà risolto rapidamente e senza strascichi.

Omar Sy risulta istantaneamente carismatico e affascinante

Certo c’è un tema narrativo di fondo, quello relativo alla morte del padre di Assane, che fa da collante tra gli episodi e li tiene orizzontalmente uniti, ma affoga nei peccati veniali di una scrittura che tende a non giustificare sufficientemente alcuni passaggi. Si assiste così a situazioni al limite del credibile (e talvolta oltre) che fanno storcere il naso in più di un’occasione, rischiando di compromettere irreparabilmente la sospensione dell’incredulità.

Spesso, ad esempio, non si riesce a comprendere come sia possibile che nessuno riconosca il protagonista con indosso semplicemente un paio di baffi o di occhiali. Si ha spesso l’impressione che il protagonista sia, si, estremamente furbo e scaltro, ma che chi gli ruota intorno sia particolarmente tonto. Certo non sarebbe corretto nei confronti di un prodotto come Lupin avere una pretesa di verosimiglianza assoluta, ci mancherebbe altro, ma alcuni momenti avrebbero tratto enorme giovamento da una scrittura un pelino più attenta.

Una splendida cartolina

Per quanto riguarda la componente meramente estetica non posso far altro, in questa recensione di Lupin, che lodare l’ottimo lavoro compiuto. Se avete a disposizione un televisore hdr rimarrete ammaliati dalla bellezza fotografica di molte scene. La serie arriva infatti su Netflix nella gloria della risoluzione 4K e con il pieno supporto allo standard Dolby Vision.

La scelta di una luce calda e avvolgente restituisce allo spettatore una Parigi da cartolina, quasi senza tempo, cristallizzata nella sua eleganza, decisamente diversa dalla Parigi decadente vista nel recente The Eddy (qui la nostra recensione). A coadiuvare l’ottima fotografia c’è un altrettanto ottimo lavoro di scenografia, forte di una valida alternanza tra location ricche di grandeur e luoghi più intimi.

alla lunga l’intreccio finisce per sfilacciarsi e perdere cronicamente di mordente

La regia, pur senza particolari guizzi, risulta solida. Alcune situazioni forse avrebbero giovato di una messa in scena più “sottile” e meno didascalica, ma in generale il risultato è apprezzabile. In aiuto di quest’ultima arriva sicuramente un ottimo lavoro di montaggio che riesce, soprattutto nelle prime puntate, ad alternare sapientemente e con un ottimo ritmo, situazioni presenti e scene del passato di Assane, utili ad approfondire il personaggio e a giustificarne le azioni nel presente. Un espediente narrativo non certo originale ma funzionale.

Insomma questo primo ciclo di episodi ci ha permesso di assaggiare un prodotto esteticamente curato e forte dell’ottima interpretazione di Omar Sy, ma che, già nei pochi episodi disponibili, sembra perdere gradualmente di verve e fascino. Non è troppo tardi per aggiustare il tiro e il cliffhanger finale potrebbe far virare la serie verso lidi meno scontati e prevedibili (o forse ancora più prevedibili, chissà).

Non si conclude dunque con una bocciatura questa recensione di Lupin, ma neppure con una larga promozione. Allo stato attuale si tratta di un prodotto sufficiente, capace di intrattenere in maniera poco impegnata e con alcuni punti di sicuro fascino. Il successo che sta ottenendo presso il grande pubblico lo dimostra abbondantemente ed è tutto sommato meritato. Purtroppo però è una serie che si beve come un bicchier d’acqua ma che non lascia il segno.

Per la seconda parte di stagione, in ogni caso, non bisognerà attendere molto: Netflix ha già confermato l’uscita per la prossima estate.

Leonardo Alberto Moschetta

Appassionato di videogiochi dal lontano...ehm..troppo tempo. Amo ogni genere di audiovisivo, in particolare il cinema, al punto da aver trasformato in lavoro questa mia passione. Tra le altre mille passioni: Giappone, Cibo, Vino, Musica, un po'di sport (il fantacalcio conta?), letteratura, fumetti e...

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