Sono passati esattamente 19 anni dall’ultimo Metroid 2D. Da allora non si può dire che la saga sia del tutto sparita, considerando l’uscita dell’eccezionale trilogia Prime e del più sfortunato Other M. Già nel 2017 però, con l’uscita del remake Samus Returns su 3DS, Nintendo cominciava a preparare il terreno per il grande ritorno di Samus. All’E3 2021 venne quindi annunciato a sorpresa Metroid Dread, seguito atteso da quasi 20 anni e che sarebbe uscito decisamente a breve.
Il progetto Dread, in realtà, ha radici lontanissime. Nato subito dopo lo sviluppo di Metroid Fusion, venne accantonato perché all’epoca Nintendo non riteneva che la tecnologia fosse adeguata per sviluppare le idee di level design alla base del titolo. Così, dopo tantissimi anni (insieme a Switch Oled), abbiamo potuto mettere mano a un seguito di una saga che ha contribuito in prima linea a plasmare un genere oggi amatissimo, quello dei metroidvania.
Metroid Dread è per certi versi un gioco estremamente ortodosso. La collaborazione tra Nintendo e il talentuoso team spagnolo Mercury Steam ha prodotto un titolo che non ha guardato in faccia nessuno, tantomeno i concorrenti. Dread riparte dalle sensazioni tipiche della saga andando però a evolvere l’aspetto più complesso di un metroidvania: il level design.
Chi conosce la saga si troverà di fronte a un senso di familiarità con le atmosfere tipiche. Riprendendo in parte alcune caratteristiche del gameplay di Samus Returns, Mercury Steam accentua ancora di più la dinamicità di Samus, restituendoci un’eroina estremamente mobile e fluida, capace gestire un’infinità di mosse legate perlopiù agli upgrade della sua tuta.
Al di là della bontà del gameplay, però, a colpire è l’esplorazione del mondo di gioco. Per chi è poco avvezzo al genere, i metroidvania fondano il proprio level design su un uso più o meno marcato del backtracking. Stiamo parlando di quella caratteristica per la quale ogni nuovo upgrade apre nuove porte o strade in zone già esplorate o di futura esplorazione. Metroid Dread non è certo da meno, ma in tal senso colpisce la stratificazione di una mappa mastodontica ed estremamente ramificata. Se da una parte ci si sente sopraffatti dalla miriade di strade e possibilità che possiamo imboccare già dopo una manciata di ore di gioco, dall’altra si ha ben presto la sensazione che la progressione proceda in maniera piuttosto lineare.
Il lavoro effettuato sul level design è davvero mastodontico
Se è vero che le strade sono tante, i suggerimenti visivi all’interno della mappa sono piazzati con estrema maestria in modo tale da ridurre i tempi morti. Se vi capita di prendere un power up e di sbloccare un teletrasporto proprio grazie a questo nuovo potere, è altamente probabile che, anche se questo portale vi riporterà in una delle zone iniziali, sarà necessario prenderlo per proseguire nella nostra avventura. Non si ha mai troppo la certezza di imboccare la strada giusta, eppure raramente è capitato di perderci. Metroid Dread ci immerge in una mappa stratificata quasi fosse disegnata da un architetto e al tempo stesso ci fa proseguire con incertezza ma senza intoppi in quello che è a tutti gli effetti un districato labirinto.
Abbiamo giocato Metroid Dread sulla nuova Nintendo Switch Oled.
DurataMetroid Dread non evolve solo il level design nudo e crudo. Il lavoro di fino svolto dagli architetti di Nintendo è ritmato da una meccanica in particolare che mescola le carte in tavola. Parliamo, ovviamente, dei tanto chiacchierati EMMI. Questi robot, piazzati praticamente in quasi ogni zona, sono in un primo momento imbattibili. L’unico modo per avanzare è quello di evitarli e di uscire dalla loro zona di pattugliamento, dove però saremo spesso costretti a passare per poter proseguire.
In queste fasi la prospettiva è completamente ribaltata: da cacciatori si diventa prede. L’azione diventa frenetica e palpitante, restituendo sensazioni di terrore puro (appunto, “Dread”). Le fughe funzionano alla perfezione e garantiscono una buona varietà e un ritmo sempre perfetto.
Dread è un videogioco a tratti quasi arrogante che non ha nulla da spartire con i recenti metroidvania. Non propone elementi Souls Like e un’esplorazione ragionata e riflessiva come Hollow Knight. Non aggiunge al gameplay elementi marcatamente platform come Ori. Niente alberi delle abilità e ibridazioni con elementi RPG. L’unico momento in cui vi troverete ad aprire il menù è quando dovrete consultare l’immensa mappa di gioco. Gli upgrade vengono aggiunti uno dopo l’altro all’armamentario di Samus facendo un uso completo dei tasti dei joycon.
Dread riprende la formula classica senza ibridare in alcun modo
Più avanzerete nell’avventura e più Samus sarà in grado di fare azioni sempre più complesse. La mappa si aprirà sempre di più rilevando le sue ramificazioni più profonde. Non esageriamo nel dire che, nonostante l’ampiezza della mappa sia notevole, la fluidità e le possibilità di movimento concesse a Samus nelle battute finali dell’avventura ci consentono praticamente di girare l’intera mappa per recuperare i tantissimi oggetti lasciati indietro senza mai fare uso dei teletrasporti. Dread è un piacere da giocare e propone una sfida tarata verso l’alto ma mai frustrante. Il tutto è impreziosito da alcune delle boss fight migliori mai viste in un metroidvania.
Metroid Dread non è un gioco perfetto. Non propone un comparto tecnico di eccellenza. Non propone un livello artistico memorabile né una colonna sonora impattante (anche se estremamente funzionale alle atmosfere da ricreare). Va’ però a proseguire un discorso interrotto da quasi vent’anni e lo fa puntando con convinzione riproponendo e arricchendo a dismisura tutto quello che ha contribuito a rendere Samus une leggenda. Dread è un rilancio potente, aggressivo e arrogante, con la consapevolezza di chi ha fatto tesoro del proprio passato ma di chi sa affacciarsi anche sul futuro, facendo conoscere il brand anche alle nuove generazioni. In attesa di rivedere la serie Prime, Metroid Dread è ben più di un semplice antipasto.
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