Recensione

Morire per non morire, la recensione di Deathloop

Innovare. Una missione che sembra sempre più difficile da compiere per produzioni di spessore. Con il proliferare di progetti indipendenti si riduce sempre più lo spazio di manovra per i titoli tripla A, al punto che spesso sono gli stessi giochi indipendenti a diventare fonte di ispirazione per produzioni ad alto budget.

Fortunatamente, in tutto questo c’è ancora chi riesce a trovare il modo di proporre una formula nuova, che non sappia di già visto. Stiamo parlando di Deathloop, che, seppur senza gridare al miracolo, riesce a regalarci un senso di novità, che solletica e risveglia quelle sensazioni sopite del giocatore appassionato, che nel corso degli anni ha dato sfogo a ogni curiosità, genere e meccanica che il mondo dei videogiochi avesse da proporre.

Morire per non morire

Deathloop parte forte, pochi secondi, nessuna possibilità di interazione e siamo già alla prima morte. Ci risvegliamo su di una spiaggia, spiazzati e disorientati, sensazione che trasla tra l’avatar e il giocatore in maniera naturale, senza espedienti complessi o macchinosi. 

Catapultati nei panni di Colt Vahn, capiamo subito di star rivivendo gli eventi che ci hanno portato alla morte. Ritrovandoci a compiere i primi passi sulla spiaggia, gli avvenimenti iniziano piano piano ad avere un senso. Da questo punto, ogni nuova informazione contribuisce a darci un’idea di ciò che è accaduto. Ha inizio così un processo di scoperta graduale che creerà una simbiosi perfetta tra avatar e giocatore, risucchiandoci completamente nel desiderio di districare il puzzle. La missione da compiere è semplice ma allo stesso complessa: bisogna interrompere il loop.

Le regole di Blackreef

Una produzione che ambisce a settare molto in alto l’asticella non può semplicemente avvalersi di un protagonista carismatico, serve altro. Serve una cornice dove piazzare il dipinto, e la cornice di cui parliamo è Blackreef. L’isola fittizia di Blackreef è divisa in quattro distretti, maxi arene nelle quali prenderanno vita le nostre scorribande. Ogni area è visitabile nel corso di quattro momenti della giornata: mattina, mezzogiorno, pomeriggio e sera. La scelta del momento in cui visitare una di queste quattro località sarà a nostra discrezione; una volta avviata la missione non avremo alcun limite di tempo per portarla a termine.

L’inizio dell’avventura non lascia respiro, si parte a bomba

Quando concluderla (a obiettivo completato) sarà una nostra scelta – ma attenzione – finire significa passare all’arco successivo della giornata. Il loop è diviso in quattro fasi, una volta terminata quella serale, la giornata ricomincerà, e saremo costretti ad un nuovo loop. Ci troveremo nuovamente sulla spiaggia, perdendo tutti i progressi e le uccisioni effettuate, ma attenzione, questo non è un problema. Ogni loop che vivremo è un passo in più per apprendere dettagli dal mondo di gioco e ricavare altre informazioni utili a spezzare il ripetersi degli eventi. Grazie a un potere in nostro possesso, in caso di morte, avremo due possibilità prima di dover ricominciare il loop, queste si resettano a ogni avanzamento della giornata. 

Con ogni mezzo

Acquisite le informazioni necessarie per comprendere il funzionamento del loop, non ci resta che metterci all’opera per spezzarlo, sì, ma come?  Visionari, eternalisti, tavolette e armi. Sono i punti fondamentali che compongono il complesso puzzle da mettere in ordine. 

I Visionari sono gli otto antagonisti di Colt, incaricati di proteggere il loop ad ogni costo: il nostro compito è quello di ucciderli tutti. Non è una cosa semplice, poiché essi, per sicurezza, sono divisi in zone diverse di Blackreef, e si possono trovare solo in uno specifico momento della giornata. L’obiettivo primario del giocatore è quello di fare in modo che si ritrovino due visionari insieme in ogni arco della giornata, per poter inanellare le otto uccisioni in un solo loop. La chiave per riunirli è modificare la loro routine, sfruttando le informazioni sparse all’interno della mappa. Gli Eternalisti sono i soldati semplici, carne da macello da fare a pezzi quando li ritroveremo sulla nostra strada. Nulla di particolarmente complicato, tranne quando inizieranno ad essere molto numerosi.

La vita, la morte… con ogni mezzo

Le armi rappresentano i mezzi con cui Colt può sbaragliare la concorrenza. Sono divise per qualità, da quelle meno performanti (che possono anche incepparsi) fino ad armi rare ed uniche ottenibili completando determinate quest, che vi lasciamo il piacere di scoprire da soli. Ogni arma può essere potenziata con delle piastrine, reperibili come loot dai nemici. Il problema è che, una volta ricominciato il loop o dopo aver subito più di due morti, il nostro arsenale accumulato sparirà nel nulla. Non temete, uno dei visionari ha creato una speciale tecnologia che permette di conservare le armi tra un loop e l’altro: l’infusione. Infondere gli oggetti avrà un costo di energia, recuperabile dai cadaveri dei visionari o da oggetti danneggiati dal tempo sparsi per la mappa.

Le tavolette sono dei poteri unici a disposizione dei diversi visionari, uccidendoli in missioni specifiche, potremo recuperarli e infonderli, rendendoli nostri per sempre. Abbiamo appreso le regole del loop, abbiamo scoperto come è composto e come dominarlo, ma tutto questo come si traduce pad alla mano? Quando parliamo di gameplay, i ragazzi di Arkane probabilmente non sono secondi a nessuno. Già in passato con Dishonored e Prey ne abbiamo apprezzato le abilità, ma con Deathloop hanno sicuramente fatto un passo in avanti. 

A livello di giocabilità, il titolo offre un quantitativo enorme di possibilità, limitato solo dalla nostra fantasia. Il sistema di shooting ha fatto con molta probabilità il passo più decisivo a livello di feedback e responsività. L’unica critica che può essere mossa (da giocatori più esigenti) è l’eccessivo utilizzo della mira assistita, che se associata ad un’arma unica vi farà diventare una vera e propria macchina da guerra inarrestabile. 

Il punto più debole della produzione risiede senza ombra di dubbio nell’intelligenza artificiale dei nemici, che è a dir poco assente. Durante la nostra prova abbiamo assistito a delle situazioni che definire grottesche è minimizzare. La consapevolezza dei nemici è assolutamente nulla, ci è capitato più volte di macellare un loro compagno in bella vista senza che questi se ne accorgessero. Fortunatamente, tutto questo non inficia in maniera importante sulla percezione di divertimento che si ha giocando a Deathloop, di contro, però, minimizza l’importanza dei poteri delle tavolette. Ad esclusione della traslazione (importata pedissequamente da Dishonored) tutti gli altri potrebbero essere trascurabili, utili a dissetare la nostra sete di sangue verso i nemici resi inermi e costretti a subire. 

Il DualSense colpisce ancora?

Nota a margine per la modalità “proteggi il loop”, che ci posiziona al lato opposto della barricata, nei panni di Julianna Blake. L’obiettivo sarà quello di far fuori il Colt di un altro giocatore, reale o di qualche nostro amico impegnato nel tentativo di spezzare il loop. Si tratta di un’aggiunta secondaria, tale da non stravolgere o impattare in maniera decisiva l’esperienza, ma senza dubbio una trovata che non dispiacerà. 

Non possiamo poi non parlarvi dell’implementazione del DualSense, esclusiva di PlayStation 5 (unica console su cui al momento è disponibile Deathloop). Il pad creato da Sony restituisce sensazioni inebrianti durante il gameplay: ogni ricarica, ogni colpo esploso, ogni passo, ogni singola azione trasmette nelle mani del giocatore un feedback intenso, preciso e coinvolgente, sia grazie alle vibrazioni che ai grilletti adattivi. Davvero una delle migliori implementazioni insieme a Returnal (a proposito di loop).

Dal punto di vista tecnico, i giochi sviluppati da Arkane non hanno mai brillato in modo particolare dal punto di vista grafico. Questo non vuol dire che non fossero belli da vedere, anzi, probabilmente è l’esatto opposto. L’abilità principale degli sviluppatori consiste nel realizzare un level design di altissimo spessore. Le molteplici opzioni di approccio devono essere supportate da una mappa ampia, sviluppata in verticale e pienamente esplorabile dal giocatore. Per far ciò le strutture devono avere un senso architettonico e strutturale, e da questo punto di vista le quattro zone di Blackreef svolgono a pieno il loro dovere. 

Deathloop offre il meglio di sé dal punto di vista artistico: ogni ambiente, ogni punto della mappa è realizzato in maniera esemplare, ogni oggetto è posizionato secondo una logica; sarà difficile imbattervi in posti dove, ad esempio, c’è un armadio solo per sbarrare il passaggio. Le diverse zone di Blackreef cambieranno in base all’ora del giorno in cui le visiterete, modificando le condizioni metereologiche o l’accessibilità di alcune aree. 

Abbiamo provato il gioco su PS5, ecco come va!

La versione PS5 (ed è quella che abbiamo analizzato) offre tre possibilità di utilizzo: prestazioni, risoluzione e framerate sbloccato, e Ray Tracing. Possiamo consigliarvi senza ombra di dubbio di giocare Deathloop in modalità prestazioni, così da dare enfasi e giustizia alla frenesia offerta dal gameplay. Vi sconsigliamo le altre scelte: nella seconda opzione il framerate è molto instabile, con cali evidenti, anche di 20/30fps; nella terza il ray tracing si limita alle ombre, che sono più che accettabili anche in modalità performance. Niente da dire per gli effetti particellari dei poteri, texture di buona fattura, salvo qualche raro caso dove, se viste da vicino, si nota un calo nella qualità. I modelli poligonali di Colt e Julianna sono ben realizzati. Le animazioni purtroppo non sono all’altezza del resto; essendo un FPS, fortunatamente, lo si nota solo negli attacchi corpo a corpo e nelle uccisioni silenziose.

L’audio gioca un ruolo chiave nell’intrattenimento, e dunque merita la stessa cura del comparto visivo. I rumori in Deathloop sono importanti, indizi fondamentali per capire come muoversi all’interno del mondo di gioco. Abbiamo provato l’audio 3D grazie alle cuffie Pulse 3D di Sony, e dobbiamo ammettere che ci hanno aiutato ad identificare dove fossero posizionate delle mine antiuomo, o da che parte stesse arrivando il pericolo. Ad accompagnare tutto, ci sono delle soundtrack create appositamente, che reggono bene il ritmo e aiutano a capire quando in battaglia possiamo definirci “al sicuro”. Nota di merito per il doppiaggio, con Julianna che spicca leggermente per interpretazione rispetto a Colt (stesso doppiatore di Deacon St John in Days Gone), ma nulla di così evidente. I personaggi di contorno si limitano al compitino. 

Quel senso di vuoto

Per arrivare a generare il loop perfetto abbiamo impiegato circa una quindicina di ore, raccogliendo anche una buona quantità di armi uniche in missioni specifiche e diversi gradi di potenziamento delle tavolette. La durata è un concetto relativo in un titolo come Deathloop. Una volta raccolte tutte le informazioni necessarie e dopo aver incastrato tutti i pezzi del puzzle, basta poco più di mezz’ora per portare a termine il gioco uccidendo tutti i visionari. Sappiate, però, che senza le dovute conoscenze acquisite durante l’avventura è impossibile eseguire subito il loop perfetto.

INFO UTILI

Abbiamo acquistato e recensito Deathloop in versione PS5. Suggeriamo di giocare in modalità prestazioni, così da godere al meglio della frenesia offerta dal gameplay.

Durata
  • Siamo arrivati ai titoli di coda in circa 15 ore
Struttura
  • È presente anche una modalità, invertita, chiamata "Proteggi il loop"
Scheda Gioco
  • Nome gioco: Deathloop
  • Data d uscita: 14 Settembre 2021
  • Piattaforme: PC, PlayStation 5
  • Lingua doppiaggio: Inglese
  • Lingua testi: Italiano

Il senso di vuoto è arrivato alla fine. Durante tutta la campagna, la trama è stata un ottimo collante, ma si è sgretolata un po’ verso il finale, che ad essere buoni non aggiunge praticamente nulla alla storia (e nemmeno lo toglie). Con le premesse che c’erano si poteva fare molto, ma molto di più. Deathloop al netto delle imperfezioni che abbiamo elencato è un gioco validissimo, un’esperienza che ogni giocatore degno di questo nome dovrebbe fare. Non è semplice da approcciare, non per il livello di sfida, ma per l’idea che propone. Portare a termine il gioco ci lascia comunque la sensazione di aver completato un qualcosa di prezioso, da proteggere nel tempo. I ragazzi di Arkane hanno osato, e lo hanno fatto bene.  

Daniele Ciccarelli

Si avvicina al mondo dei videogiochi nell'era PlayStation: i primi amori sbocciano con Pandemonium e Abe's Oddysee, per poi proseguire in crescendo senza soluzione di continuità con le icone storiche di casa Sony. Con la maturazione si sono aggiunte anche le altre piattaforme, diventando un giocatore a tutto tondo e senza bandiere e con una passione per le serie TV.

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