Recensione

Recensione di The Last of Us Parte II: la perfezione non esiste, ma chissenefrega

Esiste una regola non scritta che porta le software house a ‘sparare’ le cartucce migliori verso la fine di ciascuna generazione di console. Una regola se vogliamo scontata, perché gli sviluppatori in quel momento possiedono la massima padronanza dell’hardware e la base installata giustifica investimenti sontuosi che saranno, si spera, ripagati dalle vendite.

Nel 2013 The Last of Us, semplicemente, ha ridefinito i videogiochi di avventura in terza persona con struttura lineare, attuando scelte coraggiose in termini di narrativa senza sacrificare il gameplay, abbandonando buonismo e compromessi che spesso caratterizzano questo medium. Ha sfiorato il perfect score (in questo video spiego perché non gli ho dato 10) ed ha rappresentato un’ulteriore prova di maturità da parte di Naughty Dog, che nel frattempo si è anche divertita con la serie Uncharted a creare invece alcuni tra i migliori titoli di azione presenti sulla piazza. Indubbiamente The Last of Us poteva concludersi con gli ultimi accadimenti che hanno coinvolto Joel e Ellie, ma dopo aver giocato a più riprese questa seconda parte, ogni dubbio è stato spazzato via e anzi, le basi per un terzo capitolo ci sono tutte, specie dopo le recenti dichiarazioni di Neil Druckmann e Naughty Dog.

Nel nome del sequel

Tranquilli, nulla è stato lasciato al caso, dalla durata complessiva, doppia rispetto all’originale (ne parlo più avanti), alla forte vena narrativa. Anzi, qua saliamo di livello ed il perché cercherò di sintetizzarlo nelle prossime righe, senza sconfinare nel campo degli spoiler. The Last of Us Parte II fa un piccolo salto temporale in avanti, non dimentica il passato e pone un accento ancora più marcato sulle storie dei protagonisti e sui cambiamenti rispetto al “vecchio mondo”. La pandemia scatenata dal fungo Cordyceps (modificato) si posiziona invece sullo sfondo, come pericolo costante in ogni esplorazione e combattimento, ma è altresì presente nella fase di “accettazione” da parte della comunità, che si è man mano organizzata per conviverci fino a chissà quando. Magari per sempre.
Dopo oltre 20 anni dal tardo settembre 2013 si sono formate, infatti, delle comunità disparate, militarizzate oppure governate da un culto religioso, organizzate per sopravvivere con una parvenza di normalità. Come quella di Jackson, Wyoming, gestita tra gli altri da Tommy, il fratello di Joel.

Nel bel mezzo tra vecchie e nuove conoscenze!

Ogni nucleo così formato fa storia a sé, ogni persona ha motivazioni differenti a cui aggrapparsi, a costo di calpestare quelle altrui: la vita, così come la morte, assumono un significato differente, sacrificabile sull’altare del proprio egoismo.
Preparatevi a diversi momenti che vi lasceranno interdetti: in un paio, addirittura, ho deciso di terminare la mia sessione e andare a dormire, per metabolizzare quanto successo. La vendetta che è stata più volte raffigurata nei trailer ufficiali rappresenta sì la colonna portante di questo secondo capitolo ma è in realtà solo la punta dell’iceberg, poiché viene costantemente ribaltata da eventi inaspettati che coinvolgono i protagonisti, più di quanto si possa pensare. In questi frangenti la propria morale viene messa alla prova, perfino nei confronti dei cani che vi verranno sguinzagliati contro dai rispettivi padroni. Se parliamo di esseri umani, poi, il gioco vi farà sentire ancora peggio perché, magari dopo averli eliminati, vi troverete a leggerne o viverne parte del background, e conoscere meglio le loro motivazione.

The Last of Us Parte II è come le montagne russe, ancora più impervie del titolo originale: non “esistono” solo Joel ed Ellie assieme ad un certo numero di comprimari più o meno importanti. La pandemia ha colpito nel profondo diverse persone, città e regioni, che hanno reagito in maniera differente per affrontarla; perfino le mutazioni derivate dal Cordyceps appaiono leggermente differenti in base a dove sono avvenute.
La narrazione degli eventi non sarà quindi univoca (chi vuol intendere, intenda): preparatevi a mettere e mettervi in discussione fino alle battute finali, che affondano le radici in diversi momenti precedenti e per questo risultano quasi anticlimatiche nell’accezione più comune del termine. Spiego meglio: non aspettatevi accadimenti clamorosi che spezzano in due – quelli ce ne sono in abbondanza prima – ma un lungo momento di riflessione che proseguirà sicuramente durante i titoli di coda. Vi assicuro che ho fatto gran fatica a raccontarvi quanto vissuto senza spoiler perché The Last of Us Parte II è eccezionale dal punto di vista narrativo: per gran parte insomma, dovete fidarvi.

A margine: Naughty Dog è stata molto brava nei trailer a mantenere slegati tra loro i momenti di storia, a non far capire chi si dispera per cosa oppure per chi sta combattendo. Ho recuperato inoltre gli spoiler trafugati nelle scorse settimane: la maggior parte dei quali non sono veritieri oppure completamente decontestualizzati. Ad ogni modo, cercate di resistere fino a quando non potrete mettere anche voi le mani sul gioco.

La storia è nulla senza controllo

Mi sembra dunque quasi banale dire che la regia, la commistione col gameplay, le transizioni, i dialoghi e l’impianto narrativo sono un ulteriore passo in avanti e costituiscono, senza timore di essere smentito, un nuovo metro di paragone per qualsiasi altro videogioco. Il percorso di miglioramento operato da Naughty Dog è ammirevole, un’asticella posizionata sempre più in alto senza mai sedersi sugli allori, un qualcosa da far impallidire produzioni passate e chissà per quanto tempo future. Se non avessi un amore viscerale per i videogiochi e per il loro gameplay, farei fatica a giocare un altro titolo dello stesso genere: probabilmente apparirebbe troppo grezzo o banale. In The Last of Us Parte II sembra di vivere una stagione televisiva di una grande serie, supportata dalla potenza delle immagini, da una grande fotografia e scenografia.

Sono i dettagli che mi hanno fatto impazzire in questo capitolo: l’impatto iniziale, infatti, non è da spacca-mascella, e in un confronto con Uncharted 4 il gioco sembra inizialmente cadere dinanzi a quest’ultimo, che dalla sua può contare su colori sparati, paesaggi mozzafiato e una palette colori pimpante. The Last of Us Parte II racconta un mondo cupo nonostante la natura si sia riappropriata dei suoi spazi. L’elettricità è quasi del tutto assente e spesso ci si muove in ambientazioni soltanto sfiorate dalla luce naturale.
Man mano che si prosegue, però, non si può non rimanere a bocca aperta per l’utilizzo eccezionale dell’illuminazione indiretta, per ciascun interno diverso dal precedente, per la sostanza, la “ciccia” che caratterizza ogni singola sezione.
Una roba che spesso ha dell’incredibile, frutto di un sapiente lavoro del motore grafico in congiunzione con la sensibilità artistica dei disegnatori in seno a Naughty Dog, un “manualità” che si sovrappone al resto e si traduce in tanti piccoli particolari che meritano già da soli il prezzo del biglietto. Le sezioni sotto la pioggia o in notturna, magari in presenza di incendi, raggiungono l’apice assoluto, con una fotografia esemplare e dei “filtri” che rendono l’immagine ancora più drammatica o realistica, a seconda dei casi.

Personalmente ho giocato il titolo su PlayStation 4 Pro, su schermo OLED con HDR abilitato: secondo le analisi di Digital Foundry il gioco ‘gira’ a 1440p (poi upscalati, esattamente come Uncharted 4 post-patch) e 30 fotogrammi al secondo tendenzialmente stabili. Da un’analisi esperienziale ho notato qualche piccolo calo solo in situazioni particolari e accessorie, comprese le infami cascate che mettono a dura prova qualsiasi motore grafico.
Ah! La ventola: rumorosa come sempre in linea con le altre esclusive PlayStation 4.
Il gioco fa utilizzo di un ottimo motion blur (si può ridurre nelle opzioni) che contribuisce a rendere la fluidità ancora più “burrosa” (termine tecnico) e piacevole. La risposta ai comandi è puntuale, l’immagine ha una pulizia elevata come da stampo Naughty Dog, l’interfaccia è spesso assente per garantire qualità da inquadrature televisive, che spesso fanno dimenticare di avere a che fare con un videogioco. Il risultato complessivo è dunque molto elegante, minimale anche per quanto riguarda l’armamentario, il livello di energia o le munizioni. Se non bastasse, a disposizione ci sono un numero nutrito di opzioni, da quelle di accessibilità legate al movimento, mira automatica, sequenze “quick-time”, fino alla possibilità di disattivare in maniera indipendente ogni singolo elemento dell’interfaccia.
E ancora, sul fronte sottotitoli, come ulteriore esempio, la scelta è possibile su tre diverse dimensioni, la presenza o meno dello sfondo, la scelta di colori alternativi: insomma, una grande attenzione per tutte le categorie di giocatori.

L’arte minimalista: saper usare un poco di tutto.

Il gioco è giustamente doppiato in italiano, con la possibilità di operare in maniera indipendente sulle voci, testo e sottotitoli. La qualità è più che buona per i protagonisti mentre il missaggio complessivo appare discreto: il consiglio è giocarlo ovviamente nella nostra lingua per godere al massimo dell’interfaccia poco invasiva, ma anche di provare il doppiaggio originale, di qualità eccelsa sia in fase di recitazione che di sync labiale fino al bilanciamento rispetto alla musica ed agli effetti.
Ho provato il titolo su un impianto 5.1 composto da casse Sonos (se digitate il codice “Scemo chi Legge” sul sito ufficiale, per voi 10% di sconto…ah no, me lo hanno scritto loro quando ho provato ad avere uno sconto io) per riscontrare un posizionamento eccellente degli effetti sonori, dalla pioggia che batte sulle superfici ai dialoghi dei personaggi. Particolare cura è stata riposta nella riproduzione del rumore delle armi, che contribuisce ad aumentare l’immedesimazione durante gli scontri con gli avversari. La colonna sonora, indubbiamente eccellente, dispone di una grande varietà di melodie, mancando forse di quel paio di tracce iconiche che hanno caratterizzato il predecessore. Il tema della chitarra è ricorrente non solo visivamente, ma anche nella narrazione: nulla è lasciato al caso.

Il Gameplay (Café)

Naughty Dog non teme confronti quando si tratta di fondere assieme narrativa e gameplay; in Parte II abbiamo dunque il risultato massimo da parte dello sviluppatore californiano, vuoi per l’interfaccia più volte citata, vuoi per l’assoluta magnificenza delle animazioni, che rispondono ai comandi del giocatore o passano il testimone alle sequenze di intermezzo. A tradire le differenze ovviamente concorre la mancanza di input da parte del giocatore e ad esempio volti ancora più definiti, ma siamo al cospetto di un avventura senza soluzione di continuità in cui tutto appare integrato coma mai visto prima. Il mondo di gioco decadente, la durezza del contesto vengono perfettamente racchiusi nel gameplay, che non reinventa la ruota ma appare come un’evoluzione più sfaccettata del predecessore.
La fisicità è ulteriormente accentuata, dal rinculo delle armi da fuoco all’utilizzo di quelle bianche; le animazioni fanno apparire più credibili e “pesanti” le cadute oppure i colpi ricevuti, la crudezza delle uccisioni non risparmia arti mutilati e teste saltate, per gli umani così come gli infetti.

Migliorare ed espandere una formula già funzionante.

Ritorna il sistema di crafting introdotto dal primo capitolo, semplificato in taluni passaggi, arricchito in altri; le parti raccolte concorrono a potenziare le armi e magari renderle più potenti/maneggevoli, le pillole vengono impiegate per potenziare i rami delle “abilità”, le bende e derivati servono per la costruzione di svariati oggetti. Il tutto è accessibile mediante touchpad e croce digitale, senza pausa seguendo il concetto ereditato dal primo The Last of Us: poche risorse e un tempo necessario per combinarle.

Le succitate animazioni concorrono inoltre a nuove possibilità per i protagonisti controllati. C’è il salto, si può sparare da terra quando sbalzati dopo un colpo, passare attraverso strettoie velocemente col tasto X, schivare con L1. I passaggi stretti possono rappresentare un modo più veloce per aggirare gli avversari oppure scappare dai nemici, che impiegheranno qualche istante per passarvi attraverso; la schivata assume un ruolo fondamentale nel corpo a corpo, dando un vantaggio competitivo per avere la meglio o fuggire, forse troppo facilmente una volta trovato il tempismo giusto.

Nei trailer e nelle dichiarazioni di Naughty Dog si era parlato di un gioco più “aperto” rispetto al passato. Questa cosa è vera nella misura in cui esiste maggiore verticalità e ci sono diverse sezioni facoltative da esplorare, come nel centro di Seattle. Il gioco però rimane sostanzialmente lineare in virtù della sua narrativa; magari per proseguire ci vengono offerte delle piccole alternative, ma appunto bisogna sempre passare da un punto specifico, suggerendo l’esplorazione per raccogliere più risorse o scovare dettagli. Proprio il centro di Seattle rappresenta la “mappa” più aperta e articolata, per il resto parlerei invece di “aperture”.
Preciso ulteriormente: la maggiore estensione del mondo di gioco esplorato rispetto al primo capitolo è evidente, vuoi appunto per la verticalità che per gli esempi di poco sopra; l’esplorazione e gli scontri fanno sì che si abbia una visione d’insieme maggiore, anche quando si affrontano sezioni simili ma con strade differenti dalle quali si può vedere in lontananza il precedente percorso. È tutto più “arioso”, ma ricordatevi sempre che abbiamo a che fare con un avventura in terza persona dalla forte componente narrativa.

L’IA come fa, non c’è nessuno che lo sa

Se avete memoria storica, del primo The Last of Us avevo criticato una parte dell’intelligenza artificiale, che dava luogo a situazioni “fastidiose”. Ebbene, i passi fatti in avanti sono percepibili: gli umani comunicano tra loro con la radio o con la voce e si allertano se non ricevono risposta. Si muovono in gruppo, aggirano i protagonisti, si insospettiscono velocemente, se eliminate il padrone di un cane segugio, il suo lamento allerterà gli altri. L’erba alta (FINALMENTE!) non assicura invisibilità in ogni frangente, ma solo dalla distanza; che siate accovacciati o stesi, un nemico a pochi passi si accorgerà della vostra presenza.
Questione comprimari: anche qui vengono bellamente ignorati dai nemici – suppongo a questo punto per questioni di design – ma fortunatamente rimangono spesso nelle retrovie, in copertura o in posizione, senza raggiungere quei picchi “comici” del gioco originale che tanto mi avevano infastidito.
Complessivamente non parliamo di una intelligenza artificiale super sofisticata, sia chiaro, ma il tutto appare più credibile e impegnativo, imponendo al giocatore di muoversi costantemente e di usare strategie differenti, a meno di non voler fare Rambo quando in possesso di un buon quantitativo di munizioni.

Detto questo, il mio consiglio è quello di giocare subito a livello difficile o superiore, ancora di più se avete dimestichezza col genere: in questa maniera potete ottenere un buon compromesso tra risorse disponibili – pur sempre limitate – comportamento dei nemici e dei propri compagni.
Ma c’è di più: ciascun livello di difficoltà può essere selezionato immediatamente e cambiato durante la partita, in aggiunta sono presenti una serie di opzioni che consentono di agire in maniera granulare sui parametri.
Qualche esempio? Aggressività dei nemici e complessità di scontri specifici, livello di prontezza dei propri compagni, danno procurato, numero di risorse disseminate per l’ambientazione. Banalmente potete “pompare” al massimo la difficoltà degli avversari ma lasciare su “standard” le risorse disponibili, o viceversa, per personalizzare come più aggrada la propria avventura.

In definitiva il gameplay di The Last of Us Parte II è più divertente, coinvolgente e variegato rispetto a quello del titolo originale, ne condivide il DNA ma riesce a sorreggere ancora meglio le altre componenti. Personalmente ho portato a termine il titolo Naughty Dog in trenta ore e trentacinque minuti, collezionando il 51% dei trofei e una buona parte degli extra, anche quelli legati all’esplorazione. Realisticamente è un gioco che può durare dalle 25 alle 35 ore: non accelerate inutilmente l’esperienza ma godetevi piuttosto i suoi dettagli e le sue finezze. 
Difetti ce ne sono, certo: la sezione finale, la parte di esplorazione e gameplay, introducono una nuova area ma appaiono meno approfondite rispetto al resto. Alcune caratteristiche già viste in Left Behind, come la possibilità di far combattere tra loro infetti e umani prima di “intervenire”, sono relegate a poche sezioni in relazione al numero di combattimenti complessivi. Piccolezze in un quadro complessivo esaltante, con quel finale perfetto concettualmente, poco hollyvoodiano.

Prima di lasciarvi al commento, vi ricordo che qui sotto c’è la videorecensione, di ben 45 minuti. Con questa combo capirete esattamente cosa penso del gioco, in alternativa avrete a disposizione un sonnifero super efficace.

Commento

Per diverse notti ho rimuginato sul voto da assegnare a The Last of Us Parte II, in relazione al primo capitolo e soprattutto a quello che, ad oggi, rappresenta per le avventure in terza persona lineari. Potevo fare lo “schizzinoso” con un 98, provare a “fare rumore” con un 99 che sa tanto di 29 all’università. Su Gameplay Café, però, si celebra la nostra passione per i videogiochi: e allora andiamo con il 100 su 100, il primo ufficiale (quello di The Legend of Zelda: Breath of the Wild è arrivato postumo) su questo sito.
The Last of Us Part II è grandioso, fenomenale dal punto di vista narrativo, eccezionale per la cura del dettaglio, meraviglioso dal punto di vista artistico e visivo, coraggioso nel suo complesso.
È un titolo di sostanza e pregio anche quando manifesta il suo gameplay, chiedendo quasi al giocatore di “disturbare” la storia che Naughty Dog ha voluto raccontare.
È perfetto? Giammai, ma ad oggi non riesco a trovare un gioco lontanamente paragonabile nella stessa categoria, così vero, duro, coinvolgente.

Tanzen

Patron di Gameplay Café, Senior Editor Dissapore.com, ex Multiplayer.it. Direttore culturale videogiochi Napoli COMICON / Sommelier 🍷/ dispensatore di capate in bocca!

View Comments

  • Il titolo che più attendevo in assoluto, quello su cui fantasticavo dal 2013. Finalmente sta per arrivare anche a noi. Non sembra realtà ma poi leggo questa splendida recensione e realizzo che manca soltanto una settimana. Non vedo l’ora di partire per il Wyoming.
    PS: sempre bello ed emozionante, leggere le recensioni delle eslusive Sony scritte da Antonio.

  • È sempre bello leggere le tue recensioni. Da più di sette anni ti seguo con grandissimo entusiasmo, perchè nel tuo modo di condividere la passione per i videogiochi vedo tanta professionalità associata a simpatia e una grande capacità comunicativa.
    Grande Tanzen!

  • Ricordo come fosse oggi quando, nonostante erano anni che lo leggessi con stima e piacere (tra cui la review di The Last of Us, ma non solo!) Antonio mi coinvolse profondamente nei giochi From Software che fino ad allora avevo praticamente ignorato, con la sua review di Bloodborne. Ricordo tuttora quella sensazione di coinvolgimento nel leggerla, quella voglia di giocarlo e cimentarmi in qualcosa del genere.

    Per questo gioco le sensazioni sono diverse, lo conosco già, non arriva a sorpresa e l’ho preordinato dal primo momento possibile.
    Ma la recensione rimane scritta con quella capacità e quel coinvolgimento di sempre, come solo un vero appassionato come Antonio riesce a fare, in ogni sua recensione che leggo da oltre 10 anni.

    Per me questa recensione, è ancor più un modo per cogliere l’occasione per ringraziarti. Di dubbi tali da rimuovere il preorder, non ne avevo. Ma l’hype era bassino.
    Grazie a questa review ora è altissimo!

  • Leggi la recensione partendo da una posizione neutra, pur avendo apprezzato il primo episodio. Arrivi alla fine, vedi circa metà del video e poi ti scatta quella sensazione li. Quella di altri 50+ € che stanno per andarsene. La proffesionalità e l'impegno profuso dal team traspare dalle tua parole Antonio e dalle immagini; questo impegno verso noi appassionati va ripagato. Giochi di questo livello sono atti d'amore verso il proprio lavoro e come per qualsiasi altra professione meritano innanzi tutto ammirazione.

  • Scusate il doppio post ma ho letto con calma TUTTA la recensione (la video-recensioni la guarderò con calma oggi) e in ogni frase si traspira l'umanità e la vicinanza d Antonio a noi lettori. Cosa che non scorgo altrove. Le rassicurazioni sugli spoiler, il "fastidio" di andare e vederseli ad avventura completa e confermarci che hanno ben poco di "spoiler" o sono comunque molto approssimativi, a me, onestamente, ha fatto quasi emozionare. In una parte, poi, scrive che non può dire molto altro su parte della trama ma semplicemente di "fidarci". E beh, di uno come il Tanzen, non puoi NON fidarti.
    Ribadisco, invece, la bellezza di poter leggere la sua recensione di un'esclusiva Sony al day-one. E' come ritornare indietro di dieci anni. Un salto nostalgico nel passato ma ora sulle piacevolissime pagine di Gameplay Cafè.

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