Recensione

Recensione Fallout 76: l’Appalachia è brutta, ma (nonostante tutto) ci vivrei

Sono nel cuore dei boschi dell’Appalachia, affianco a me è si è appena teletrasportato l’uomo falena nella sua forma vendicativa, un nemico speciale che compare raramente, e che è il protagonista di una delle quest più affascinanti del gioco. Aspettavo da diverse ore questo momento, impugno il mio fucile a canne corte leggendario, e pregusto già il bottino che strapperò dalla carcassa della bestia. Sparo un primo colpo, lo colpisco alla testa grazie all’assistenza dello S.P.A.V., insisto, ma vado a vuoto, nel frattempo l’orrida creatura alata inizia a combattere per la sua vita. Prendo la distanza, mi allontano per caricare, ma la mia vita comincia ad abbassarsi comunque, il controller vibra, è come se un nemico mi stesse colpendo con attacchi corpo a corpo. Di certo non l’uomo falena, di cui evito grossomodo ogni colpo. Il controller vibra di nuovo, perdo altra vita. Vado nel panico, e decido di abbandonare la sfida con il mostro, trovo rifugio dietro ad un albero, ma il controller non smette di vibrare nemmeno questa volta e, colpo dopo colpo, il mio personaggio si accascia a terra esanime. Prendo in mano il cellulare e cerco di capire esattamente cosa possa essere successo — che abbia sottovalutato i poteri del mitologico uomo falena? Del resto di lui ne avevano parlato pure in una vecchia puntata di Mistero, il programma con Enrico Ruggeri. Insomma, uno tosto. Ma il problema non è lui: sul subreddit della Bethesda scopro che molti altri utenti si sono imbattuti nella stessa identica dinamica, che è molto meno “misteriosa” e più avvilente di quanto pensassi, ad uccidermi sono stati dei comunissimi ardenti, resi invisibili da un bug del gioco. Nel frattempo la schermata di caricamento questa volta riporta informazioni in francese, bene ma non benissimo. Qualche giorno prima mi era capitato lo spagnolo. Attendo una eternità dopo la quale il gioco decide che è il caso di farmi finalmente tornare in vita, inizio a correre per tornare nel luogo della mia morte per recuperare tutte le risorse che il gioco mi ha tolto come penalità per essere stato sconfitto. Ma dopo pochi passi il disastro: i comandi non rispondono più e il gioco si blocca. Decido di aspettare qualche minuto, ma nulla. Riavvio nuovamente Fallout 76, che finalmente si carica correttamente. Apro la mappa, torno sul luogo dell’incidente, nessuna traccia dell’uomo falena, come immaginavo, ma nessuna traccia nemmeno delle mie risorse, che avevo collezionato in oltre quattro ore di gioco. Sento una nuova vibrazione, non è il controller, ma il citofono di casa mia: è il vicino che mi invita ad imprecare con meno impeto, che non è l’ora adatta e nemmeno il caso, ci si sta avvicinando al santo Natale, dopotutto. Ma questa è un’altra storia. 

 

Quando Bethesda annunciò a sorpresa che il prossimo capitolo della saga di Fallout sarebbe stato uno spin off che ibridava le meccaniche tradizionali, con quelle di un’esperienza MMO peculiare, a metà tra Destiny e un survival alla Z-Day, la community reagì in modo scomposto, e per nulla uniforme. C’era chi prese la cosa con entusiasmo, esaltato dalla prospettiva di poter esplorare il mondo post apocalittico in compagnia dei propri amici, altri hanno preso la scelta come l’ultimo chiodo sulla bara di un franchise ormai troppo distante dalle sue origini, altri ancora hanno ritenuto più saggio aspettare l’uscita del gioco, compiendo l’incredibile scelta di sospendere il loro giudizio finché non avessero effettivamente messo mano su questo nuovo capitolo — che pazzi furiosi. Ora Fallout 76 è uscito per Xbox One, PS4 e PC da ormai quasi due mesi, e sappiamo tutti per certo che le cose non hanno funzionato come avrebbero dovuto, rendendo questo ultimo capitolo della popolare saga retrofuturistica un gioco estremamente controverso e, per i più, particolarmente deludente. Eppure, non tutto è da buttare.

Come gli altri capitoli della serie principale, anche questo Fallout inizia in un Vault, il 76, da cui il titolo del gioco. Siamo nel 2102, appena 25 anni dopo il termine della guerra nucleare che ha cambiato il mondo e estinto la civiltà per come la conoscevamo, e una sessantina di anni prima delle vicende raccontate nel primo Fallout. È il Reclamation Day, forse abbiamo alzato un po’ troppo il gomito durante la festa colossale della sera prima di cui, al nostro risveglio, possiamo solo vedere i resti — tra festoni, addobbi e bottiglia di spumante ormai vuote. Per questo motivo siamo gli ultimi ad uscire da un Vault completamente deserto, giusto il tempo di raccogliere l’equipaggiamento minimo e indispensabile per prepararci alle insidie del mondo post nucleare, e siamo fuori, in un nuovo Stato tutto da esplorare e che, come scopriremo presto, è ricco di segreti nascosti, ma anche di inedite minacce letali: il West Virginia.

Una delle prime cose che notiamo uscendo dal Vault è la presenza di due nuovi indicatori, dedicati alla fame e allo stato di idratazione. Cercare provviste, o alla peggio rubare la carne dalle carcasse degli animali che incontreremo, diventa fondamentale altrimenti i morsi della fame ci faranno deperire in poco tempo. Trovare costantemente scorte d’acqua è allo stesso modo cruciale, ma questa è sicuramente più difficile da trovare — nonostante il gioco ce la chieda costantemente: forse per le radiazioni, o per qualche mutazione contratta, o magari per dei farmaci che ho assunto, il mio personaggio richiede di bere ogni venti minuti. Ero rimasto che una persona in salute dovrebbe bere circa due litri e mezzo d’acqua al giorno, ma ogni tanto ho avuto l’impressione che questo fabbisogno, nel mondo postapocalittico di Fallout 76, debba come minimo  essersi raddoppiato. Per capirci, si tratta di un fastidio di cui avrei fatto volentieri a meno, e che contribuisce a spezzare continuamente il ritmo di gioco. In Fallout 76 il senso di bisogno è alle stelle, le armi rendono a rompersi più facilmente che negli ultimi due capitoli, il personaggio si ammala facilmente, e a questo si aggiungono i soliti effetti delle radiazioni. Inedito, poi, il nuovo sistema di progressione, basato su dei veri e propri pacchetti di figurine (a cui corrisponde un perk specifico) che si ottengono dopo il superamento di un livello, fino al cinquantesimo. Da una parte si tratta di una scelta carismatica e divertente, con ogni pacchetto abbiamo in omaggio anche una gomma da masticare consumabile, dall’altra introduce un elemento di casualità che rende difficile pianificare in modo coerente la build del nostro personaggio.

Il destino del giocatore di Fallout 76 è contraddistinto da un forte senso di solitudine, come scopriamo già nei primi minuti di esplorazione dell’Appalachia. I classici PNG sono assenti, e in tutto il gioco non interagiremo mai con esseri umani, o mutanti, non ostili. Le nostre uniche interazioni, nel corso delle numerose quest inserite nel gioco, saranno con robot di vario tipo, le uniche voci non sintetiche che sentiremo nel corso delle decine di ore necessarie per portare a termine le missioni principali, saranno quelle registrate negli olonastri — vera e unica voce narrante di questo Fallout. La naturale conseguenza di questa bizzarra scelta è chiaramente l’assenza di ogni qualsiasi forma di dialogo a scelta multipla, e, più in generale, di possibilità di interazione attiva, e non meramente passiva, con il mondo di gioco. Insomma, Fallout viene mutilato di una parte importante della sua anima, il suo sistema di retribuzione basato sulle scelte etiche (o non etiche) compiute dal giocatore.

A subentrare al posto dei classici abitanti delle Wastelands sono dunque gli altri giocatori in carne e ossa. Eppure, per qualche strana ragione, i rapporti e gli incontri con questi, mi sono sembrati più asettici e superficiali di quelli che avrei potuto avere con un PNG guidato dall’intelligenza artificiale. “Hey man, wanna help me with this crappy quest?”, sento uscire dalle mie cuffie all’uscita da un edificio. È un ragazzino di Manchester, un giocatore come me alle prime armi. Di default la chat vocale è attiva per tutti i giocatori, basta essere vicino a qualcuno per poter parlare direttamente, senza bisogno di altri accorgimenti. Deciso di aiutarlo, e per i prossimi venti minuti ci troviamo ad esplorare assieme una clinica abbandonata, facendo fuori ogni super mutante che ci si para davanti. Arriviamo al terminale che ci interessa, tempo di vedere comparire la spunta di missione completata e, puff, l’inglese si sconnette con un laconico “see you around”. È il contatto con un altro giocatore più significativo che ho avuto in oltre trenta ore di gioco. Certo, se non si considera la coppia di tedeschi a livello 120 che hanno tentato di radermi al suolo il C.A.M.P. durante una delle mie partite. Ma in quel caso mi è bastato scollegarmi e riconettermi in un altro server per evitare di veder sfumare le mie ore di lavoro da architetto provetto di interior design. In linea di massima capita sporadicamente di incontrare altri giocatori, i server ne possono tenere collegati massimo ventiquattro per sessione, ma la mappa è estremamente vasta, più grande di quella di Fallout 4. Così il più delle volte ci troviamo abbandonati a noi stessi, esploratori solitari di un mondo minaccioso e gli altri utenti non sono nulla di più che puntini minuscoli e in movimento su una mappa sterminata.  E laddove la nostra strada si dovesse incrociare con quella di un altro giocatore, verosimilmente la sua presenza nello stesso edificio fatiscente che stiamo esplorando noi finisce per essere irrilevante, senza una vera e propria cooperazione o interazione di sorta. Imprescindibile dunque setacciare gruppi Facebook e forum a caccia di altri giocatori connazionali e con la nostra stessa console: per le attività di end-game, come il raid che permette di lanciare una devastante testata nucleare su un’area a scelta della mappa, è necessario poter contare su un team con cui potersi coordinare facilmente. Ma anche una volta trovato un proprio gruppo ci si accorge presto che la squadra non condivide i progressi della storia e gli obiettivi delle missioni, così che ogni giocatore dovrà stare attento a completare in autonomia ogni step, pena l’aver semplicemente aiutato un proprio compagno a raggiungere i suoi obiettivi, senza tuttavia poter dire di aver fatto altrettanto.

INFO UTILI

Ho giocato a Fallout 76 su Xbox One.

Durata
  • Circa una trentina di ore per la quest principale, considerando la necessità di livellare per non trovarsi in una condizione di inferiorità abissale quando saremo costretti a visitare le aree della mappa con nemici molto potenti.
  • Ovviamente la presenza di attività secondarie, veri e propri segreti da scoprire, nemici leggendari da inseguire per collezionare le armi più rare, così come la possibilità di personalizzare il proprio C.A.M.P, rendono la durata complessiva relativamente alta.
  • Tuttavia, si sottolinea l'assenza di attività end-game di spessore, mancando, ad esempio, un vero incentivo per ripetere il raid più e più volte. Dopo una settantina di ore, verosimilmente non rimarrà più molto da fare.
Collezionabili e Extra
  • Come nei capitoli precedenti sono presenti riviste e statuette del pip boy, ma questa volta daranno un bonus al giocatore solamente temporaneo
  • É possibile scoprire degli holotape, mini-giochi su cassetta che possono essere riprodotti a piacere
  • Ogni luogo visitato fornisce una cornice personalizzata con cui decorare i vostri scatti
Scheda Gioco
  • Nome gioco: Fallout 76
  • Data d uscita: 14 Novembre 2018
  • Piattaforme: PC, PlayStation 4, Xbox One
  • Lingua doppiaggio:
  • Lingua testi:

Bethesda fin dalla uscita del gioco ha dovuto lavorare in modalità “damage control”. L’episodio con cui ho scelto di aprire questo sulla mia esperienza nel gioco è solo uno dei più grotteschi che mi sono capitati, ma non è certo l’unico. Basta aprire Twitter, Reddit o un forum qualsiasi per trovarsi difronte alle esperienze allucinanti della community di gioco, tra missioni che non possono essere completate, crash dei server, e materiali che scompaiono misteriosamente dall’inventario. L’azienda ha già pubblicato numerose patch che sono andate incontro alle richieste della community, ma il lavoro da fare è ancora molto. Soprattutto perché, come è evidente, molti dei problemi sono strutturali, e richiederebbero un lavoro e una rivoluzione analoga a quella che è stata fatta con No Man’s Sky.

Eppure la verità è che tutto o quasi ciò che c’è di sbagliato in questo gioco è, stringendo i denti, sopportabile. Fallout 76 alla lunga diventa come una macchina usata, di quelle che fanno i capricci ma a cui finisci per volere bene. Le spie (di cui ignoti perfino il significato) lampeggiano in modo preoccupante, lo sterzo è brusco, la frizione rigida, e i freni rumorosi. Però con quella macchina ti diverti e di portarla dallo sfasciacarrozze non se ne parla. E così quello di Fallout 76 é sì un mondo  più desolato del solito, e l’esperienza di gioco è indubbiamente acciaccata da continui problemi tecnici, e da un sistema di controlli che forse richiederebbe un aggiornamento, ma alla fine della sessione di gioco guardi l’orologio e scopri che hai passato più di due ore e mezza  con il pad in mano a dare la caccia ai Deathcrawl, a cercare i pezzi per la tua armatura atomica, ad esplorare edifici per mettere le mani sui tesori che nascondono, a costruire e difendere il tuo C.A.M.P e ad ascoltare olonastri che racchiudono tasselli preziosi di una storia affascinante e ricca di spunti profondi. E la soddisfazione è più forte di ogni frustrazione. E non vedi l’ora di ritornare il giorno dopo, per rubare al West Virginia qualche nuovo segreto. Ma questa è l’eredità lasciata dai capitoli della saga tradizionale, un carisma, una lore, e un certo modo di portare avanti la narrazione, che sopravvivono nonostante le imperfezioni e le mancanze gravi di questo gioco. Che pure ci sono, e non vengono di certo cancellate. Anzi.

Umberto Stentella

Veneziano di terra ferma e classe 1994. Nella vita prende sul serio poche cose, tra queste Star Wars, le energy drink e i gatti. Moderatamente boxaro, ama qualsiasi gioco dove si faccia pew pew. Si è occupato di cronaca e tecnologia per alcune testate online e cartacee.

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