Recensione

Suburra, la recensione della terza e ultima stagione

Comincio questa recensione di Suburra con una premessa: le prime due stagioni, al netto di un immaginario affascinante e di un paio di personaggi accattivanti e ben interpretati, non mi avevano convinto fino in fondo, complice l’inevitabile confronto con l’omonima pellicola diretta da Stefano Sollima nel duemilaquindici.

Eppure lo show di Netflix è riuscito, in soli diciotto episodi (dieci della prima stagione a cui si sommano gli otto della seconda) a crearsi un cospicuo seguito, in Italia ma anche oltre i confini nazionali, sintomo di un genere, il crime malavitoso all’italiana, che non sembra conoscere crisi.

Il 30 ottobre le avventure di Aureliano Adami e Spadino Anacleti giungeranno inevitabilmente ad una conclusione. Questa terza stagione sarà infatti l’ultima, composta da soli sei episodi chiamati a chiudere il cerchio.

Preti, politici e malavitosi

Il canovaccio principale di questa nuova stagione non si emancipa particolarmente dai temi affrontati in passato, pur concentrandosi maggiormente sulla chiusura delle linee narrative aperte con le stagioni precedenti.

Aureliano e Spadino sono in sfida aperta con Samurai per il controllo di Roma e delle sue piazze di spaccio, Cinaglia continua la sua scalata al potere e Manfredi Anacleti, risvegliatosi dal coma, medita la sua vendetta nei confronti di Spadino e il ritorno sul trono degli Anacleti.

la riduzione del numero di puntate è il primo grande pregio di questa stagione

In tutto questo un nuovo giubileo straordinario, indetto dal Papa e fortemente voluto dal Cardinale Nascari (Alberto Cracco), attira le attenzioni di tutta la Roma malavitosa, smaniosa di mettere le mani sull’ingente indotto derivante dall’arrivo in città di centinaia di migliaia di fedeli.

Un’idea un po’ flebile e non troppo originale quella del giubileo, che tuttavia resta sempre in secondo piano e rappresenta poco più che una cornice rispetto al cuore narrativo di questi nuovi sei episodi.

Pochi ma buoni

Proprio la riduzione del numero di puntate a sei, sempre della durata di circa cinquanta minuti, è il primo grande pregio di questa stagione. A giovarne è il ritmo complessivo che, a parte forse i primi due episodi un po’ più dispersivi (come in passato), consente una migliore messa a fuoco del racconto.

Non ci sono quasi mai scene percepite come riempitive, cosa ricorrente nelle passate stagioni, e in tal senso è perfetta anche la riduzione complessiva del numero di storyline e la scelta di focalizzarsi su pochi protagonisti. Viene ridotta di molto la presenza a schermo di personaggi centrali nelle passate stagioni, come quello interpretato da Claudia Gerini, che qui sparisce del tutto dopo un paio di fugaci apparizioni nei primi due episodi.

Protagonisti assoluti di questa seconda stagione sono Aureliano e Spadino, cui si contrappongono i due antagonisti principali  Manfredi Anacleti e Amedeo Cinaglia, insieme al sempre presente e tentacolare Samurai interpretato da Francesco Acquaroli.

Scelta perfetta, dal momento che i personaggi appena citati sono anche quelli meglio scritti e certamente meglio interpretati. Alessandro Borghi e Adamo Dionisi sono i mattatori assoluti che per presenza scenica e abilità interpretative spiccano sul resto del cast.

Gli ultimi episodi sono una costante escalation di tensione e la costruzione drammatica funziona molto più che in passato.

Un gradino sotto gli ottimi Filippo Nigri nei panni del politico corrotto Amedeo Cinaglia e Giacomo Ferrara nei sempre eccentrici (ma fragili) panni di Spadino.

Nota dolente invece per tutta una serie di personaggi secondari che, pur trovando come detto molto meno spazio che in passato, avrebbero sicuramente meritato interpretazioni più lungimiranti. Qualche eccezione c’è, come lo splendido personaggio interpretato da Marzia Ubaldi, di stampo quasi fumettistico ma perfetto per fare da collante tra i protagonisti con il suo studio a mo’ di confessionale per la malavita romana.

Brava anche Federica Sabatini nei panni di Nadia Gravone, partner affettiva e “lavorativa” di Aureliano, sicuramente più meritevole della non sempre convincente Carlotta Antonelli, decisamente più monocorde nel ruolo di Angelica.

Quanto sei bella Roma quanno è sera

Non ci possiamo esimere, in sede di recensione di Suburra 3, nell’esprimere un generale apprezzamento per la messa in scena.

Anche qui verosimilmente, il minor minutaggio complessivo ha contribuito ad innalzare il valore produttivo generale, con scene d’azione generalmente più credibili che in passato e una fotografia al solito piuttosto curata e che non sfigura, tutto sommato, rispetto alle produzioni internazionali presenti nel catalogo Netflix.

Alessandro Borghi e Adamo Dionisi sono i mattatori assoluti che per presenza scenica e abilità interpretative spiccano sul resto del cast.

Peccato solo per alcune scelte di color grading rivedibili, come l’invadente dominante gialloverde delle scene dedicate al clan degli Anacleti, che finiscono per risultare un corpo estraneo, minando la continuità visiva degli episodi in più occasioni.

La regia di Arnaldo Catinari, già direttore della fotografia delle stagioni precedenti, è solida, seppur un po’ scolastica, ma capace di qualche guizzo interessante soprattutto nella composizione dell’inquadratura e in alcuni movimenti di macchina significativi e ben pensati.

Anche il montaggio, soprattutto negli ultimi episodi, lavora estremamente bene nella costruzione della tensione, con diversi momenti di montaggio parallelo particolarmente efficace nell’accrescere il peso drammatico degli eventi.

L’ultima pallottola

Insomma questa terza stagione di Suburra riesce decisamente bene nel compito di chiudere più che degnamente le avventure televisive di Aureliano e Co.

Gli ultimi episodi sono una costante escalation di tensione e la costruzione drammatica funziona molto più che in passato, fino al soddisfacente epilogo. I momenti con Aureliano e Spadino insieme sono perfetti nel delineare il complesso rapporto di amicizia e rispetto che lega i due, merito anche di alcuni siparietti comici azzeccati e mai eccessivi, utili ad accrescere l’empatia nei confronti dei loro personaggi.

E infin dei conti è proprio questo quello in cui questa stagione riesce meglio, farci amare ancor più che in passato i suoi protagonisti, lasciandoci con l’amara consapevolezza che non li rivedremo più (ma mai dire mai, ovviamente).

Non può che concludersi con una promozione questa recensione di Suburra 3, per un prodotto sicuramente non privo di difetti ma decisamente onesto e ben confezionato, sicuramente tra i migliori della non certo eccellente esperienza produttiva italiana di Netflix (vedasi il recente Curon)

Aurelià, Spadì, se beccamo.

Leonardo Alberto Moschetta

Appassionato di videogiochi dal lontano...ehm..troppo tempo. Amo ogni genere di audiovisivo, in particolare il cinema, al punto da aver trasformato in lavoro questa mia passione. Tra le altre mille passioni: Giappone, Cibo, Vino, Musica, un po'di sport (il fantacalcio conta?), letteratura, fumetti e...

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