The Eddy è un prodotto unico, probabilmente irripetibile. La nuova mini serie Netflix, scritta da Jack Thorne (National Treasure, Philip K. Dick’s Electric Dreams), ha infatti il sapore del grande cinema d’autore europeo (in primis francese) e si discosta nettamente da qualunque stilema e registro tipico della serialità moderna. The Eddy è il Jazz, nel contenuto come nella forma. È coralità e individualità, preparazione e improvvisazione, astrazione e realtà.
Le eccellenze dietro alla produzione di The Eddy sono innumerevoli. In primis il premio Oscar Damien Chazelle, che qui compare nel duplice ruolo di produttore e regista (dei primi due episodi). La capacità di raccontare il mondo della musica del regista di La La Land e Whiplash non è certo una novità, ma in The Eddy si toccano corde emotive nuove e, in alcuni casi, ancora più alte.
L’altro grande nome è quello di Glen Ballard, storico produttore musicale statunitense, vincitore di ben sei Grammy Awards e collaboratore di artisti del calibro di Michael Jackson e Barbara Streisand. Ballard si è occupato della scrittura (insieme a Randy Kerber) di tutti i pezzi eseguiti dalla band protagonista della serie e che costituiscono, di fatto, l’intera colonna sonora dello show.
In una Parigi dei giorni nostri splendidamente fotografata ci troviamo a seguire le vicende di Elliot Udo, straordinario pianista e compositore jazz americano, trasferitosi nella capitale francese in seguito ad un terribile dramma familiare. Insieme allo storico amico Farid, Elliot cerca di lanciare un piccolo jazz club, il “The Eddy” appunto, e la sua band, per cui scrive ogni brano e di cui ha selezionato personalmente i componenti.
La situazione di Elliot si complicherà non poco quando Julie, la sua figlia sedicenne, si trasferirà da New York a Parigi in via definitiva e quando la relativa tranquillità del locale verrà minacciato dalla malavita parigina.
The Eddy coniuga in maniera estremamente riuscita il dramma, il thriller e la musica.
The Eddy coniuga in maniera estremamente riuscita il dramma, il thriller e la musica. La narrazione è corale, ma vi è il tempo e il modo per conoscere approfonditamente molti dei personaggi. Ciascuna delle otto puntate che compongono la serie, infatti, si focalizza su uno specifico personaggio, delineandone le motivazioni e la psicologia con uno straordinario e delicato realismo.
Personaggi il cui spessore è merito anche e soprattutto del cast, che alterna volti più o meno noti a sorprendenti attori emergenti. André Holland (Moonlight) giganteggia nel delineare i mille conflitti del suo Elliot, personaggio capace di una quantità pressoché infinita di sfumature: irascibile, perfezionista, ambizioso e al contempo gentile, altruista, sensibile.
Altrettanto mirabili sono le prove offerte dalla francese Leïla Bekhti nel personaggio di Amira, moglie di Farid e dalla giovane Amandla Stenberg, interprete di Julie. Nei panni di Maja, voce della band e pseudo compagna di Elliot, troviamo invece un’altrettanto eccellente Joanna Kulig, interprete di molte pellicole del cineasta polacco Paweł Pawlikowski (come ad esempio il fortunato Cold War).
Una menzione speciale la meritano però gli interpreti dei musicisti che compongono la band del “The Eddy”. Si tratta infatti di veri musicisti prima che attori, personalmente selezionati da Glen Ballard e chiamati ad una difficile e intensissima prova recitativa. Si tratta di Randy Kerber, Ludovic Louis, Jowee Omicil, Lada Obradovic e Damian Nueva Cortes. La Obradovic e Cortes hanno persino un intero episodio a testa dedicato.
The Eddy sceglie di narrare la sua storia con un linguaggio estremamente personale, accendendo prima di tutto i riflettori sull’introspezione psicologica dei personaggi e sul rapporto degli stessi con la musica. I numerosi primissimi piani sono lo sguardo indagatore dello spettatore nei pensieri di questi musicisti tanto fragili quanto induriti dalla vita. L’uso costante della camera a mano, i lunghi piani sequenza alternati a repentini e (volutamente) mal raccordati stacchi in asse sono la grammatica ideale per quello che si presenta come uno spaccato di palpabile realtà. Un cinéma vérité, per citare Morin, che rifiuta qualsiasi semplificazione o “abbellimento”.
La medesima direzione la percorre la fotografia, sempre estremamente naturale, che restituisce allo spettatore una Parigi mai così cupa e degradata. I luoghi rappresentati sono lontani da quelli iconici della capitale francese. Nelle circa otto ore complessive che compongono la serie, la Tour Eiffel compare una volta sola, sullo sfondo. A dominare la scena sono invece i sobborghi parigini, dura palestra di vita tra zone di spaccio e casermoni. Gli stessi volti, sul quale il trucco è pressoché assente, vengono fotografati senza nascondere alcuna ruga o imperfezione.
Le regie che si susseguono durante gli episodi (Houda Benyamina, Laïla Marrakchi, Alan Poul) mantengono il linguaggio tracciato da Chazelle nei primi due episodi, con una struttura totalmente libera e un ritmo assolutamente disomogeneo tra lunghi momenti contemplativi e improvvise accelerazioni.
In The Eddy non esiste musica che non sia diegetica.
Persino l’utilizzo della musica persegue un’idea di realismo. In The Eddy, infatti, non esiste musica che non sia diegetica. La musica è sempre quella suonata in scena da musicisti e strumenti ed è sempre in presa diretta, eseguita dal vivo durante le riprese (da qui, appunto, la necessità di attori musicisti e cantanti). Infine, ultimo ma non ultimo, la serie ha il merito di rappresentare realisticamente e senza manierismi una società multietnica e multireligiosa, con i suoi pregi e le sue contraddizioni.
Mi si conceda in questa sede di lodare l’indiscusso coraggio di Netflix nel produrre e portare nel proprio catalogo un prodotto seriale così apertamente di nicchia. Dopo l’ottima mini serie Hollywood, approdata sulla piattaforma appena una settimana fa (qui potete leggere la nostra recensione), scommettere su una serie come The Eddy è una risposta davvero forte e convincente a chi accusa il colosso dello streaming di strizzare l’occhio sempre più a un pubblico di adolescenti, polarizzando l’offerta verso un target specifico.
L’auspicio è che un prodotto come The Eddy riesca a riscuotere il successo di pubblico che merita
Se siete un pubblico di cinefili e appassionati di jazz troverete in The Eddy una sorta di Sacro Graal, capace di trasportarvi in un attimo nelle sua magnifiche atmosfere e nelle problematiche vite dei suoi protagonisti. Qualora non lo foste, però, cercate di assecondare i ritmi talvolta lenti dello show e di proseguire nella visione. Con la giusta attenzione e sensibilità, infatti, vi regalerete dei momenti di pura emozione.
L’auspicio è dunque che un prodotto come The Eddy riesca a riscuotere il successo di pubblico che merita, affinché non resti un unicum e faccia da apripista a una maggiore sperimentazione di contenuti e linguaggi nel sempre più omologato mondo della serialità.
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The Eddy mi era sfuggito, gli darò un'occhiata. Grazie per il suggerimento!