Recensione

Tokyo Mirage Sessions #FE Encore: ho gridato “A ladro” e mi è piaciuto!

In un contesto videoludico sempre più caratterizzato dal predominio delle iterazioni squisitamente multigiocatore, si avverte sempre di più il bisogno di esponenti forti capaci di tenere alta la bandiera del gioco in singolo. A questa tacita richiesta rispondono, spesso, compagnie come Nintendo, che con l’arrivo di Nintendo Switch ha battuto fortemente questa strada, con risultati eccelsi. La compagnia ha saputo diventare, velocemente, la casa degli indie, per dirne una, ma anche la roccaforte di un genere che fa del single player la propria unica (o quasi) dimensione, che ha iniziato a cedere il passo con troppa velocità, schiacciato dai gusti di un pubblico in continuo mutamento. Stiamo parlando degli JRPG (i giochi di ruolo giapponesi), la cui risonanza mediatica – per colpe anche proprie, sia chiaro – si è affievolita sempre di più, tanto da farli diventare, per certi versi, un genere di nicchia. La ripetitività e la mancanza di vere e proprie idee rivoluzionarie in seno alle grandi produzioni legate al genere in questione sono gli elementi più incisivi di questo successo via via sempre meno marcato ma, per fortuna, esistono diverse eccezioni che hanno saputo portare alto, con fierezza e soprattutto stile da vendere, il buon nome di quello che, nella generazione PlayStation 2, è stato probabilmente l’esponente più fervido della sfera videoludica.

Ci riferiamo, ad esempio, a titoli come Xenoblade Chronicles 2 (esclusiva Nintendo), il primo Ni No Kuni, recentemente tornato sul mercato sotto forma di remastered, ma anche lo splendido Dragon Quest XI, fino al raggiungimento di una vera e propria sublimazione sensoriale raggiunta da Atlus col suo Persona 5, con ogni probabilità il miglior esponente del genere nell’attuale generazione di console e di quella precedente. La stessa compagnia ha da sempre fatto proprio dei giochi di ruolo giapponesi la propria fonte d’ispirazione principale, ma non sempre è riuscita a raggiungere la giusta attenzione mediatica ottenuta con il sopracitato Persona 5. Complice la pubblicazione su Nintendo Wii U, una delle console meno diffuse e apprezzate delle ultime generazioni, è passato completamente inosservato Tokyo Mirage Sessione #FE, JRPG dallo stile incredibile, figlio della “fusione” tra gli universi di Shin Megami Tensei e Fire Emblem. Se già soltanto l’aver messo uno accanto all’altro i due altisonanti nomi vi ha fatto rabbrividire di piacere, avete già compiuto un bel passo avanti nel capire dove andrà a parare questa recensione.

Hey now, you’re an all-star!

Il titolo di Atlus si ispira con forza alla saga Persona, da cui eredita fortemente le tematiche e la direzione tecnica in generale, ma guai a considerarlo un mero derivato. Va detto che, avviata la partita, tutto ci farà credere di avere tra le mani un nuovo capitolo della serie, giacché le similitudini estetiche e strutturali sono sin da subito eventi e molto marcate. Basteranno, però, pochi istanti per capire quanto Tokyo Mirage Sessions #FE Encore – nome scelto per la versione Switch – sia diverso dai suoi cugini più famosi, a partire proprio dalla componente narrativa, decisamente meno complessa e aulica dal punto di vista delle tematiche, ma che si rivela uno degli aspetti più interessanti del gioco. Tutto inizia in un contesto incredibilmente attuale, un’audizione in stile reality show, a cui partecipano (seppur con ruoli diversi) anche quelli che poi si riveleranno i due protagonisti della storia: Itsuki Aoi e Tsubasa Oribe. I due giovani, in particolare quest’ultima, coltivano il grande sogno di diventare delle grandi celebrità, esponenti di rilievo di un universo ricco e sfaccettato come quello dello show business, incredibilmente attuale e focale nel Paese del Sol levante. Ed è proprio qui che il titolo di Atlus si distacca con forza dalla saga Persona, grazie proprio ad un contrasto meno fantasy e soprattutto meno “cupo”, in cui tutto gira intorno al mondo dello spettacolo, utilizzando anche come veicolo principale di una narrazione intrigante e discretamente funzionale, ma che non svetta mai veramente, rimanendo dall’inizio alla fine lineare e molto legata alla sua identità.

Del resto, così come da tradizione, Atlus è una maestra nel creare universi bivalenti, spaccati in due, una doppia faccia di una medaglia tanto leggera ma che può risultare un macigno nelle mani sbagliate. E, anche qui, si prende parte a questa contraddizione, in cui il colorato mondo “umano” vive inconsapevolmente su una dimensione non unica, ma condivisa. Nascosto sotto gli occhi ignari di una popolazione forse eccessivamente accecata da un mondo dello spettacolo e della sua forte risonanza mediatica si cela un pericolo oscuro e minaccioso, abilmente contestualizzato nella sua semplicità. Nel mondo esistono entità chiamate Mirage che si nutrono del talento delle persone, chiamato Performa, che una volta assorbite da codeste figure finiscono con lo sparire, letteralmente, risucchiate in una dimensione ultraterrena misteriosa e soprattutto invisibile. Per via proprio del suo grande talento, la bella Oribe diventa l’obiettivo principale dei Mirage e la corsa del  suo amico di infanzia Itsuki per poterla portare in salvo è di fatto l’evento che spalanca le porte all’inizio del gioco in sé, che si concretizza con l’accesso in una misteriosa dimensione, oscura e contorta dimora degli stessi antagonisti. Da qui in avanti le vicende seguiranno fondamentalmente questo duplice percorso: da una parte l’ascesa al successo dei giovani protagonisti, dall’altra il loro desiderio di difendere gli innocenti a cui, chiaramente, Oribe e Itsuki sono fortemente legati dal talento e della voglia di diventare, appunto, dei famosi artisti. Il risultato è una storia nettamente più lineare rispetto a quella delle altre produzioni Atlus, ma non per questo meno interessante, anzi, la cui vera pecca risiede non nella qualità della storia, bensì in quella dei vari personaggi, probabilmente troppo stereotipati e “piatti”, con cui risulta molto difficile empatizzare, specialmente col protagonista maschile, a volte eccessivamente anonimo.

JRPG allo stato puro!

La dualità narrativa si ripercuote direttamente anche sotto il profilo ludico, seppur con grosse differenze rispetto ai cugini più famosi. A differenza della saga Persona, in Tokyo Mirage la componente “umana” è molto meno marcata e non egualmente rilevante rispetto a quella più pratica. Dimenticativi, quindi, lunghe sessioni scolastiche o la gestione di un’intera giornata, tutti elementi che qui lasciano posto ad un incedere molto più frenetico e lineare, in cui le fasi narrative vengono spezzate da lunghe sessioni da affrontare ad armi spianate all’interno di dungeon a tema sempre più complessi e stratificati. Una volta entrati all’interno di un dungeon, solitamente diviso in piani differenti culminanti con uno spettacolare boss (tutti molto belli da vedere, invero), ci si imbatte in una moltitudine di segreti, spesso nascosti attraverso piccoli puzzle ambientali dalla facile risoluzione, che spesso offrono al giocatore una buona retribuzione, in termini di oggetti consumabili e, perché no, nuovi pezzi d’equipaggiamento. Questi, in verità, sono piuttosto esigui, ma non per la scarsa generosità del loot, bensì per via della natura stessa degli oggetti indossabili, volutamente ridotta all’osso dagli sviluppatori.

La componente ruolistica del gioco, in questo frangente, è chiaramente meno marcata, per una scelta comunque ben precisa e non per sfortunate cause del destino. Gli slot di equipaggiamento sono soltanto due (tre se si considera il costume): armi ed accessori, i quali conferiscono bonus e malus sia al giocatore sia al suo “Persona”. In Tokyo Mirage, infatti, ogni membro del party è affiancato da un’entità guerriera che lo accompagna in battaglia, pescata a piene mani dall’universo Fire Emblem (vedi Crhom) che si si ritrova nel mondo di gioco senza un motivo apparente. Tutte queste informazioni si sommano sull’altare di quella che è una delle parti più riuscite del gioco, ossia il sistema di combattimento. Pur senza stravolgere, il motore che muove gli scontri del titolo targato Atlus è uno dei più freschi e divertenti e soprattutto pirotecnici. Complice anche una resa scenica sugli scudi, ogni singolo scontro sarà una scarica di adrenalina pura, ma guai a pensare che sia tutto riconducibile ad uno sfrenato button mashing, anzi. Gli scontri, pur conservando quella natura caratteristica del genere, sono già dalle prime battute tecnici e più ostici del previsto e richiedono al giocatore un forte senso strategico nell’approcciare ogni nemico, in base anche a quelle che sono le caratteristiche di quest’ultimo. Proprio il “bestiario” è una delle punte di diamante della serie, e lo si nota facilmente non soltanto dagli splendidi boss, ma anche dai nemici semplici, tutti molto ispirati esteticamente e ben organizzati in battaglia. Spesso, infatti, il gioco ci mette di fronte ad avversari con caratteristiche ben diverse tra di loro, con debolezze e punti di forza variegati, in modo tale da rendere ogni scontro sempre più ostico e via via più difficile col passare delle ore di gioco. Inoltre, l’intelligenza artificiale nemica è molto arguta, capace di prendere di mira l’anello debole del party spesse volte, dando vita così ad una quasi costante situazione di svantaggio numerico. Per far fronte a questo “problema”, oltre al sano grinding, il giocatore deve tener d’occhio la questione potenziamenti, disponibili nel Bloom Palace, una sorta di centro d’addestramento, nel quale è possibile creare nuove armi e sbloccare nuove abilità per i membri del party. Ad ogni arma corrispondono determinate skill, da sviluppare proprio attraverso l’utilizzo in battaglia dell’arma in questione, ma non soltanto.

Le diverse armi sono legate a diverse skill, spesso suddivise per elemento (fuoco, acqua ecc), e il loro utilizzo diventa fondamentale contro l’uno o l’altro avversario, per una profondità ludica tutto sommato ben più elaborata di quel che potrebbe sembrare. Queste peculiarità si vanno a incastonare in un sistema in cui, ad ogni modo, il livello di sfida generale è sempre piuttosto elevato, non soltanto quello degli scontri, e questo si nota particolarmente nelle attività secondarie, che spesso diventano fondamentali al fine di spezzare l’incedere della trama, la cui linearità rischia di riversarsi anche sul piano ludico. Complessivamente, comunque, Tokyo Mirage Sessions #FE Encore, oggi come ieri su Wii U, è un gioco incredibilmente divertente e appagante, peccato per una curva di difficoltà non sempre a fuoco che può portare a momenti di frustrazione evitabili. Per far fronte a questi problemi, il gioco mette a disposizione un’area adibita apposta per l’allenamento (che nel gioco base veniva venduta a parte, come DLC) il cui accesso e sviluppo è comunque legato all’incedere della storia principale.

Boku no… Idol!

L’aspetto in cui, probabilmente, la dualità di cui vi parlavamo poc’anzi si fa sentire in modo più dominante quando si analizza il discorso artistico e tecnico della produzione, in particolare quello del character design. Se da un punto di vista meramente estetico il tutto risulta ispirato, colorato e pieno zeppo di rifermenti ad una cultura pop continui ed encomiabili, in cui gli stessi protagonisti sono rappresentati con una cura maniacale, degna di un anime di grande spessore, lo stesso non si può dire – purtroppo – della loro caratterizzazione, eccessivamente stereotipata e poco audace, che rende l’empatia col cast una semplice utopia. Per fortuna, le attività secondarie, tra cui alcune missioni aggiuntive inserite proprio la versione Encore, riescono ad approfondire ulteriormente quelli che sono, ad esempio, alcuni dei comprimari, decisamente più ispirati rispetto ai protagonisti ma comunque lontani dalle altre produzioni della software house. Le scene realizzate in computer grafica, però, donano su Switch ancor più che su Wii U una ventata di charme impossibile da ignorare, e più in generale il lavoro svolto sulla nuova versione, in termini tecnici, appare di buon livello. Ciò si avverte, in particolare, nei caricamenti, ora molto più rapidi e meno frequenti, e nella pulizia generale dell’immagine, sicuramente più efficace, capace di rendere alla splendida cornice artistica figlia di una pop art quasi predominante, rovinata soltanto in parte da un cast composto da personaggi tutto sommato divertenti e piacevoli da osservare, ma certamente lontani dallo status di indimenticabile.

Il gioco, in ogni caso, rimane molto piacevole da giocare, sia collegato al televisore sia in modalità portatile, e non ci ha mai dato problemi in termini di frame rate o di squilibri tecnici in generale. Peccato soltanto per alcuni caratteri un po’ troppo piccoli da leggere quando si gioca dal divano o dal letto, ma gli sviluppatori hanno integrato una mini-mappa molto funzionale per rendere l’esplorazione delle aree, in realtà molto piccole e circoscritte, meno frustrante e più veloce. Il punto di forza della produzione resta sicuramente la scelta di utilizzare un cast di aspiranti artisti, cantanti, ex attori e future idol, una soluzione così scontata ma così anche “trascurata” in passato che rende ogni passaggio molto leggero, al netto di una trama generale che non manca mai di rimarcare la presenza di un mondo oscuro e minaccioso, nascosto sotto gli occhi di chi trascorre la propria esistenza imbrigliata in una routine che è un po’ anche la nostra. Ci siamo divertiti, ci siamo appassionati, ci è piaciuto molto combattere e, onestamente, fatichiamo a capire perché questo titolo sia passato così inosservato. Unica pecca? La censura! Ma di questo, ormai, ha poco senso parlare. Molto belle, infine, le canzoni che compongono l’ottima colonna sonora, alcune di esse originali, create appositamente per questa nuova versione del gioco.

INFO UTILI

Ho giocato a Tokyo Mirage Sessions #FE Encore principalmente in modalità "docked", alternando spesso a fasi di gioco in portabilità, comodamente sdraiato nel letto o sul divano. Le mie buone impressioni della vigilia sono state tutte (o quasi) mantenute: divertente, piacevole da vedere e non troppo complesso da "comprendere", il titolo di Atlus mi ha regalato momenti di sincera emozione, figli chiaramente della mia grande passione per la cultura nipponica e, soprattutto, per quella legata alla sfera dei manga e degli anime.

Durata
  • Oltre quaranta, quarantacinque ore per la sola campagna principale.
  • Le attività secondarie (consigliatissime) raddoppiano senza problemi la longevità generale.
  • Farming necessario per proseguire nell'esplorazione, il che aumenta ancora di più le ore di gioco.
Struttura
  • Audio giapponese, testi inglese e francese.
  • L'assenza della lingua italiana potrebbe spaventare qualche giocatore.
Collezionabili e Extra
  • Obiettivi "interni", raggiungibili al completamento di varie attività, sia in battaglia sia "fuori".
Scheda Gioco
  • Nome gioco: Tokyo Mirage Sessions #FE Encore
  • Data d uscita: 17 Gennaio 2020
  • Piattaforme: Nintendo Switch
  • Lingua doppiaggio: Giapponese
  • Lingua testi: Inglese, francese

Tokyo Mirage Sessions #FE Encore è uno dei titoli più interessanti di questo 2020, al netto di un’attenzione mediatica tutt’altro che invidiabile. L’approdo sui più fortunati lidi di Nintendo Switch può donare al particolare “cross-over” di Atlus il giusto lustro e sarebbe, probabilmente, anche l’ora. Pur senza risultare memorabile sul piano narrativo e non particolarmente elaborato nella sua struttura gestionale, esso si rivela senza troppi affanni uno dei migliori JRPG degli ultimi anni, caratterizzato da una veste estetica molto curata e da un sistema di combattimento frenetico e divertente. Tutto questo viene accompagnato da un cast non ispiratissimo, certo, ma che nel complesso funziona, grazie ad una scelta tematica originale, che prende come riferimento l’affascinante mondo dello spettacolo, vero e proprio “pallino” sul suolo nipponico. Sarebbe riduttivo definirlo un Persona 5 (o magari 4) più piccolo e diretto ma, al netto della nostra esperienza, l’idea che ci siamo fatti è complessivamente questa. E ci è piaciuto un sacco!

Salvatore Cardone

Scrivo, cucino, mangio. Spesso contemporaneamente. Necessito di più mani.

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