Si dice che la felicità sia contagiosa: quando osserviamo una persona il suo stato emotivo può trasferirsi quasi per osmosi. Se immaginiamo una società in cui tutti sono felici non esisterebbe più la tristezza, che è elemento imprescindibile e causa-effetto della felicità (cfr. Inside Out). Realizzare un’utopia basata sulla gioia in cui i ricordi negativi vengono meno è forse più facile a dirsi che a farsi. Magari è necessaria una spintarella in più o, più semplicemente, una pillola. Questo è ciò che hanno pensato i ragazzi di Compulsion Games, un piccolo studio di quaranta persone con sede in Canada, con il videogioco We Happy Few. Con Kickstarter e l’aiuto dei fondi statali hanno realizzato un titolo che presenta un mondo distopico, un’idea brillante e un gameplay poco accattivante.
La forma narrativa si struttura in tre atti, riprendendo dalla nozione aristotelica o, in chiave moderna, da Eugène Scribe. In ogni atto si controlla un personaggio diverso che presenta caratteristiche e debolezze specifiche che dovranno essere controllate per mantenere in salute il proprio alter ego. We Happy Few comincia con Arthur Hastings, omonimo del personaggio ideato dall’autrice britannica Agatha Christie, seduto nel suo ufficio nel quale controlla e censura gli articoli che vengono pubblicati. Nel breve prologo in cui ci vengono messi davanti fogli di giornale, Arthur si imbatte in un vecchio pezzo riguardante lui e suo fratello e così, per non scacciare via i ricordi, decide di non prendere la Gioia. Siamo nell’Inghilterra degli anni ’60 e la Seconda Guerra Mondiale è stata vinta dalla Germania, che ha deciso di far assumere la Gioia agli abitanti di Wellington Wells (città del Regno Unito). La speciale pillola è in grado di manipolare i ricordi di chi l’assume, facendo dimenticare il passato, ma rendendo perennemente felici. Mentre fuori dalle mura cittadine abitano coloro che hanno smesso di prendere la Gioia e sono dei reietti. Il nostro protagonista adesso cerca di ricordare e, nel corso del gioco, i ricordi affioreranno e andrà alla ricerca di suo fratello Percy. La storia di We Happy Few parte da un’idea interessante e che utilizza la forza della distopia per trattare tematiche che sono all’ordine del giorno ancora oggi, come le fake news, la censura, la manipolazione e l’abuso di sostanze. Pregnante è sicuramente la costruzione del mondo realizzata da Compulsion Games, poiché viene presentato un’ambiente vivo, responsivo e che interagisce con noi. Il giocatore si ritrova immerso in una cittadina macabra e oscura in cui i segreti vengono tenuti nascosti dai poteri forte e viene data la possibilità al giocatore di scoprire sempre più sul passato e presente di un Paese non più libero, grazie anche alla moltitudine di Note e Diari che si troveranno in giro per il mondo e che approfondiranno la complessità della struttura societaria e i desideri e le paure delle persone sotto l’abuso di Gioia.
L’opera è ambientata, appunto, in Inghilterra e non mancano citazioni alla cultura britannica e un english humor sempre perenne presente nei monologhi dei personaggi principali. La buona caratterizzazione dei personaggi avviene non solo tramite la relazione con coloro che incontreremo, ma sopratutto con i pensieri espressi dal personaggio che andremo a controllare. Ognuno di loro si distingue nell’immediato con i loro punti di forza, mentre i punti deboli e più drammatici, che andranno a inficiare sia nella narrazione sia nel gameplay, verranno presentati man mano che si avanza nel racconto. La storia presentata da We Happy Few è ben congegnata e offre dei dialoghi davvero efficaci, tuttavia la tediosità e ripetitività del gameplay non permette di godere al meglio di una buona narrazione. Il giocatore si ritroverà immerso in quello che dovrebbe essere uno stealth con parti action, ma entrambe non funzionano. Il primo problema si presenta con l’intelligenza artificiale: si dovrebbe parlare di stupidità. Gli NPC seguiranno l’alter ego in massa, tuttavia fuggendo non troppo lontano smetteranno di cercarvi, sembra che gli sviluppatori abbiano implementato un sistema di caccia all’uomo incompleta e che avrebbe bisogno di qualche revisione. Per risolvere missioni dovrete introdurvi a fatica nelle città, poiché verrete attaccati da tutti gli abitanti e non esiste alcun modo per poter proseguire in maniera stealth, sopratutto con un personaggio specifico (che presenta il gameplay più frustrante dell’intera opera). Le missioni consisteranno nel recuperare oggetti per vari NPC, poiché nulla si ottiene in cambio di nulla, per poter proseguire nella storia. Più e più volte dovrete fare avanti indietro nello stesso punto per raccogliere oggetti o parlare con determinati personaggi, tutto questo a piedi mentre tutti gli abitanti vi inseguono. Da A a B da B a A, le missioni consistono per lo più in questa struttura, tuttavia grazie ai rifugi sbloccabili potrete usare il viaggio rapido, ma dovrà essere attivato in ognuno dei tre atti e dovrà sempre essere fatto passando per gli inseguimenti più assurdi mai visti prima: pure le vecchiette urleranno per farvi acciuffare.
Il sistema di combattimento è estremamente semplificato e grossolano: con un tasto si para e con l’altro si attacca, con una varietà praticamente inesistente e un’impossibilità di fronteggiare i molti nemici che vi daranno la caccia e con la stamina che finisce in fretta. La stupidità artificiale vi darà pure il tempo di ricaricare la vita in combattimento, se non fosse che per creare i medicamenti dovrete utilizzare delle piante che troverete fuori dalla città e dovrete quindi, ancora una volta, correre da una parte all’altra. I vari personaggi presentano un albero delle abilità per potenziarsi e delle caratteristiche che modificheranno il sistema di crafting, che va dalla costruzione di medicamenti, ad armi, abiti e farmaci. Nel gioco è possibile frugare all’interno di una moltitudine di oggetti (cassette degli attrezzi, caselle della posta..) per trovare gli elementi per creare ciò di cui necessitate per sopravvivere o per superare determinate missioni, tuttavia risulterà frustrante andare alla ricerca di ciò che vi serve, a causa di un level design a volte impreciso e delle indicazioni non sempre intuitive. Inoltre dovrete sfamare, idratare e far dormire il personaggio il quale avrà ripercussioni banali, come la diminuzione della resistenza. Il game design cerca di pescare elementi survival, implementarli nel gioco, ma tuttavia crea solamente un altro elemento di noia e frustrazione al giocatore, che dovrà raccogliere oggetti e trovare gli elementi giusti nel posto giusto. I personaggi da voi controllati si muoveranno in città complesse e belle da vedere con una direzione artistica che riprende da Bioshock e Dishonored e mostrando ambienti ben illuminati e con shader arcobaleno quando si fa uso di Gioia. Mentre nella città spiccano le architettura, il character design dei poliziotti, fuori città troviamo delle casa abbandonate e delle foreste con modelli tridimensionali e rendering che non sembrano far parte della nostra generazione di hardware.
We Happy Few è un gioco mediocre che presenta un’idea di partenza geniale, una costruzione del mondo poderosa, ma un gameplay ripetitivo, noioso e mal calibrato in aggiunta a un’intelligenza artificiale mal programmata e dei bug (molti, troppi) che inficiano gravemente sull’esperienza complessiva, rendendo l’opera un prodotto scadente che verrà dimenticato facilmente. Nota di merito ai colpi di scena narrativi che spingeranno il giocatore a proseguire per poter scoprire le soluzione trovate dai personaggi per raggiungere il loro obiettivo e alle missioni secondarie che presentato una struttura simile alle principali, tuttavia ampliano la conoscenza della struttura societaria grazie all’interazione con nuovi NPC.
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