Fortinite è il fenomeno del momento e, per una volta nella vita -dopo League of Legends, DOTA 2 e Rocket League- succede che il gioco del momento sia pure il mio gioco preferito. Il che è molto bello, perché per una volta tanto posso capire le migliaia di meme condivisi nei vari gruppi di Facebook, o abbandonare l’atteggiamento snob da si stava meglio quando si stava singleplayer e sentirmi parte di un fenomeno di massa condiviso da così tante persone.
Ma di cosa stiamo parlando, dunque? Della modalità Battle Royale, dal momento che chi scrive non ha ancora sfiorato nemmeno per sbaglio la campagna in coop. Soprattutto per mancanza di un team di giocatori con cui giocare in compagnia… a tal proposito, se giocate su Xbox One e avete voglia di fare un paio di partite in coppia o di addentrarvi nella modalità “Salva il mondo”, fatemi pure un fischio e sentitevi liberi di aggiungermi tra gli amici. GT Barone Molotov 😉
Ma passiamo alle 5 ragioni più importanti tra quelle che mi hanno fatto amare così tanto questo gioco!
Fortnite è semplice. O, almeno, lo è nella teoria. Il giocatore che si butta per la prima volta nella mischia del gioco non avrà probabilmente vita facile, ma la curva di apprendimento delle meccaniche base è davvero molto semplice da scalare. Così, atterrati per sbaglio nei Pinnacoli pendenti, probabilmente nella nostra prima partita verremo fucilati in pochi istanti. Ma senza perderci d’animo e con una buona dose di tenacia, si è già pronti per una secondo tentativo, ed atterrati nuovamente nei Pinnacoli pendenti… verremo insta-fucilati nuovamente. E così per una terza volta e, nel caso di una particolare testardaggine, pure per una quarta volta. Ed ecco che il giocatore impara subito la più importante lezione del gioco: mai atterrare nei Pinnacoli pendenti. Mai. Solo i sociopatici o i masochisti lo fanno. Appreso questo, tutto il resto è in discesa: sei da solo contro 99 altri giocatori, la prima fase richiede un minimo di esplorazione, così sarà importante -almeno nelle prime settimane di gioco- individuare le aree più tranquille per andare a caccia di tesori e materiale per resistere ad un probabile attacco. Tutto questo si traduce in una guerra non solo contro gli altri giocatori ma anche, e forse soprattutto, contro il tempo, dal momento che una letale tempesta ad intervalli regolari restringerà il terreno di gioco fino ad arrivare ad una vera e propria finale, dove una decina scarsa di giocatori si affronterà in uno spazio ridotto. Vince l’ultimo a rimanere in piedi. La mappa è immensa e ricca di aree di interesse, eppure conoscerne ogni angolo non è rilevante: la posizione di tesori e armi varia ad ogni partita. Certo, conoscere gli “spot” in cui, ad alternanza, compaiono le casse del tesoro è di grande aiuto ma per avere padronanza di questo non bastano che poche partite. E la verità è che un giocatore può acquistare famigliarità di una porzione molta ridotta della mappa, atterrando sempre in questa e snobbando il resto per la primissima fase di gioco. Sarà la tempesta a forzarlo ad addentrarsi anche in altre aree della mappa. Ma questo nella fase di gioco successiva a quella dell’atterraggio, quando la ricerca di armi e casse perde (quasi) completamente di importanza. Tutto qua? Tutto qua. È incredibilmente semplice. Ed incredibilmente divertente.
Dove inizia la vera sfida? Nel perfezionamento della propria tecnica di combattimento e nella comprensione del ruolo delle strutture. Avere la prontezza di costruire le barricate con cui proteggersi, o i torrioni con cui sovrastare i nemici, è fondamentale. Purtroppo costruirsi i riflessi necessari per fare questo anche nelle fasi di gioco più concitate richiede un po’ di tempo. Per il resto anche nei combattimenti c’è (quasi solo) un’unica regola molto semplice. Funziona come nella Vendetta dei Sith: vince chi è più in alto.
Ma è davvero obbligatorio padroneggiare alla perfezione queste tecniche? Assolutamente no. Mi piace pensare che esistano due categorie di giocatori. I leoni e i ratti. E nonostante la seconda categoria rimandi ad un animale non proprio pulito o gradevole, non è assolutamente mia intenzione dare a questi giocatori una connotazione negativa. Se non altro perché di questa categoria ho fatto a lungo parte pure io. I primi giocatori, i leoni, vanno a testa alta incontro al pericolo. Se vedono un giocatore a distanza di centinaia di metri, corrono a più non posso per stanarlo, eliminarlo, e rubargli armi e risorse. Lo possono fare perché sono abili guerrieri, hanno ottimi riflessi dalla loro e amano l’azione. L’80% dei giocatori che arrivano in top 10 fa parte di questa categoria? Molto probabile. Il 99% dei giocatori in cima alle classifiche per numero di vittorie reali fa parte di questa categoria? Sicuro.
Ma che questo sia l’unico approccio al gioco non c’è scritto da nessuna parte. Fortnite non premia chi fa il numero più alto di kill o chi compie le azioni più valorose. No, l’unica cosa che conta è rimanere in vita fino alla fine. Così entrano in gioco i ratti: loro rifiutano il pericolo, prediligono le strade meno affollate e riparate dagli alberi. Corrono molto poco, e solo dopo aver controllato quattro o cinque volte di non avere altri giocatori nei paraggi, per lo più preferiscono muoversi in modalità furtiva. I ratti sanno bene che l’unica kill necessaria è l’ultima della partita, tutte le altre sono uno spreco di proiettili, e un’assunzione di rischi assolutamente non necessari. Ed è Fortnite stesso ad incentivare questo approccio grazie ad una vasta gamma di armi silenziate, cecchini con cui evitare gli scontri ravvicinati, trappole letali con cui far fuori gli avversari in modo subdolo e sleale e, addirittura, un camuffamento da cespuglio con cui scomparire completamente agli occhi dei giocatori meno attenti. Giocando così, Fortnite diventa quasi una grandissima partita a nascondiglio online, dove l’unica cosa che conta è arrivare alla fine incolumi e uccidere l’ultimo giocatore rimasto in vita. Ho giocato proprio in questo modo per i primi giorni, ed ecco che, a meno di tre giorni dalla mia prima partita, di soppiatto, sono riuscito ad arrivare all’ultima fase di gioco, dove mi aspettava un’apocalisse di giocatori armati di razzi, lanciagranate e mitragliatrici. Incurante, mi sono creato un piccolo nascondiglio, e quando finalmente gli ultimi due giocatori si erano stremati a vicenda, ho preso la mira e sparato con il mio fucile d’assalto facendo schizzare il mio contatore da zero kill a una. L’unica che contava veramente: quella necessaria per aggiudicarmi la mia prima vittoria reale.
Quando veniamo ammazzati non si torna immediatamente nella schermata principale, al contrario sarà possibile seguire da spettatori il giocatore che ci ha appena eliminato. Curiosamente non esiste una kill cam, per questo non sapremo mai esattamente come siamo stati killati nel caso, ad esempio, di un cecchino parecchio distante. Il gioco si limita a farci seguire in diretta il fetente che ci ha eliminato, dal momento immediatamente successivo a quello in cui siamo stati uccisi. E questo è bellissimo, per tre motivi. Il primo è che spesso per arrivare alle ultime fasi di gioco possono passare anche 15 o 20 minuti. A quel punto si è stanchi, la voglia di iniziare subito una nuova partita è davvero poca. Così è semplicemente bello -terminate le necessarie bestemmie- rilassarsi e vedere come se la caveranno i giocatori rimasti in gara. Infatti, anche laddove il nostro avversario venisse a sua volta ucciso, la telecamera a quel punto inizierà a seguire il giocatore che lo ha eliminato e così via. Il secondo motivo è che vedere come giocano gli altri -soprattutto chi ci ha eliminato, che potrebbe essere un giocatore molto talentuoso- è utilissimo. Alcuni dei trucchi più utili li ho appresi proprio guardando le partite di chi è riuscito a fregarmi – ed è anche questo ad aiutare i neofiti a capire sin da subito le meccaniche del gioco. Il terzo e ultimo motivo è che estremamente appagante vedere l’infame che ci ha appena ucciso venire killato a sua volta nell’arco di pochi secondi. Parafrasando quello lì: Mi piace l’odore della schadenfreude al mattino… profuma come… come di vendetta.
Per quanto le proprie skill siano determinanti, la verità è che ogni partita a Forntite Battle Royale ha numerosi elementi che dipendono quasi interamente dal caso o, se preferite, dalla fortuna. Questo è soprattutto vero nelle prime fasi di gioco, che, nei fatti, sono anche le più importanti del gioco. Ad ogni partita il Bus volante prenderà una rotta diversa, passando sopra ad alcuni dei punti di interesse e non sfiorandone minimamente molti altri. Questo non dipende dal giocatore, eppure è importante perché se ci siamo prefissati di atterrare in una zona precisa a seconda della traiettoria del bus ci impiegheremo più o meno tempo per raggiungerla, con il rischio di atterrare e scoprire che l’occhio della tempesta è da tutt’altra parte della mappa; il che ci obbliga a correre da quella parte, senza avere il tempo di raccogliere le risorse necessarie per affrontare serenamente il resto della partita. Anche qua: non è mai bello passare la partita in fuga dalla tempesta, eppure su questo il giocatore può farci poco o nulla. Ogni tot minuti la mappa si restringe, ritagliando una porzione concentrica sempre più piccola. Ma il nuovo cerchio di gioco non necessariamente sarà al centro di quello precedente, così i giocatori non sanno mai con anticipo in che direzione dovranno spostarsi precisamente. L’ideale? Avere la fortuna di atterrare esattamente nella zona della mappa che sarà indicata come occhio della tempesta, o comunque nei pressi dell’area. Questo dà un vantaggio importantissimo, perché ci permette di cercare con una certa minuzia e in tutta calma l’equipaggiamento più utile. O, ancora, ci aiuta ad avere tutto il tempo per raccogliere il legname o l’acciaio imprescindibile nell’ultima fase di gioco. Come già detto, anche le armi che di volta in volta troveremo non dipendono da noi. Avere un lanciarazzi o un cecchino di rango leggendario in finale fa una enorme differenza. Ma che ci piaccia o meno, questo dipende in larga parte dalla fortuna. In breve: ogni partita a Fortnite è diversa da quella precedente, e questo per elementi in larga parte randomici. Veniamo eliminati subito perché abbiamo la sfortuna di atterrare in una zona che è già stata scelta da molti altri giocatori? Non va tutto come sperato? Basta tirare nuovamente il braccio di questa grande slot machine virtuale che è Fortnite, ed ecco che si azzera tutto e in pochi istanti (davvero pochissimi) possiamo avviare una nuova partita nella speranza che, questa volta, la fortuna ci abbia baciato. Se ci pensate, è una cosa che crea estrema dipendenza. Nel senso buono della parola.
Man mano che l’industria si sposta sempre più marcatamente nella direzione dei Game as a Service, le microtransazioni stanno assumendo un ruolo sempre più importante nel settore. E questo è vero nel bene e nel male. Personalmente penso che chi scrive di videogiochi non possa prescindere dal coprire e analizzare anche questa componente. Questo perché c’è microtransazione e microtransazione, nel senso che esistono casi virtuosi, casi meno virtuosi e casi imbarazzanti dove l’economia di gioco incide notevolmente sulla sua stessa giocabilità. Fortnite fa indubbiamente parte dei casi più virtuosi attualmente sul mercato. E la cosa lo sta ripagando notevolmente. Fortnite non ha un sistema di micropagamenti basato sulle loot box, non ci sono skin ultra-rare ottenibili solo spendendo una piccola fortuna in scatole chiuse, bustine o chi sa quale altra diavoleria. E il gioco ben si guarda da rendere a pagamento qualsiasi elemento che possa incidere sulla giocabilità del titolo. Fortnite, nella sua parte Battle Royale, è completamente gratuito. Con ogni nuova stagione al giocatore è data la possibilità di acquistare per circa 10€ un pass che lo premierà con item puramente estetici ogni volta che progredisce in termini di sfide o livelli raggiunti. Ma anche laddove il giocatore non volesse effettuare questa piccola spesa, in termini di giocabilità non cambia nulla. Non c’è differenza tra chi decide di spendere qualche euro in skin stravaganti e chi non ha mai sborsato una lira. Hanno tutti la stessa possibilità di arrivare fino alla fine e portarsi a casa l’agognata vittoria. Oltre agli oggetti sbloccabili grazie al pass della stagione, esiste anche un mini store dove acquistare delle skin premium disponibili per poco tempo e a rotazione. Anche qua, nessuna scatola, niente bustine… solo molta trasparenza. Ti piace quella specifica skin? Vuoi supportare il gioco? Benissimo, in pochi secondi la puoi acquistare. Parliamo di un’economia di gioco così trasparente e così stimabile che perfino chi scrive ha voluto supportare Epic Games sborsando venti euro per l’acquisto di una skin. E l’ultima volta che mi sono sentito di fare altrettanto con un altro gioco – se non ricordo male- c’era ancora il muro di Berlino.
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