Dopo i giochi dell’anno per Gameplay Café è giunto il tempo di una puntata speciale di Artcafé per vedere quali sono stati i videogiochi con la miglior direzione artistica del 2019. È stato un anno assolutamente interessante, in cui anche le produzioni tripla A hanno saputo lanciarsi in territori inesplorati, mentre i piccoli indie come al solito hanno dato il meglio in termini di pura innovazione.
Scopriamo dunque la classifica dei migliori!
Iniziamo la classifica con un gioco che purtroppo non ha ricevuto il meritato livello di attenzione: nuovo lavoro degli sviluppatori di Oxenfree, Afterparty è un’avventura prevalentemente narrativa nella versione dell’inferno più colorato di neon che abbiate mai visto. Particolari scelte di inquadrature, una modellazione soffice e animazioni cariche di personalità danno un tono scanzonato, da party appunto, ad un’ambientazione che siamo soliti associare con sangue e lava vulcanica. La parte del leone è della palette cromatica, che non ha paura di esagerare con migliaia di toni differenti nello stesso momento, enfatizzando il look da illustrazione ricca di dettagli che permea l’intero gioco.
Dal look fortemente stilizzato di Afterparty, ci spostiamo al nono posto verso un impianto visivo di tipo fotorealistico e hard sci-fi. Il particolare gameplay del titolo ha permesso agli artisti e tecnici di No Code di spingere il livello di dettaglio grafico della modellazione poligonale verso vette altissime, grazie anche alla limitatezza del movimento di camera che aiuta a nascondere potenziali incertezze. Le luci morbide e l’effettistica fortemente improntata alla correzione cromatica e alla sovraimpressione dell’hud, dallo stile quasi analogico che ricorda quello di Alien: Isolation, sono un ulteriore strato di ricchezza visiva che completa un quadro che magari pecca di novità, ma certamente compensa con della qualità da vendere.
Gears 5 ha portato sulle spalle un grande peso: il quarto capitolo della saga è stato apprezzato ma non amato, a causa del suo cercare di compiere nuovi passi senza mai affondarli pienamente, anche nel campo della direzione artistica. Sono però ormai passati anni dalle atmosfere desaturate e sporche del primo Gears of War, e forse un titolo del genere oggi non avrebbe più lo stesso impatto sul grande pubblico. Senza farsi troppi patemi ecco quindi che Gears 5 irrompe sulla scena con una ricchezza cromatica mai vista nella serie ed ambientazioni enormi che non vanno però a sacrificare la muscolarità tipica della modellazione di ogni elemento, dai personaggi agli edifici. Le rosse sabbie desertiche e le imponenti distese ghiacciate sono inoltre graziate da un’illuminazione di prima categoria in grado di dare il meglio in HDR.
Già nel 2013 Luigi’s Mansion 2 era stato a suo modo un grande passo avanti per lo stile artistico della serie che nel terzo capitolo ha finalmente compiuto il grande balzo nell’era dell’HD. L’estetica da horror umoristico è resa alla perfezione dalle goffe ed impaurite animazioni di Luigi mentre aspira e distrugge letteralmente qualsiasi cosa trovi nell’hotel grazie ad un motore fisico dalle grandi capacità interattive. Il particolare stile di modellazione stilizzato e particolarmente spigoloso ritorna con un nuovo livello di ricchezza del dettaglio unita ad un’effettistica luminosa finalmente al passo con i tempi. Complici gli spazi stretti e i pochi personaggi a schermo, Luigi’s Mansion 3 regala senza dubbio uno dei migliori impianti visivi osservabili su Nintendo Switch.
Sayonara Wild Hearts non fa segreto della sua natura: un album di musica pop tradotto in un videogioco arcade. La musica è quindi al centro dello spettacolo che, nonostante la poca ambizione tecnica, è in grado di trasportare in un vero e proprio sogno sensoriale. Applicando le lezioni insegnate negli anni da team come quello di Testuya Mizuguchi, il team Simogo è stato in grado di creare uno stile artistico di notevole qualità in cui i colori e l’illuminazione sono accompagnate da scelte tipografiche insolite ma di grande impatto. Lo stile low-poly è così mascherato dal senso di velocità che permea ogni stage e dalla perfetta sincronia tra azione, suono e risposta visuale.
Lo stile artistico cel-shaded è una bella gatta da pelare e per questo motivo è raro vederne esempi puri. Il motivo risiede nella particolare modalità di rendering che produce un effetto che rischia di risultare piatto e difficile da leggere data la mancanza di gradazioni tra luce e ombre. Void Bastards riesce però nel difficile tentativo di abbracciare (quasi) completamente questo stile unendolo a personaggi che sono semplici illustrazioni bidimensionali ed un’effettistica particolare che fa uso di balloon e tipografia fumettistica. Il risultato è un titolo dallo stile artistico mai visto finora: un vero e proprio comic in movimento con tanto di cornici ai margini e cutscene da fumetto interattivo.
Ricreare un titolo di vent’anni fa e mantenerne inalterato lo spirito non è certo un lavoro semplice: Grezzo è però riuscita a fare anche di meglio. L’atmosfera bizzarra, quasi da sogno delirante, di Link’s Awakening è stata riproposta su Nintendo Switch con uno stile artistico da giocattolino gachapon di plastica con texture lucide, colori brillanti e un’illuminazione da diorama artigianale. Nella lunga storia dello stile artistico della serie The Legend of Zelda, approfondita in questo articolo, Link’s Awakening si posiziona come l’ennesimo esperimento riuscito che ancora una volta riesce a riempiere di meraviglia gli occhi degli appassionati.
Il 2019 è stato anche l’anno di Death Stranding. Anticipata per anni, la nuova creatura di Hideo Kojima ha diviso la critica per il suo atipico gameplay, mentre ha conquistato tutti unanimemente per le sue eccezionali qualità tecnico-artistiche. Il rendering e la realizzazione dei personaggi in gioco è la migliore mai vista e le ambientazioni, sebbene non esattamente affini agli Stati Uniti che conosciamo, trasudano quella stessa aura di mistero che rese grande i titoli di Fumito Ueda. Come pochi altri giochi sanno fare, Death Stranding sembra perfino in grado di comunicare, grazie al suo mondo di gioco ricco e dettagliato, un suo particolare odore che potremmo descrivere come di metallo umido e muschio bagnato. L’unicità dell’esperienza visiva di Death Stranding, espressa grazie anche al grande budget di cui è stato fornito il suo sviluppatore, lo fanno posizionare al terzo posto della classifica.
Per creare un capolavoro servono grandi idee e una direzione precisa. Ape Out è un beat ’em up dal gameplay semplice e l’anima tormentata da un incalzante ritmo jazz generato proceduralmente dall’opera di Matt Boch. Ogni stage è un singolo pezzo di un disco con una sua tematica che si rispecchia nei colori predominanti. Campiture di colore pieno arricchiti da texture sporche e dal sapore di vecchio vinile caratterizzano l’intera estetica del titolo che, seppur modellato in 3D, appare con una vista prospettica top down che appiattisce le ombreggiature. L’uso assolutamente superlativo della tipografia per i nomi dei livelli e per la geniale schermata di game-over sono poi quei tocchi di classe che garantiscono ad Ape Out la seconda posizione sul podio.
Liberata dalle ambizioni narrative da serie TV di Quantum Break, Remedy ha finalmente sfornato il suo capolavoro. Control è un titolo carico di personalità, distorto e complesso eppure armonioso sia nel suo gameplay che nella sua direzione artistica. Il vero protagonista è chiaramente la Oldest House, l’unica ambientazione di gioco con i suoi corridoi ed enormi sale minacciosi, mutevoli e costruiti con uno stile brutalista traboccante di atmosfera. Quasi come fosse una sommatoria di tutto il meglio della produzione di Remedy, Control prende l’illuminazione stilizzata di Alan Wake e l’effettistica esplosiva di Quantum Break e le combina per un risultato stratosferico. Ogni momento o angolo è letteralmente materiale da screenshot grazie anche ad un utilizzo perfettamente dosato di mancanza di colori, e abbondanza di luci virate con particolari rifrazioni luminose ed un motore fisico in grado di devastare ogni angolo dello scenario. La tipografia creata ad hoc dal designer Cory Schmitz completa poi la magnifica composizione. Control non è un gioco enorme, ma è il miglior esempio di come fare perfetto utilizzo delle limitazioni e per questo si merita il primo posto della classifica.
Nel 2014 Infamous: Second Son dimostrò al mondo cosa avrebbero potuto fare le nuove console nel campo dell’illuminazione e degli effetti particellari. Nonostante questi ultimi siano poi passati in secondo piano, i trailer visti finora di Ghost of Tsushima ci hanno confermato che Sucker Punch ha tutte le migliori intenzioni di riportarli in vita tramite fuochi, fogliame e particelle luminose, contribuendo alla creazione di un capolavoro artistico che sembra non avere precedenti. Il Giappone feudale è certamente un terreno difficile: di fronte alla ricchezza di situazioni possibile, è anche vero che Ghost of Tsushima sembra un titolo ancorato al realismo – niente mostri demoniaci per intenderci – ma solo un samurai ed invasori. Inoltre, la natura open-world del gioco è sempre sinonimo di limitazioni di tipo tecnologico ma per ora non siamo preoccupati: le cavalcate nei campi di grano baciati dal sole viste nei trailer ci hanno già fatto sognare.
Una menzione speciale va anche all’indie Sable, sviluppato da Shedworks e annunciato per un’uscita nel 2019, salvo poi essere rimandato al 2020. Chissà se il suo particolare stile artistico ispirato alle illustrazioni di Moebius saprà spodestare Void Bastards dal trono di miglior titolo cel-shaded.
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Manca GRIS a mio avviso
GRIS è un gioco del 2018 :)