ArtCafé

L’illuminazione: il Lighting Design nei videogiochi

Eccoci al terzo episodio di ArtCafè. Dopo aver parlato di personaggi e ambientazioni, tocchiamo oggi la parte della direzione artistica che, tra le altre cose, fa anche da collante tra di essi: l’illuminazione.

 

Perchè dare peso all’illuminazione?

Il nostro mondo ci appare grazie alla luce, quel particolare spettro di radiazione elettromagnetica che i nostri occhi sono capaci di percepire e che poi viene trasformato dal cervello in sensazioni visive. Ora dimentichiamoci la reale definizione di luce ed addentriamoci invece nel complesso reame dell’illuminazione di ambienti virtuali dove negli ultimi anni si sono visti sostanziali evoluzioni tecnologiche come in pochi altri campi. Dai primi giochi in pixel art, sostanzialmente privi di reali fonti di luce, siamo arrivati alle attuali generazioni di schede grafiche capaci di gestire in tempo reale il fantomatico ray-tracing, una tecnica usata da anni nel campo dell’animazione cinematografica ma solo oggi finalmente apprezzabile nei videogiochi. Indipendentemente dalla tecnologie tuttavia, il corretto utilizzo dell’illuminazione ha sempre risposto alle necessità tre semplici principi per i quali ombra e luce devono:

  • definire le forme, volumi e architetture dei livelli
  • arricchire l’atmosfera e le sensazioni suscitate dal gioco
  • guidare il giocatore verso gli obiettivi di gameplay

Solo recentemente, con l’aumentare della complessità dei motori grafici, gli studi di sviluppo si sono dotati di interi team dedicati all’illuminazione mentre un tempo questo arduo compito era semplicemente lasciato agli environment artist.

 

In questa scena di Uncharted: L’Eredità Perduta, la luce guida il giocatore nel livello, delinea le forme di personaggi e ambientazioni e crea l’atmosfera complessiva.

 

Un importante fattore da considerare è il fatto che praticamente nessun videogioco ambisce ad una resa realistica della luce, per un semplice motivo: spesso l’illuminazione fotorealistica non può supportare il gameplay e può inoltre risultare visivamente noiosa. Per evitare questa spiacevole conseguenza, un ambiente ben illuminato deve sapere provocare il giocatore suscitando in lui un qualche tipo di sentimento. La luce crea profondità, contrasto, dinamismo e novità, tutte caratteristiche non facilmente riscontrabili nelle familiari condizioni atmosferiche in cui ci ritroviamo tutti i giorni. Come per ogni altra caratteristica dell’art direction, la parola chiave più importante è quindi solo una: contrasto.

 

Le origini della Luce

Ogni luce ha origine da una fonte. Questa caratteristica basilare del mondo reale spesso non è rispettata negli ambienti dei videogiochi, che devono cercare di puntare al massimo sulla leggibilità dell’ambiente, spesso con risultati bizzarri. Pensiamo ad esempio alle classiche torce nei giochi in terza persona, come in Uncharted 4: Fine di un Ladro o in Days Gone, che seguono il movimento della camera e non del personaggio, proiettando luci da chissà dove.

Rise of the Tomb Raider deve essere evidentemente ambientato su Tatooine, vista la presenza di due soli nel cielo di alcune ambientazioni.
Come molti altri titoli, anche Days Gone rinuncia al realismo della posizione della fonte di luce della torcia del protagonista.

 

Tolto questo sassolino dalla scarpa, vediamo quali sono le principali tipologie di fonti di luce (per convenzione sono utilizzati i nomi usati dai motori grafici come Unreal Engine e Unity 3D):

  • Directional Light. Una fonte distante che emette raggi paralleli, tipicamente usata per simulare i raggi solari in ambienti esterni.
  • Point Light. Costituita da un singolo punto di emissione di raggi verso tutte le direzioni, questo tipo di fonte può essere impiegata ad esempio per lampadine, fiamme o spesso per enfatizzare il flash emesso allo sparo di armi da fuoco.
  • Spotlight. Una fonte che crea un cono di luce, generalmente utilizzato per lampioni, torce e per rendere più drammatici determinati punti di una scena.
  • Rect Light (anche detta Area Light). Genera l’effetto di un soft-box di uno studio fotografico, cioè una fonte generalmente rettangolare di luce soffusa che va a diffondersi su ambienti e personaggi.
  • Kicker o Rimlight. Una fonte di luce accessoria, difficilmente utilizzata al di fuori delle cut-scene, che crea maggior enfasi sui modelli dei personaggi delineandone i contorni e la conformazione.
  • Specular Highlight, o Bounce Light. Differenti in natura dalle altre fonti sopracitate, le cosiddette speculari sono luci riflesse da altri oggetti in presenza di una fonte di emissione primaria.

 

Le Directional Lights in Abzu donano grande forza all’atmosfera sottomarina.

 

Questa Point Light in Days Gone aiuta il giocatore a seguire una direzione.

 

La Rimlight in Uncharted 4: Fine di un Ladro è qui usata per definire la silouhette dell’antagonista.

 

La presenza di auto della polizia in scena è sottolineata dalle Bounce Light blu sulla tuta di Spider-Man.

 

Questa spotlight in Quantum Break evidenzia un punto di interesse per la progressione.

 

Le caratteristiche della fonti di luce

Ogni fonte di luce è determinata da alcune caratteristiche:

  • Posizionamento e direzione, cioè il punto da cui è originata la luce e verso dove essa si propaga. Questo è un importante punto da considerare per la leggibilità degli scenari: navigare in livelli ampi e non lineari può risultare complesso per il giocatore e la luce è lo strumento più usato per indicare punti di interesse specifici. In un ambiente scuro la nostra vista tende automaticamente a portarci laddove vede della luce.
  • Luminosità, cioè l’effettiva intensità della fonte di luce. Quando è troppo forte può causare abbagliamento, smarrimento e senso di impotenza, mentre le qualora sia soffusa suggerirà situazioni narrative più rilassate.
  • Colore, ovvero uno degli elementi fondamentali nella direzione artistica. Questo va ad impattare sul feeling generale della scena, gestendo il calore o la freddezza delle luci ed il bilanciamento del bianco. All’uso del colore nei videogiochi sarà dedicato l’intero prossimo episodio di ArtCafé.
  • Falloff cioè il “confine” della fonte di luce o dove essa va a terminare la sua efficacia. Non sempre immediato da osservare, il falloff è tuttavia un’importante tecnica di gestione della luce ambientale che permette la convivenza di più luci senza che esse si scontrino tra loro. I videogiochi horror per esempio, possono usare strategicamente il falloff della luce per nascondere particolari scene o nemici pronti a far scattare il proverbiale salto sulla sedia.

 

 

Finché ci sarà luce… Ci saranno le ombre.

Per ogni luce esiste sempre un’ombra proiettata da essa ma è facile dimenticarsi di queste in un’ambientazione, vista la loro natura di “conseguenze”. Tuttavia alcune tematiche, narrazioni o momenti di gameplay necessitano di environment ricchi di ombra e poveri di illuminazione. Queste aree rappresentano un problema nei videogiochi: un ambiente scuro creerà sicuramente disturbi alla progettazione del gameplay rischiando di minare la leggibilità, compromettendo la ricerca di chiavi visuali e di possibili nemici. Quello che quindi succede nella maggior parte dei casi è che possiamo visitare ambientazioni che donano un senso di oscurità, senza effettivamente risultare illeggibili, rimanendo quindi più chiare del buio foto-realistico. Alcuni videogiochi hanno tuttavia saputo fare grande uso di questa caratteristica: in Hellblade: Senua’s Sacrifice una sezione chiamata coerentemente “Blindness Sharp Trial” richiede al giocatore di attraversare un lungo livello completamente buio riempito da ombre appena percepibili di nemici letali. La sensazione di panico, disperazione e impossibilità di proseguire è creata grazie alla negazione quasi completa del senso principale su cui si fondano i videogiochi, cioè la vista. L’intero livello è quindi superabile solamente tramite l’ascolto dei rumori ambientali causati dai nemici. Per creare aree completamente in ombra servono quindi degli stratagemmi che ovvino alla difficoltà di orientamento; il più comune sono le classiche torce in dotazione al protagonista oppure, più raramente, giochi come Killzone 2 o Metro: Exodus hanno utilizzato il bagliore causato dalle armi da fuoco come vera fonte di luce capace di proiettare anche ombre dinamiche nell’ambientazione.

 

Hellblade: Senua’s Sacrifice sfrutta con grande creatività l’assenza di luce durante un particolare livello di gioco.

 

Illuminazione dinamica o statica? Ovvero, i limiti delle schede grafiche.

In aggiunta alle tipologie descritte precedentemente, le fonti di luce rispondono poi a due ulteriori distinzioni:

  • Fonte naturale, come nel caso della luce del sole in un ambiente aperto, o fonte artificiale come per i lampioni di una città. Le prime tendono ad essere più soffuse e avvolgenti, le secondo più dirette ed intense. Le fonti di luce naturale, soprattutto in ambientazioni diurne sono spesso create tramite Directional Lights mentre le scene notturne richiedono un’implementazione più intensa di Point Lights e Spotlights.
  • Statica o Dinamica. Questa distinzione risente dei limiti tecnologici delle schede grafiche dato che in natura non esistono luci statiche. Tuttavia nell’ambito dei videogiochi per luce statica si intende quella che non risponde a cambi di stato perché direttamente impressa sulla texture dell’ambiente circostante. Essa non può quindi essere mossa e non risentirà degli stimoli del giocatore. Pensate ad esempio agli ambienti cittadini in Gears of War Ultimate Edition: sparando a qualsiasi lampadina non otterrete nessun risultato (fonte di luce statica), ma muovendo una macchina con dell’esplosivo che brucia su di essa la sua luce si propagherà dinamicamente durante lo spostamento (fonte di luce dinamica). Sperando in un futuro ideale, tutte le luci saranno gestite dai motori grafici in maniera dinamica.

 

L’illuminazione dinamica delle ambientazioni ha tuttavia subito determinanti trasformazioni negli ultimi anni con l’introduzione dell’Illuminazione Globale (spesso detta GI da Global Illumination): un insieme di tecniche di rendering che vanno a calcolare non solo la luce proveniente dalle fonti, ma anche quella indiretta emessa dagli oggetti nella scena. Questi, sono sempre più costituiti da texture e shaders che rispondono alle leggi della fisica (secondo delle regole dette di Phisically Based Rendering) cioè un modo di concepire i materiali nella scena il più possibile fedele alla resa realistica delle luci che impatteranno su di essi. Il tanto decantato ray-tracing non è altro che un’avanzata tecnica di Global Illumination.

Nessuna fonte di luce; una singola fonte di luce; illuminazione globale con un singola fonte. Da Unity 3D

 

Croci e delizie del ciclo giorno/notte

Un tasto dolente nel tema dell’illuminazione dinamica è rappresentato dai videogiochi open-world con ciclo giorno/notte. Questo è ad oggi una grande sfida, non solo in termini di sviluppo ma anche in senso artistico. Per questo, anche in titoli open-world come Assassin’s Creed Unity o Marvel’s Spider-Man, il ciclo giorno/notte non viene utilizzato ed è sostituito da condizioni di luce pre-impostate che si alternano in base alla narrativa. Utilizzare questa tecnica permette di definire atmosfere di illuminazioni sempre ideali e controllate dagli artisti. Altri titoli, come ad esempio Horizon Zero Dawn, utilizzano un ciclo giorno/notte falsato: invece che essere realmente dinamico, la posizione del sole determina l’alternarsi di condizioni di luce pre-impostate che sfumano tra di esse in maniera quasi impercettibile. Questo crea un risultato sempre soddisfacente in termini artistici, ma ripetitivo in quanto varietà. Un vero e proprio ciclo dinamico giorno/notte può essere osservato nei titoli Rockstar come Grand Theft Auto V: la posizione del sole e della sua luce sono realmente dinamiche, così come le ombre proiettate nell’ambientazione. Tuttavia questo va a creare alcune situazioni di illuminazione artisticamente poco interessanti, come può essere un mezzogiorno soleggiato con poche ombre ed una generale piattezza dei colori data la neutralità del colore della luce.

Una scena da Grand Theft Auto V che utilizza un vero ciclo giorno/notte con la conseguenza di avere alcune condizioni di luce meno interessanti di altre.

 

Marvel’s Spider-Man invece non utilizza un ciclo giorno/notte e può quindi proporre condizioni di luce ricreate con grande cura, seppur in quantità limitata.

 

Una questione di atmosfera

Concluse queste considerazioni più tecniche, è finalmente ora di capire come effettivamente la luce è sfruttata nella direzione artistica dei videogiochi. Tornando alla definizione dei principi base, l’illuminazione serve innanzitutto per donare atmosfera. Per analizzare come la luce crea atmosfera osserviamo due scene, in contrasto tra loro, da videogiochi che hanno saputo portare innovazioni sostanziali nella loro illuminazione: The Last of Us di Naughty Dog e Alan Wake di Remedy. Per il primo, prenderemo in considerazione la splendida scena con le giraffe del capitolo “Bus Depot”, mentre per il secondo, la primissima sequenza di gioco chiamata “Nightmare”. The Last of Us usa un’illuminazione quasi prevalentemente naturale, in linea con l’ambientazione e la narrativa del titolo, giocando quindi con poche fonti gestite con cura minimalista e delicata; Alan Wake è invece quasi totalmente ambientato di notte e le sue luci sono esagerate, drammatiche, intense e fortemente stilizzate a servizio di un atmosfera horror distorta e minacciosa.

 

 

La scena incomincia con Joel ed Ellie mentre attraversano un edificio. Nessuna luce artificiale è presente, l’atmosfera è buia ma dei raggi di luce soffusa emergono dalle finestre esaltando la presenza delle particelle di polvere di questo mondo abbandonato. In corrispondenza delle finestre, la luce impatta sul terreno generando un bloom (effetto che riproduce l’eccessiva illuminazione di una porzione dell’obiettivo della fotocamera) che va ad illuminare tutta la zona adiacente. I protagonisti proseguono nel livello e si ritrovano improvvisamente in una sezione più aperta nella quale la luce esterna dona nitidezza e saturazione ai colori senza effetti sgargianti, ma donando comunque vitalità, calore e umanità all’intera scena popolata dalle giraffe. I personaggi sono delicatamente toccati da una luce calda pomeridiana che dà vita ad un perfetto momento di calma durante la sequenza di orrori del titolo.

 

 

Dai toni completamente opposti è la sequenza iniziale di Alan Wake in cui lo scrittore si ritrova all’improvviso a dover scappare verso un faro inseguito da ombre minacciose. L’intera atmosfera è impregnata da una densa nebbia illuminata dalla fredda luce lunare. Sullo sfondo possiamo sempre vedere chiaramente l’obiettivo: il faro con la sua gigante spotlight. Ogni tanto nel percorso sono presenti i lampioni dove Alan si può rifugiare in sicurezza. Questi sono caratterizzati da spotlight i cui raggi sono esageratamente definiti ed abbaglianti, a comunicare la loro natura di divina importanza. Proseguendo nel livello, il protagonista riceve le sue due armi: una pistola ed una torcia con cui può illuminare l’ambiente circostante andando a combattere contro l’oscurità che lo sta divorando. Questa luce crea ombre dinamiche con ogni oggetto contro quale si scontra, andando ad amplificare il senso di oppressione generale. Un altro strumento, il lanciarazzi, crea invece giganteschi bagliori rossi che riempiono la scena di un colore caldo estraneo alle ombre nemiche. L’intera illuminazione dell’intero gioco è quindi fortemente improntata al contrasto, al suscitare stupore ed interesse andando a creare un clima sicuramente poco realistico, ma comunque interessante e fortemente autoriale grazie alla ricchezza degli effetti coinvolti.

 

Altre importanti metodologie per la creazione di atmosfera legata alla luce risiedono nelle tecniche di post-processing. Vista la complessità dell’argomento gli sarà dedicato un intero episodio di ArtCafé, ma come anticipazione ecco qualche esempio:

I Light Shafts (anche detti God Rays) sono effetti di luce che simulano i raggi solari mentre filtrano attraverso superfici dai contorni frastagliati come questi alberi delle foreste di Firewatch.

 

Il Lens Flare è un effetto di illuminazione applicato in post-processing che ricrea gli artefatti degli obiettivi delle macchine fotografiche quando colpite dai raggi solari. L’effetto è tra i più usati in campo cinematografico e videoludico. In questo caso, l’esempio è da Horizon Zero Dawn.

 

In questo interno di Detroit: Become Human la luce proveniente dall’esterno è arricchita dall’effetto Bloom, una tecnica che simula l’abbagliamento dei nostri occhi di fronte ad una fonte di illuminazione intensa.

 

 

A questo punto dovreste aver compreso quanto sia importante l’illuminazione nei videogiochi e quali siano tutte le conseguenze di ogni scelta legata ad essa. Tra gli elementi dell’art direction che più sta migliorando con il passare delle generazioni, il lighting design è ancora oggi una grande sfida per ogni team di artisti. Continuando la nostra disamina di tutti gli elementi dell’art direction, nel prossimo episodio di ArtCafé parleremo di un elemento strettamente connesso alla luce: il colore.

Emanuele Vanossi

View Comments

  • Grande articolo ema. Non avevo mai riflettuto sul l’importanza che potesse avere la luce per guidare il giocatore nella sua avventura. Fa riflettere come più progrediamo tecnologicamente più pretendiamo giochi realistici senza renderci conto che quando ne avremo uno davvero realistico probabilmente no ci piacerà perché l’Ia è troppo intelligente, la fisica troppo realistica, le luci non non rendono inconici dei momenti etc...

    • esatto, condivido ogni parola! l'avanzamento tecnologico è in realtà una grande sfida per il game design, più i videogiochi diventano ricchi graficamente, più tutto rischia di diventare illeggibile e poco divertente. Per fortuna l'art direction serve anche a questo.

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