Fino a qualche mese fa mai avrei pensato di arrivare a scrivere un editoriale del genere. Anni di continue delusioni, tra Unity e Syndicate, passando per il mediocre Rogue, avevano finito per far crollare il mio ineluttabile ottimismo della prima ora nei confronti della serie, portandomi a guardare con scetticismo persino la rivoluzione fatta con Origins. La direzione presa con l’ambientazione egiziana risultava senza dubbio quella corretta, ma allo stesso tempo non era riuscita nell’impresa di assorbire la mia attenzione, complice pure una narrativa eccessivamente sconclusionata e un gameplay ben lontano dall’essere rifinito.
Fatte queste premesse, le aspettative per Odyssey non erano – per usare un eufemismo – alle stelle; per la prima volta non sentivo il bisogno viscerale di immergermi nell’Animus. Tuttavia, accumulate quasi senza accorgermene una quarantina di ore di gioco abbondanti, posso dirlo con certezza: Assassin’s Creed Odyssey è il miglior capitolo della serie.
Cerchiamo di capire dunque il motivo di tale affermazione in questo complesso editoriale, il quale ricordo rappresentare per definizione una visione parziale che non pretende di ergersi a verità assoluta.
Non rimaneva molta altra scelta se non quella di rivoluzionare lo stesso concept alla base della saga degli Assassini.
Partendo dal primo capitolo nel 2007, fino ad arrivare a Syndicate nel 2015, Assassin’s Creed era perennemente rimasto sinonimo di action adventure. I meriti del titolo di esordio, come per altri versi quelli di videogiochi come Uncharted o Tomb Raider (reboot), hanno contribuito a definire un genere ad oggi sempre più esteso e variegato, per quanto estremamente saturo, sia per idee che per mercato. Arrivati ad un punto di rottura con Unity, non rimaneva molta altra scelta se non quella di rivoluzionare lo stesso concept alla base della saga degli Assassini.
Il processo di transizione a meccaniche RPG, iniziato – forse goffamente – con Origins e concluso da Odyssey, ha dato nuova linfa vitale al franchise, aumentando la validità dell’offerta e allineandosi sul piano economico/strutturale con il modello dei giochi come servizio (e ciò non deve necessariamente essere un male). In ogni caso, la pausa di un anno presa per lo sviluppo di Origins ha convertito necessità in qualità, garantendo un gioco che – con i suoi difetti – si stagliava infiniti scalini sopra i suoi più recenti predecessori.
L’episodio greco completa e sigilla l’operazione, rimediando ai difetti dell’avventura egiziana attraverso quello che si nota essere un profondo ascolto dei feedback della community, con il risultato di plasmare un prodotto sotto questo punto di vista (quasi) ineccepibile. Ecco quindi l’aggiunta del sistema dei mercenari, l’autolevelling dei nemici, l’implementazione di parecchie abilità attive, tanti miglioramenti nel sistema di combattimento e una ancora maggiore ramificazione di quest, narrazione ed esplorazione.
L’effetto wow nel mettere piede per la prima volta ad Atene, Lesbo e Mykonos risulta pressoché inevitabile
Perdersi nella splendida e fedele Grecia di Odyssey è infatti con tutta sincerità un’emozione, specie per un invasato di storia ellenica e mitologia pagana come il sottoscritto. L’effetto wow – corroborato da un comparto tecnico solido, per quanto a volte riciclato – nel mettere piede per la prima volta ad Atene, Lesbo, Mykonos (e nelle mille altre location) risulta pressoché inevitabile, finendo per mettere in secondo piano main quest ed intreccio principale, mai così delocalizzato. La nuova modalità esplorazione (in cui non ci vengono fornite direttamente le coordinate dei punti di interesse) e l’aggiunta dei – mai troppo invasivi e determinanti – dialoghi a scelta multipla hanno per l’appunto come conseguenza diretta la crescita esponenziale di attività minori e missioni secondarie. Queste ultime completano ed esplicitano quanto già di buono presente sul piano storico nel gioco, approfondendo personaggi illustri (Socrate ed Alcibiade tra i tanti) e vicende sempre interessanti e coerenti con il setting proposto.
E’ innegabile in ogni caso come ritmo e pathos risentano di un insieme di eventi tanto dilatato, ben lontano dalla direzione virtuosa – e lineare – della tanto amata trilogia di Ezio, ogni volta posta come parametro di riferimento. Tuttavia, quello che Odyssey perde in pathos guadagna in organicità, dando per davvero l’impressione che si stia vivendo un’odissea, da un estremo all’altro della Grecia, tra mille peripezie. E questo, mi permetto di dire, non era mai accaduto in nessun’altra iterazione della serie.
L’esperienza giova di questo parziale distacco rispetto al mood delle iterazioni precedenti.
Risultato di una tale esplosione di contenuti è pure il violento superamento di certi confini un tempo preposti nell’immaginario di Assassin’s Creed, ovvero quella sottile linea volta a dividere la fantascienza dalla fantasia vera e propria. Creature mitologiche come Medusa o il Minotauro, seppur giustificate in chiave Prima Civilizzazione, non possono fare a meno di far pendere la bilancia verso un approccio fantasy molto marcato, laddove in precedenza si era molto giocato su un piano squisitamente razionale. Una critica del genere, come quella verso il parziale abbandono della storyline del presente, rimane forzata in una prospettiva da fan che poco ha a che vedere con la qualità oggettiva dell’esperienza, che anzi giova di questo parziale distacco rispetto al mood delle iterazioni precedenti.
Tornando in conclusione per un attimo all’aspetto ludico: è vero che stiamo parlando di una saga dove era un tempo possibile uccidere tranquillamente un boss in modalità stealth, ma siamo veramente sicuri di volere questo? A me sembra di ricordare le proteste feroci e decise della community al lancio di Syndicate, critiche in particolare mirate a come la formula fosse in una situazione di stanca, priva di decise innovazioni. A distanza di appena tre anni da quel momento, sento giocatori lamentarsi di come Odyssey non sia più Assassin’s Creed, non rispettandone le dinamiche originali. Si stava meglio quando si stava peggio, insomma.
Se c’è difatti una presunta colpa da affibbiare ad Ubisoft, è quella di non avere avuto il coraggio di mandare in pensione definitivamente il franchise, non certo quella di non riuscire a sfornare capitoli ottimi. Abbiamo quindi secondo questo ragionamento un paradosso, con il quale concludo: Odyssey è oggettivamente il miglior Assassin’s Creed di sempre, pur non essendo in verità – e per fortuna – un Assassin’s Creed. Partendo da questo assunto, vi invito dunque a vedere questo episodio privi di integralismo, evitando paragoni impropri con avventure di scala infinitamente minore, a cui vi rapportate solo ed esclusivamente per nostalgia.
Vi rimando per ulteriori approfondimenti alla recensione di Massimo Reina.
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