Editoriale

Confessioni di un giocatore disordinato

Se è vero che questo magnifico hobby riesce a mantenerci tutti giovani nell’animo (nonché belli come il sole), perennemente pronti al gioco, affamati di meraviglia sognando ad occhi aperti e pad in mano, è anche vero che la necessità fare equilibrismo sul filo del lavoro, sospeso sul burrone del conto in rosso, oltre alle incombenze di una vita vissuta a 100km/h e piena di impegni o rotture di balle, cerchino costantemente di rubare sabbia dalla nostra clessidra giornaliera, cosa che inevitabilmente si ripercuote sul nostro buonumore. C’è chi non capisce la bellezza di passare qualche ora di svago, svaccati sul divano semplicemente a giocare, immersi nel liquido amniotico della serenità, dimenticato per un po’ anche la più improponibile delle giornate. I videogiochi sono integratori di vita, pillole ludiche da assumere dopo lavoro e prima degli impegni sociali, senza ricetta, senza effetti collaterali, se non quella sana sensazione di ebbrezza tipica del relax.

The Witness, letteralmente un’isola di relax e meditazione.

Personalmente per passare più tempo a giocare e in generale per avere ancora più le mani in pasta in questo mondo, mi sono scoperto redattore da un paio di anni, il che, dovendo scrivere, mi ha invece portato via ancora più tempo da dedicare all’attività ludica! Non se ne esce. Il problema è che questa ossessione del tempo, del dover sfruttare edonisticamente ogni secondo libero, si scontra con un senso del disordine che mi porto dietro da sempre. Da piccolo ero uno che centellinava i giochi e non li finiva mai, semplicemente per paura che effettivamente finissero, tra il fatto che per avere un gioco dovevo dipendere dalle finanze dei miei e dai risultati scolastici (direi altalenanti come un elettrocardiogramma), trovando un sicuro rifornimento di titoli solo sotto Natale e al mio compleanno, fortunatamente ben distanziato dal panettone, a luglio, quando una piccola parte delle meraviglie che bramavo sulle riviste dell’epoca poteva finalmente trovare una console in cui lavorare e un caldo posto sulla mensola dove riposare. Crescendo e trovando lavoro sono inciampato nella situazione opposta; adesso i giochi li finisco, ma ne compro decisamente troppi, in maniera assolutamente sconclusionata e senza ritegno, semplicemente in base all’umore del momento.

C’è chi riesce a giocare un titolo alla volta, in modo ferreo e rigoroso, militaresco, e chi gioca in base all’umore, al tempo, al meteo, alla malinconia e alla felicità, trovando un gioco per ogni emozione.

Tra sconti e indie, terra santa del rapporto qualità-prezzo, mi ritrovo a comprare roba ogni mese, aiutato dall’anticoagulante del digital delivery che rende tutto immediatamente disponibile, a portata di click. Se fossi un topo finirei subito nella trappola, per il desiderio suicida di addentare quel pezzo di Hemmental. Sono un accumulatore seriale di opere virtuali, un collezionista d’arte digitale che prova piacere semplicemente nel possesso di quel determinato “pezzo”. Ovvio che tutto poi sfoci nel così detto backlog, patologia conosciuta, radicata e autoimmune, un tunnel senza uscita che può anche portare a non godersi ciò che si sta giocando, perché già proiettati alla prossima esperienza e che, nei casi più gravi, può portare ad abbandonare titoli a metà strada, solo perché si ha sempre sete di qualcosa di più fresco, o perché magari non si ha tempo di dedicarcisi come vorremmo. Inserire videogiochi nel quotidiano come se fossero tetramini in una partita sul ciglio del game over è uno stile di vita, quasi uno sport estremo, che porta inevitabilmente a diversificare i titoli in base al tempo disponibile e alle abitudini. Diciamolo, dopo aver superato l’età dell’innocenza è, per molti giocatori, impossibile dedicarsi ad un solo titolo alla volta, e credersi capaci di farlo è pura illusione, utopia, praticamente follia. Mi spiego meglio, perché detta così sembra un controsenso.

La perfetta compagna del giocatore in perenne conflitto con lo spazio-tempo.

Se ho un’oretta libera, o anche meno, non cercherò di portare avanti la mia avventura scandinava in compagnia di Kratos e Atreus, aspettando una giornata più propizia in cui poter diventare un tutt’uno con poltrona e Dualshock 4. Avrò invece bisogno di un gioco “snack”, da fruire a piccoli morsi, un Mario Kart 8 Deluxe, un puzzle game, un platform, tutto possibilmente a portata di Switch, console perfetta per il giocatore moderno, sartoriale, che si adatta camaleonticamente ai suoi ritmi psicosomatici. Poi non volete avere un gioco multiplayer di riferimento? E guarda quello, sembra proprio perfetto da giocare prima di dormire! Però cavolo, oggi ho proprio voglia di farmi una partita a [inserire titolo vintage cui si è sentimentalmente legati] e fare apnea nella nostalgia senza neanche prendere fiato. Senza contare i titoli da recensire, perché anche questo bellissimo hobby-lavoro mette il carico da novanta nel disordine generale. Finendo poi con il più intimo dei ritiri videoludici, separato dal resto del mondo solo dalla porta del bagno. Questa è una testimonianza molto personale, chiaro, definita come “il male assoluto” dal mio carissimo amico e collega di un altro sito Pietro, eppure ne ho incontrati tantissimi di appassionati splendidamente disordinati, spontanei, indisciplinati, schiavi delle proprie emozioni, in cerca di novità quanto di brevi viaggi nel tempo, tornando a quel periodo della vita in cui le giornate sembravano interminabili, leggere e morbide. Uno stile di gioco nomade, volubile, passionale, votato alla meraviglia della scoperta e alla varietà. Accumulo compulsivo che è anche desiderio inconscio di non arrendersi all’evidenza che le giornate durano solo ventiquattr’ore, un atto d’amore verso l’industria con la consapevolezza che mai si riuscirà a giocare a tutto, o meglio, a finire tutto. Tanto alla fine, per tutte quelle avventure estive e scappatelle di una notte, troveremo sempre l’ennesima anima gemella che ci darà il cento per centro, qualche trofeo e dosi massicce di endorfine, piantandola nel giardino dei ricordi per poi vederla sbocciare sotto forma di nostalgia videoludica tra qualche anno. “Ditemi come giocate e vi dirò chi siete”, perché anche le abitudini ludiche sono lo specchio della nostra personalità, della nostra anima, del nostro stile di vita.

Stefano Calzati

Petrolhead di The Games Machine, cummenda di Gameromancer e tuttofare per il Tanzen. Scrivere di videogiochi per me è un atto d'amore dove il fattore emotivo batte quello tecnico.

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