Editoriale

Far Cry 5: la serie di fronte ad un bivio

Ho amato (quasi) alla follia i Far Cry di nuova generazione, un po’ meno quelli vecchi. Per fortuna però questo non è il focus di questo editoriale. Posso dire di conoscerli bene, li ho giocati tutti e recensiti per lavoro e ne ho apprezzato molto la loro formula, che sin da subito, sin dal “primo capitolo” targato 2012, ha saputo portare le meccaniche originarie della serie in una direzione “nuova” decisamente compiuta, cosa questa che di fatto ha annullato il potenziale futuro dei successivi episodi. Buoni titoli, dei perfetti more of the same, ma che hanno reso il franchise schiavo delle proprie potenzialità e tristemente, dei propri difetti.  Far Cry 5 è emblematico in tal senso.

E’ l’episodio che offre di più in termini prettamente contenutistici e proprio questa corsa a voler sempre di più all’interno del calderone open world/sandbox ha annacquato le meccaniche di gioco, rendendo il tutto tanto divertente quanto di fatto poco memorabile e coeso. Le ore di gioco passano a decine ( oltre trenta per quello che mi riguarda) ma la sensazione è quella di un accumulo solamente funzionale alla crescita “sterile” del proprio alter ego, senza che lo sbloccare nuove abilità gratifichi realmente il giocatore. Skill potremmo dire quasi non necessarie: un difetto connaturato anche negli altri episodi dove il tasso di sfida si abbassava al salire della crescita del personaggio, ma qui si è toccato davvero il punto più basso. Dove Far Cry 5 mostra maggiormente la corda, dove Ubisoft deve necessariamente esser più coraggiosa è nella scrittura. Non è possibile ripetere la formula del terzo capitolo fatta di pazzia, nemici carismatici e momenti onirici ad ogni successiva iterazione.
Era innovativa e d’impatto sei anni fa, oggi è solo pigra ripetizione quasi macchiettistica che non sorprende più nessuno, ottenendo di fatto il risultato opposto. E come se non bastasse la scelta di dare completa libertà al giocatore nel decider da quale luogotenente iniziare ha spezzettato ancor più la narrazione. Che avrebbe tutti i mezzi per spiazzare il giocatore (un plauso in tal senso va fatto nel voler affrontare certe tematiche) ma che in definitiva  arriva alla fine stanca e col fiato corto, azzoppata dai continui “stop” per introdurre i cattivi, per dargli credibilità e motivazioni agli occhi del giocatore. Dove però gli sceneggiatori hanno fatto il cosiddetto “salto dello squalo” è nel duplice finale.

Quello apocalittico è pretestuoso, furbo e poco rispettoso verso i giocatori, ma chiude “meglio” l’arco del Padre. L’altro (a parte la poca credibilità nel modo in cui ci si arriva) è solo furbo, e tutto sommato banale, per nulla sconvolgente come vorrebbe essere. Insomma un fallimento su tutta la linea questo Far Cry 5? Senza dubbio no, il gioco resta molto divertente, anche se di un divertente di grana grossa, ma mostra, come Syndicate fece per Assassin’s Creed, che la serie è arrivata ad un punto dove, oltre a mettere mano pesantemente ad alcuni suoi difetti storici (qualcuno ha detto intelligenza artificiale?) deve cambiar pelle, rimanendo, come si suol dire, sempre se stessa.
Le feature tanto apprezzate, e tanto ripetute, del terzo capitolo andrebbero messe da parte, o almeno fatte proprie e metabolizzate, ma non riproposte pari pari. Se fossi il Director del gioco, porrei maggior enfasi sull’aspetto “ruolistico” della crescita del personaggio, così come su quello survival, del tutto mancante nel quinto capitolo. Non toccherei molto le “pietre miliari” dell’esplorazione, avamposti, torri radio, zone prepper e via discorrendo, le renderei migliori e più varie, andando quindi ad esaltare il lato platfporm/stealth del gioco. 
Ma soprattutto, a livello di scrittura, mi piacerebbe vedere una narrazione più asciutta, con meno forzature e colpi di scena obbligati, non banale attenzione, ma “dritta”, senza l’assillo insomma di dover sconvolgere il giocatore. 
Saprà Ubisoft rimboccarsi le maniche per percorrere la stessa strada intrapresa da Assassin’s Creed? Lo spero vivamente. La serie è arrivata ad un punto in cui c’è bisogno davvero di un cambiamento forte. Aggiungere sempre qualcosa in più non basta, una sterzata decisa è necessaria.

Matteo Santicchia

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