Editoriale

Fortnite e il bullismo: alcune dovute precisazioni

Il bullismo è un tema che, di anno in anno, assume connotati diversi a seconda dell’evoluzione del mondo dei giovani. Su Gameplay Cafè ne abbiamo già parlato spesso, sia attraverso una testimonianza diretta sia in una veste più didattica e interrogativa. Quest’oggi però, le nuove tendenze giovanili hanno sollevato molte domande sugli effetti delle mode nelle dinamiche sociali dei più giovani. Tra gli interrogativi, uno, credo, è molto importante da prendere in esame per via dell’esposizione mediatica avuta di recente, sia attivamente che passivamente.

Come molti di voi lettori sapranno, il famoso programma Striscia la Notizia di Mediaset ha prodotto un servizio nel suo tipico stile molto leggero in cui, sostanzialmente, si elencavano diversi effetti che Fortnite potrebbe avere sui ragazzi/bambini ammaliati dal fenomeno di Epic Games. Si tratta di un “reportage” molto sbrigativo e ben lungi dall’essere una ricerca accurata degli effetti psicologici o sociali scaturiti da un elemento multimediale così diffuso. Eppure in esso si afferma, si mostra e si testimonia la frase “Fortnite causa bullismo”. Si tratta di una dichiarazione molto forte e generica, la quale ci lascia un po’ sorpresi e con un dubbio al limite del plausibile: può Fortnite essere uno dei fattori che generano bullismo?

Le ragioni del Bullismo

Per rispondere e intavolare la tesi, bisogna innanzitutto avere bene a mente cosa causa il bullismo nello specifico. Come ogni azione umana, anche tali persecuzioni fisiche e psicologiche hanno degli elementi scatenanti abbastanza forti da scaturirle. Possiamo partire da alcuni dati statici relativi all’Inghilterra redatti dal National Bullying Prevention Center di Pacer, o quelli italiani dell’ISTAT, e prese da diverse fonti autorevoli e studi su campioni di un target specifico. Come si evince le cause sono molteplici e spesso trovano la loro esistenza in altri mali sociali come il razzismo, la discriminazione per le disabilità, l’omofobia e in minima parte la questione del genere. Questi importanti temi non fanno parte della riflessione in oggetto, ma ne abbiamo già ampiamente parlato in un articolo dedicato. Ciò che ci interessa davvero sono le diciture più intime: i problemi familiari, la scarsa autostima e il bisogno di emergere nel contesto culturale in cui ci si trova (la scuola è uno dei più comuni).

Come si diventa un bullo? Di certo non ci si nasce, per quanto una dose di cattiveria e crudeltà sia quasi necessaria. L’ambiente familiare e l’educazione impartita – o meno – sono fattori assolutamente influenti, principalmente per via della destabilizzazione scaturita da determinati eventi e atteggiamenti. Possiamo pensare a una separazione tra le due figure familiari, la scarsa attenzione ricevuta durante la crescita, mancanza di affetto, pessimi valori trasmessi, nessun controllo da parte dei genitori e perfino delle radici culturali derivati dai stereotipi di genere. Non è un caso se, come si evince dallo studio dell’American SPCC, la maggior parte dei bulli è di sesso maschile: la struttura con cui ancora oggi si cresce un ragazzo è quella di farlo comportare da uomo, facendolo indurire piuttosto che aprirsi e parlare dei propri sentimenti o di altre cose capaci di farlo apparire “debole” agli occhi esterni. Tale approccio crea inevitabilmente dinamiche aggressive e malsanamente competitive quando ci si rapporta con altri coetanei, specialmente se dello stesso sesso. Il recente spot della Gillette spiega benissimo questo concetto della mascolinità distorta.

Sulla questione del malato agonismo torneremo qualche riga più avanti, ciò che bisogna avere ben saldo ora è che il bullismo è un vero e proprio derivato di dinamiche psicologiche e sociali, spesso legate anche all’educazione e alla crescita culturale di un singolo individuo. In molti casi è stato anche esposto come l’atto di tormentare qualcuno sia una valvola di sfogo, un modo di riscattarsi dalle sofferenze, tormenti o insoddisfazioni ricevute in altri ambiti, che per gli adolescenti spesso derivano dal rapporto conflittuale dentro le mura di casa. Capite bene come in questo quadro il bullismo appaia un fenomeno in cui è possibile agire nel tentativo di sanarlo, ed è assolutamente vero se non fosse per un certo lassismo da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica, la quale è ancora ben lontana da una lotta tout court contro tali pratiche, spesso per tradizioni culturali nocive fin troppo radicate e fatte passare nella normalità.

Il bullo, dunque, non diventa tale perché un fattore esterno lo cambia inevitabilmente con le sue dinamiche. In Italia, per esempio, è molto facile immaginare che il calcio possa essere una “causa di bullismo”. Vivendo a Roma e nelle sue periferie, a scuola una delle prime domande fattemi dai compagni era “Sei della Roma o della Lazio?”. In base allo schieramento maggioritario nelle mura delle classe, si può essere più o meno bersagliati da eventuali prese in giro e spergiuri. Normalmente questo non sarebbe un fattore di preoccupazione, al massimo può sfociare nel sfottò goliardico, eppure ci sono casi documentati in cui lo schierarsi per una squadra impopolare nella propria cerchia ha portato a una vera e propria discriminazione. Spesso perché predomina, in casa e fuori, la cultura malata del calcio, facendo entrare di prepotenza la tifoseria nei parametri sociali più importanti nel modello culturale di un individuo. Anche ripudiare il calcio stesso o non tifare diventa un motivo di esclusione, magari non maligna ma è chiaro come un gruppo tenda a unirsi su un punto in comune riconosciuto e a “isolare” quelli fuori da esso.

Potremmo, a ragione di tale esempio, dire che il “calcio genera bullismo”? No, in nessun modo. Non è lo sport in sé a promuovere o generare o stimolare il bullo, ma il modo in cui alcuni costrutti culturali distorti si infilino in un ambiente con specifiche caratteristiche. Nel caso del calcio abbiamo: un rapporto vincitore/perdente, l’appartenenza a un gruppo opposto a uno o più gruppi, l’importanza massiva nel panorama dello scenario culturale, la popolarità e la condivisione facilitata con terzi più o meno familiari. Elementi innocui se vissuti come dovrebbero, nel rispetto del prossimo e della sportività, e potenzialmente nocivi quando c’è l’intento di ergersi al di sopra del prossimo, di essere riconosciuti nello schieramento vincente, di voler sembrare superiori per appartenere alla squadra più forte/in vista/popolare. Però non mi sembra che Striscia abbia convocato psicologi e fatto un servizio su quanto il calcio possa generare bullismo, anzi ho dovuto scavare nelle pagine di Google per trovare qualche caso al riguardo. Per Fortnite invece è stato piuttosto facile.

Fortnite e il Bullismo, c’è da crederci?

Veniamo al nocciolo della questione, dopo le necessarie premesse. Partiamo analizzando l’intervento della dottoressa Maura Manca, la quale scrive AdoleScienza, si occupa prevalentemente della psicologia adolescenziale e del bullismo/cyberbullismo, ha scritto diversi libri e affronta spesso la tematica in questione. Un vero e proprio esperto che va trattato con autorevolezza. All’interno del servizio di Striscia, ha dichiarato di avere trattato casi e testimonianze dove effettivamente Fortnite era al centro di episodi di bullismo o cyberbullismo. E non ha torto. Ciò che il programma di Antonio Ricci omette, volente o volente, è contestualizzare tale affermazione, indicando cosa significhi effettivamente collegare il gioco di Epic Games a episodi di bullismo.

Voliamo brevemente oltre oceano e andiamo a esaminare l’articolo comparso su Daily Mail e incentrato sulla notizia di alcuni genitori arrivati ad assumere sedicenti “coach” capaci di migliorare le performance dei propri figli su Fortnite. Tra le ragioni di questo discutibile gesto, di nostro interesse è quella di “evitare che mio figlio venga bullizzato per le sue scarse prestazioni in gioco”. Tralasciando l’assurdità della risoluzione e della situazione, veniamo a conoscenza di come la popolarità di Fortnite l’abbia reso un metro di giudizio nelle dinamiche sociali del suo vasto pubblico.

Come il calcio, la competizione e la bravura è alla base del successo; la differenza è il coinvolgimento in prima persona presente nel videogioco. Non è una squadra di appartenenza a garantirci il successo, ma si è noi stessi fautori della nostra bravura. Ed è chiaro che più si è bravi maggiore è la possibilità di essere trattati con riguardo dai propri coetanei appassionati, specialmente se si tratta di un titolo in cui bisogna “uccidere” il prossimo o comunque sovrastarlo per affermare la propria vittoria. Anche qui, il meccanismo è teoricamente innocuo ma viene sfruttato in modo scorretto in uno scenario competitivo dove lo status e la bravura in X sono ciò che ci distingue, ciò che riscatta il bullo dall’inadeguatezza sentita fuori dal suo ruolo. E da qui, i più scarsi vengono trattati con disprezzo in quanto abitanti di un livello da cui l’aguzzino si è ormai eretto, deboli e pronti a essere sottomessi. Ciò lo autorizza a trattarli malamente, in parte per sfogo e in parte per solidificare la sua superiorità fattuale riconosciuta da tutti coloro immersi nel suo stesso contesto culturale (perché Fortnite è davvero così importante per i giovani).

Fortnite però non è solamente un argomento di discussione, come il calcio. Infatti, essendo un videogioco, crea un mondo virtuale in cui gli utenti possono immergersi e interagire seguendo schemi più o meno uguali a quelli che userebbe nella realtà. Sui costrutti e le interazioni ne abbiamo descritto le tossiche modalità d’uso nell’articolo citato in apertura, ed essenzialmente tali riflessioni si applicano anche in questo caso. Su un altro articolo preso dalla rivista Your Teen, una mamma descrive un episodio in cui il figlio si sente “bullizzato” all’interno del gioco nella modalità Playground, la quale annulla le regole della Battle Royale e permette nuove libertà, tra cui l’aggregazione in gruppi e duelli impari 3 vs 1. Ed ecco qua che la nostra sedicente vittima si ritrova a giocare con gli amici di scuola (e amici di amici) con quest’ultimi intenti a fare gruppo per ucciderlo a ogni rientro dalla morte. Il ragazzo, che non vede differenza tra le dinamiche sociali all’interno di un gioco e quelle del mondo esterno, si sente colpito da tale atteggiamento, dalle risate di scherno in chat vocale e dall’impossibilità di godersi il gioco per colpa di terzi. Per quanto non ci sia violenza fisica, anche questo passa come bullismo se si tratta di: azioni ripetute nel tempo, violenza verbale reiterata e un contesto trasportato dalle relazioni reali (amici di scuola) a quello virtuale. Incontrare un bullo conosciuto per strada o online non cambia di certo il suo atteggiamento, anzi forse lo rende più facile per lui.

Lo spazio virtuale, come spiegano la dottoressa Manca e numerosi altri studi da tutto il mondo, toglie l’attributo “persona” a un individuo per trasformarlo in poco meno di un “soggetto”. Perfino in chat vocale ci sono meno freni inibitori proprio perché, inconsciamente, il mezzo comunicativo non crea quella relazione tra mittente/destinatario abbastanza concreta/formale. Un fenomeno alla base del cyberbullismo e derivante anche dalla svalutazione della “vittima” nel contesto più concreto. La differenza rimane dunque solamente nello spazio in cui determinate cose accadono, non cambiandone il connotato. Quindi in Fortnite, come in qualsiasi altro gioco con le caratteristiche favorevoli, si può perpetrare il bullismo. Ma è un supporto, non una causa. Al massimo gli si può imputare un terreno leggermente più fertile per determinati comportamenti di dominazione sull’altro, ma nient’altro che questo.

Fortnite causa Bullismo?

Da tali testimonianze – un numero esiguo tra esempi e preoccupazioni – possiamo arrivare alla nostra conclusione definitiva.

Fortnite non genera bullismo ed Epic Games non ha di certo costruito una macchina sforna bulli. Un ragazzo non diventerà un bullo solamente installando Fortnite e giocandoci tutto il tempo, ne è detto che un altro si senta vittima nel caso in cui un gruppo di idioti si diverta a prenderlo in giro in due o tre match. Se anche succedesse, ci sono una pletora di strumenti atti a arginare il fenomeno: controllo parentale, ticket di supporto, blocchi vari ed eventuali all’orario di utilizzo della console e tanti altri metodi interni/esterni sottolineati anche da Striscia la Notizia stessa.

Ciò che Fortnite fa, al pari del calcio e del colore della pelle, è essere uno dei tanti pretesti su cui poter opprimere qualcuno. L’oppressione non deriva però dal diritto del vincitore della Battle Royale, ma bensì da una situazione educativa, familiare e culturale complessa e negativa, con valori personali o generali distorti fino a utilizzarli come legittimazione o giustificazione di gesti violenti. Chiaro che la rappresentazione in gioco del proprio avatar permette un certo grado di interazioni dirette, ma è necessario esaminare caso per caso in modo da capire se, per esempio, il cyberbullismo in Fortnite prosegua nella vita reale, se invece si limiti a essere una dinamica di gioco, se ci sono scambi verbali tossici nelle chat, se c’è una persecuzione testuale e via dicendo.

Non si può generalizzare, non si deve generalizzare. Attribuendo a Fortnite la causa del bullismo new age si continua a glossare sopra tutti gli altri problemi che lo creano: gli stereotipi di genere, la scarsa attenzione da parte di genitori e insegnanti, il passaggio del bullismo come “cose da ragazzi”, lo scarso apporto del sistema educativo nel favorire il “rispetto per l’altro”, la mancanza di comprensione da parte dei genitori delle attività più moderne come i videogiochi e via discorrendo. Tutti elementi mai segnalati nel servizio di Striscia, il quale piuttosto si limita a buttare parole qui e lì con effetti sonori strambi e svilenti per un tema molto serio. Fortnite invece può essere un motivo di incontro, di scambio, di amicizia. Si può condividere la propria esperienza, fare squadra, costruire un rapporto d’amicizia con coetanei lontani kilometri, sta tutto nell’utilizzo corretto del mezzo e nell’educazione/civiltà di chi lo utilizza. Vogliamo eliminare il “bullismo” da Fortnite? Allora è ora di iniziare a cambiare i nostri valori, convinzioni e virtù, visto che il bullismo esiste da prima dell’invenzione dei videogiochi o dei Battle Royale.

Alessandro Palladino

Classe '94, da sempre appassionato di scrittura e lettura. Queste due passioni si sono unite a quella del videogioco, portandolo a scrivere di mondi digitali. Ogni tanto posa i libri per prendere il pad e partire alla ricerca di nuove storie accattivanti da vivere. Oltre al fantasy e alla fantascienza, si diletta nelle terre del sol levante con JRPG e affini.

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