Editoriale

I primi trentacinque anni della principessa Zelda

Quando si pensa alla saga di Zelda, complice anche la longevità di una serie così radicata nel tempo, il primo pensiero ci rimanda subito a Ocarina of Time, lo storico capitolo per Nintendo 64 uscito nel 1998 e considerato uno dei videogiochi più belli e importanti della storia. In realtà, il primissimo The Legend of Zelda venne pubblicato il 21 febbraio 1986 per la console giapponese Famicon, un videogioco profondamente diverso dalla pietra miliare uscita successivamente. Ispirata dalla voglia di avventura del leggendario game designer Shigeru Miyamoto, quest’opera è tutt’oggi una fonte di ispirazione e di richiamo per qualsiasi open world moderno. Nel giorno del suo trentacinquesimo anniversario celebriamo l’opera a modo nostro, cercando di capire cosa oggi ci ha lasciato in eredità.

Libertà

Al di là dell’aspetto meramente tecnico, oggi indubbiamente invecchiato, il capostipite della saga conserva tutt’oggi alcune meccaniche decisamente rare in un open world moderno. La volontà del creatore era quella di fornire un’esperienza che garantisse una libertà estrema al giocatore. Pronti, via. Il piccolo Link si ritrova inerme in un mondo pieno di pericoli. Celebre la frase che ci accompagna non appena recuperiamo la spada: “Take this, it’s dangerous to go alone”. La sensazione di spaesamento ci circonda fin dall’inizio dell’avventura.

La mappa liberamente esplorabile dell’originale The Legend of Zelda su NES

Si può andare letteralmente ovunque muovendosi tra i quadranti della mappa. Poco importa se si entra in una zona con nemici troppo potenti. Poco importa se si entra nei dungeon in ordine casuale. Le indicazioni fornite sono pochissime: piccoli indizi, sia visivi che scritti, ci incanalano verso un’esplorazione talmente avanguardistica in un videogioco a mondo aperto che la stessa Nintendo dovette successivamente tornare sui suoi passi perché difficile da trasporre abbinando tali meccaniche a un comparto artistico e tecnico più avanzato.

Limitazioni

Escludendo la breve parentesi proposta con Zelda II, si arriva direttamente al capitolo che ha dato il via alla rivoluzione sublimata da Ocarina of Time, ovvero A Link to the Past. Nintendo decise di mettere un freno all’estrema libertà proposta in origine e di guidare il giocatore attraverso un level design sopraffino e stratificato che ponesse un fortissimo accento sui dungeon e sui puzzle ambientali. Il backtracking divenne un elemento fondamentale per la serie e, di fatto, l’estrema libertà di approccio che contraddistingueva il primo capitolo è andata via via scemando lasciando spazio a esercizi di stile più o meno estremi.

Il backtracking ha da sempre contraddistinto la saga a partire da A Link to the Past.

Ocarina of Time segnò il suo tempo trasponendo magnificamente il tutto in tre dimensioni, Majora’s Mask ne propose una versione dark ed estremamente peculiare. Da lì in poi, però, la serie cominciò a chiudersi su sé stessa smettendo di portare quella carica innovatrice che l’aveva da sempre contraddistinta. Così, mentre il mondo videoludico si apriva sempre di più, capitolo dopo capitolo il focus veniva spostato sui dungeon fino a raggiungere un estremo punto di non ritorno: Skyword Sword. Il canto del cigno di Wii proponeva, di fatto, un percorso principalmente incentrato sui dungeon che azzerava completamente il senso di esplorazione. C’era un estremo bisogno di mettere un punto e di ripartire e, per farlo, si decise di tornare indietro di ben trent’anni.

Ocarina of Time: un capolavoro che ha segnato un’epoca!

Influenze storiche

Prima di parlare del post Skyword Sword, è bene però fare un excursus. Da un lato Nintendo stessa non ha seguito l’esempio del primo The Legend of Zelda. Dall’altro, però, anche gli altri attori dell’industria hanno fatto altrettanto. Nel corso degli ultimi anni, chiunque abbia proposto una formula open world non ha mai cercato di emulare il capostipite Nintendo. Mondi sempre più grandi, sempre più belli. Fotorealismi sempre più convincenti. Impostazioni cinematografiche. Narrative peculiari e doppiaggi faraonici. Queste, ancora oggi, sono le fondamenta dei grandi tripla A open world. Tra i pochissimi videogiochi che hanno cercato di emulare quel senso di libertà possiamo certamente annoverare Dark Souls. Il primo capitolo della creatura di From Software garantiva un approccio libero con, però, alcune limitazioni.

Il creatore di Dark Souls, Miyazaki, ha più volte dichiarato la sua ispirazione alla famosissima saga Nintendo.

L’eccessiva difficoltà nell’affrontare alcune aree ne rendeva praticamente impossibile l’accesso, creando una sorta di guida creata sulla propria esperienza. Inoltre, non possiamo catalogare Dark Souls come un vero e proprio open world. Il risultato di tutto ciò è che il modello Ubisoft (che non vogliamo assolutamente usare in senso dispregiativo) si è espanso in maniera così radicata da contagiare praticamente la quasi totalità delle produzioni a mondo aperto. Mondi sempre più vasti sono oggi accompagnati da strade segnate, quest lineari, torri e punti di interesse rigorosamente tracciati sulla mappa di gioco. L’accompagnamento al giocatore è tale che si è arrivati al punto in cui ci si chiede che senso abbiano questi mondi giganteschi che fungono da mero contenitore.

Con Breath of the Wild Nintendo è voluta tornare alle origini della saga

Ritorno al futuro

Quando Aonuma nel 2014 apparì su schermo per presentare il nuovo capitolo della serie, quello che sarebbe poi diventato Breath of the Wild, dichiarò che Nintendo voleva rompere con le convenzioni del passato. Non fu, in realtà, del tutto onesto. Quella che è stata la vera killer application di Nintendo Switch è in realtà un clamoroso ritorno alle origini della serie. Un tentativo, perfettamente riuscito, di fondere l’anima più profonda di The Legend of Zelda con gli esercizi di level design che hanno accompagnato ogni capitolo, a partire da A Link to the Past.

Cosa ci attende nel sequel di Breath of the Wild?
Il pluripremiato capitolo per Nintendo Switch è un vero e proprio ritorno alle origini della serie.

Breath of the Wild è la summa di oltre tre decenni di esperimenti, successi e fallimenti maturati in un unico grande capitolo. È un nuovo inizio che segna irrimediabilmente un nuovo corso e una vitalità ritrovata, grazie soprattutto a quel primissimo capitolo uscito nell’ormai lontano 1986. A quattro anni dall’uscita dell’ultimo capitolo, ancora nessuno ha provato a riprodurre quella formula, segno di un’avanguardia di idee che va ben oltre il suo tempo. Ci sono stati timidi tentativi, come il recente Immortal Fenyx Rising, ma nulla che abbia saputo coglierne la vera essenza. Se oggi possiamo guardare al futuro con speranza e ottimismo è perché qualcuno, già negli anni ’80, era riuscito a dare uno sguardo al futuro. Buon trentacinquesimo anniversario!

Stefano Cherubini

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