Non è la prima volta che nelle pagine di Gameplay Cafè si parla di bullismo e probabilmente non sarà neanche l’ultima. Si tratta di un tema dall’importanza sempre più crescente e che sento molto vicino alla mia persona, soprattutto perché l’ho vissuto sulla mia pelle per tanto tempo nel corso della mia adolescenza. Sebbene vi abbia già raccontato di come un videogioco sia riuscito ad aiutarmi a uscire da questa piaga, con il pezzo che segue voglio effettivamente riflettere su una didattica alternativa che potrebbe aiutare concretamente tanti ragazzi vittime ancora oggi di questo fenomeno.
Ormai lontani dalle vecchie avventure grafiche testuali fatti di pixel enormi e prompt di comando, ci siamo proiettati in un mondo digitale dalle moltissime interpretazioni artistiche. In quella grande tela bianca che è il codice dei videogiochi, molti sviluppatori più o meno grandi hanno creato opere che esulano dal puro divertimento, ma sono invece mirate a sensibilizzare il pubblico. C’è chi ha sfruttato l’occasione per trasmettere cosa significhi avere a che fare con il cancro, altri hanno puntato a voler rappresentare i panni di una famiglia siriana che scappa dalla guerra e altri ancora hanno voluto raccontarci cosa significhi avere a che fare con una disabilità. La lista potrebbe continuare per molte pagine, ma ciò che è evidente è che il videogioco si è evoluto in uno strumento in grado di avere funzioni moralmente più complesse, utili alla creazione del pensiero individuale e collettivo.
Il valore che più di tutti rende il videogioco un mezzo così potente nell’ottica sociale è la sua capacità di coinvolgere il giocatore all’interno dei temi e dei mondi che esso presenta. Ciò permette di vivere determinate tematiche come se la nostra persona ne fosse direttamente coinvolta, e spesso è effettivamente quello che accade, per esempio, nei titoli in cui sono presenti scelte in cui è possibile modificare la trama e le relazioni. Tale meccanismo permette di creare un canale comunicativo di stampo psicologico molto importante, che incrementa la soglia dell’attenzione e facilita l’apprendimento di nozioni morali e non, come dimostrato da molte ricerche mirate come “Childhood Violence Prevention Education Using Video Games” del Brown Community College e “Video game–based learning: An emerging paradigm for instruction” di Kurt D. Squire. Se i videogiochi vengono utilizzati dai militari e dai medici per esercitarsi, sfruttarli come materiale didattico non è poi un’idea così malsana. Basti pensare all’eccellente Discovery Tour di Assassin’s Creed Origins, in grado di convogliare approfondimenti di storici, riproduzioni fedeli di monumenti e storiografia in un’unica modalità che permette di esplorare in prima persona l’Egitto all’epoca di Cleopatra.
In questo quadro molto positivo per il medium videoludico, voglio assolutamente inserirci anche una possibile utilità nella lotta contro il bullismo. Tutti sappiamo cosa sia effettivamente questo fenomeno e quali implicazioni abbia. Ne siamo venuti a conoscenza attraverso i molti servizi del telegiornale o magari abbiamo visto qualche nostro compagno venire preso di mira, oppure lo abbiamo purtroppo sperimentato sulla nostra pelle. In tutti i casi, si tratta di una conoscenza diffusa ottenuta solo dopo che i fatti avessero raggiunto la loro conclusione, soprattutto se si considera la prospettiva degli educatori e dei genitori. Tuttavia, quello che non si fa nel nostro sistema scolastico è parlarne in maniera continuativa, cercando di spiegare il fenomeno attraverso una sorta di piccolo corso mirato. Molti professori non vogliono assolutamente togliere ore al loro “preziosissimo” programma, perfino a quelle della discutibile lezione di religione, e nessuno si prende la briga di parlarne prima che i fatti gravi succedano, pensando scioccamente che certe dinamiche siano solamente il naturale corso delle cose.
Si aspetta che ne esca una vittima prima di riunire la classe e dire: “Ragazzi, c’è un problema grave”. A mio avviso, questo è un comportamento deleterio e potenzialmente pericoloso principalmente perché non permette agli studenti di capire il male di questi atti prima di sperimentarlo, lasciando che le vessazioni tra bulli e bullizzati permettano che quest’ultimi vengano ignorati perché oggetto di scherno percepito come “collettivo”. Al contempo, chi avrà tendenze a sminuire l’altro per il proprio tornaconto non si sentirà minimamente in colpa per le sue azioni fino a quando non sarà troppo tardi. Infatti è stato dimostrato che i colpevoli delle “torture” non abbiano neanche la vaga idea di cosa voglia dire accanirsi costantemente contro una o più persone per via del fatto che in loro non esiste il concetto di bullismo, o comunque non è sufficientemente sedimentato da riconoscerne il rapporto causa-conseguenza. Ne consegue che molti segnali vengano fatti passare – sia dagli adulti che dai coetanei – come scherzi tra ragazzi, esperienze formative, semplici tafferugli, quando in realtà tutti sappiamo che è proprio dai piccoli episodi che si inizia il lento percorso verso la violenza verbale o fisica. Per questo anche chi non è coinvolto direttamente non muove un dito per fare qualcosa, sia per timore di diventare egli stesso soggetto, sia per la sensazione che gli insulti e le derisioni in quel contesto siano “socialmente accettabili” perché delle figure di “potere/maggioranza” suggeriscono che sia così.
Dunque, come è possibile far comprendere a una classe di adolescenti a cosa può condurre il bullismo senza ridurre tutto a una fredda lezione didascalica o a un obbligo ministeriale dettato da una circolare? Il mio suggerimento è quello di utilizzare un mezzo che più sia vicino al target di questa campagna di sensibilizzazione: il videogioco. Nello specifico però vorrei proporvene uno in particolare per dimostrare in maniera chiara l’utilizzo di uno scenario adibito allo scopo: il fantastico Life is Strange di Dontnod, il titolo che con #everydayheroes ha anche lanciato una campagna benefica dedicata proprio all’antibullismo.
Nel corso della mia “carriera” videoludica, ho spesso scritto di questo gioco, approfondendone vari aspetti e analizzandone i temi. Per quanto se ne possa dire, in un modo o nell’altro è un prodotto che parla di argomenti molti importanti, utilizzando una narrativa forte che fonde realtà con finzione, sia letteralmente che artificiosamente. Tra tutti gli episodi che avvengono all’interno del titolo, come la violenza domestica o l’abuso sessuale, quello che ha l’impatto più vicino alla vita dei giovani giocatori è proprio la storia di bullismo che si consuma nei primi atti, quando ancora il racconto si ambienta tra le mura scolastiche. Dopo una festa finita male, una ragazza, Kate, viene marchiata dal resto degli studenti a seguito di un video virale non proprio onorevole per la reputazione della fanciulla. Da quel momento, la vita per la giovane diventa un inferno a seguito delle continue vessazioni da parte della classica frangia “popolare” della scuola, tirando in mezzo un po’ tutti attraverso un richiamo alla coralità da parte delle personalità più in vista del corpo studentesco. Con l’ignoranza degli insegnanti, che se ne fregano altamente perché interessati solo ai soldi e alle proprie faccende, nessuno si schiera a favore di questa ragazza per evitare di essere a sua volta preso di mira. Perfino altre vittime passate degli stessi aguzzini rimangono in silenzio di fronte alla tortura psicologica e fisica della ragazza, impauriti di dover ritornare in quell’oscuro tunnel di tristezza e odio. Qui entriamo in gioco noi nei panni di Maxine, dapprima in maniera più subdola per diventare via via sempre più diretta e incisiva.
Dialoghi e situazioni sono strutturati per testare il nostro atteggiamento, facendo leva sul fatto che anche noi – come protagonisti – abbiamo i nostri obiettivi che in linea teorica dovrebbero essere immensamente più importanti di una presa in giro liceale. Infatti, il gioco non si fa problemi a farci scegliere tra il darci un vantaggio nel filone principale della storia, che ha una dimensione macroscopica, o aiutare una povera vittima indifesa nella sua croce personale. In ogni caso, la nostra azione o inazione avrà pesanti conseguenze nell’atto clou della linea dedicata al bullismo, ovvero quando la ragazza sarà in procinto di gettarsi dal tetto e saremmo chiamati a salvarla.
In questo preciso momento di Life is Strange viene calcata la mano sulle conseguenze che il bullismo e il silenzio hanno nella vita delle vittime. Potremmo anche fare tutte le scelte di dialogo giuste, lì sul tetto, ma se le nostre azioni saranno state insufficienti per il resto del tempo non avremo possibilità di salvare la ragazza. Nonostante il nostro superpotere sia in grado di riavvolgere il tempo, la fanciulla non sopravvivrà se non dimostreremo, durante il gioco, di essere prima di tutto umani aiutandola quando effettivamente le serviva. Perché questo è quello significa davvero combattere il bullismo: ricordarsi che ognuno di noi ha un cuore, dei sentimenti e un’anima, tutti elementi che ci rendono effettivamente ben più che un ammasso di carne che cammina. Le azioni quotidiane, i piccoli gesti e l’attenzione al prossimo sono ciò che potrebbe salvare la vita a qualcuno sull’orlo del baratro, soprattutto in situazioni delicate come questa. Per quanto sia d’impatto, è innegabile che un setting simile lo abbiano adottato anche altre produzioni, non è di certo una novità esclusiva di Life is Strange o del mondo videoludico. Basti pensare al recente 13 Reasons Why, che per quanto sia quasi paradossale e al limite del credibile, affronta proprio il tema in maniera più vicina e cruda. Dove sta il potere del videogioco come mezzo comunicativo nella rappresentazione di queste dinamiche?
Per quanto sia solamente digitale, la vita della ragazza di Life is Strange è realmente nelle nostre mani – a differenza di quanto accade solamente guardando un documentario – e dipende principalmente da tutte le decisioni del giocatore fino a quel punto. Ciò significa che saremo protagonisti di veri episodi di bullismo fatti a terzi e potremo essere capaci di intervenire sia direttamente sia garantendo un minimo di supporto con determinati gesti. Essendo coinvolti in prima persona, i giocatori si sentiranno moralmente responsabili di quanto sta accadendo e le loro azioni potrebbero essere un perfetto oggetto per una ricerca sociale atta a sensibilizzare i giovani sul tema. Tuttavia, la terapia d’urto è quello che più permette alle informazioni di essere impresse nella memoria dei soggetti, proprio perché c’è quel coinvolgimento affettivo e morale necessario a rendere le connessioni tra gioco e utilizzatore abbastanza potenti da poter suscitare una riflessione etica su sé stessi e sul fenomeno.
Una dinamica simile risulta impossibile per le altre tipologie di formato visivo, soprattutto perché si tratta di un canale in cui uno strumento parla e l’utilizzatore ascolta con un grado di coinvolgimento estremamente variabile. Guardando, per esempio, 13 Reasons Why senza magari essere iscritti a un college o senza aver mai essere stati a contatto con alcuni tipi di violenza, risulterà sensibilizzante fino a un certo punto, proprio perché si ha l’impressione di essere molto distanti dal contesto narrato, a meno che non si siano vissute esperienze similari. Un videogioco come Life is Strange non ha bisogno di esperienze pregresse per esprimere il suo massimo potenziale didattico proprio perché esso stesso è l’esperienza che si trasforma in morale. Una simulazione di vita che, sul momento, ci fa scordare di essere all’interno di uno spazio digitale attraverso il saggio utilizzo delle emozioni del fruitore. Elementi essenziali per questa alchimia sono un eventuale climax – la scena del tetto – e la sua lenta costruzione attraverso strascichi di vita quotidiana, cosa che rappresenta perfettamente la condizione delle vittime di bullismo, le quali preferiscono accumulare dentro di loro i dolori e le paure per evitare ritorsioni per sé stessi o per terzi. Purtroppo però, nessuno può tenersi dentro tanto dolore così a lungo e ciò ci porta ad alcune delle pagine più nere della nostra cronaca, fatte di odio, razzismo, omofobia, violenza, abbandono e tanti altri motivi che portano un adolescente disperato a togliersi la vita.
Utilizzare il videogioco – e non solo Life is Strange – come strumento per un’impronta didattica etica non è utopia, si tratta solamente di saper fare l’insegnante utilizzando i medium moderni e le tecnologie odierne, con la buona pace dei computer con Windows XP nella sala video del secondo piano. Può essere un’esperienza da sperimentare nella propria casa, così come può essere ottimo illustrarla a una classe per presentare il tema. Un montaggio, un video, delle immagini, i supporti sono molti ma già parlarne come se fosse un argomento di estrema importanza, e in effetti lo è, sarebbe qualcosa che gioverebbe al nostro sistema scolastico e alla vita di molti dei sui frequentatori. La lotta al bullismo è una guerra continua che ogni giorno produce vittime silenziose in tutto il mondo, perciò è necessario utilizzare ogni strumento per poterlo combattere. Il videogioco, a mio giudizio, è una potentissima “arma” di sensibilizzazione e con le capacità tecniche della nostra epoca è in grado di creare esperienze che è possibile sfruttare come strumento accademico.
Se si potesse far sperimentare a una persona cosa vuol dire essere a contatto con il bullismo prima di farlo effettivamente nella realtà, attraverso uno spazio digitale verosimile, potrebbe essere possibile evitare che suddetta persona diventi un bullo una volta che ne ha capito le drammatiche conseguenze, oppure che smetta di essere un passante silenzioso mentre qualcuno dei suoi compagni viene preso di mira. Sembra sciocco pensare che un insieme di pixel possa cambiare così drasticamente il mondo degli adolescenti, ma io ci voglio credere. Voglio credere che nelle classi si dedichino ore a costruire dei rapporti tra compagni, a monitorare ciò che avviene tra gli studenti e a spiegare cosa vuol dire bullismo, stupro, violenza e molestia. Voglio credere che un giorno queste qualità della nostra passione come videogiocatori, coadiuvati da strumenti didattici, possano portarci a essere umani migliori e, chissà, a salvare qualche vita.
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