3 Marzo 2017. Ore 20.00. Mi ritrovo fuori un anonimo negozio di elettronica alla periferia di Milano, sotto la pioggia, a mani vuote, in attesa dell’autobus che mi riporti a casa dopo un pomeriggio passato correndo tra un negozio e l’altro. Due linee metropolitane come al solito stracolme di gente, altrettanti autobus e, per concludere in bellezza, tre lentissimi tram. Vi starete chiedendo: cosa mai può essere così importante da meritare tutto questo girovagare? Semplice, una Nintendo Switch condita con Legend of Zelda Breath of the Wild.
Per fortuna, come nelle migliori favole Disney, il giorno dopo ho abbracciato la mia nuova console, felice come un bambino dopo un incontro ravvicinato del terzo tipo con Babbo Natale.
Ma la vera domanda è: cosa spinge un ventisettenne, apparentemente sano di mente, a fare tutto questo per uno scatolotto di plastica ed una cartuccia grande quanto un dente da latte? Sicuramente non l’amore per la grande N, dato che nella mia lunga carriera da videogiocatore non ho mai posseduto una console della casa di Kyoto. Probabilmente l’amore per il medium videoludico, rimasto intatto da venti anni a questa parte. Vi racconto questa storia (poco) interessante non per fare sfoggio della mia follia, ma per capire i motivi che hanno reso una console data per morta in partenza, uno dei successi del 2017 (e non solo).
Il giorno dopo la presentazione del 13 gennaio di un anno fa, molti addetti ai lavori si chiedevano quale sarebbe stato il pubblico di riferimento della nuova creatura Nintendo, considerata troppo costosa per i più piccoli ma, al tempo stesso, troppo poco potente per attaccare il target di riferimento di PS4/Xbox One.
Switch si presentava come un ibrido capace di scontentare tutti
Lo stesso target che, da sempre, viene considerato come l’unico viatico verso il successo di una console. Switch si presentava come un ibrido capace di scontentare tutti. Un device che, nel tentativo di allargare il bacino di utenze di WiiU e replicare il successo di Wii, non aveva apparentemente un pubblico di riferimento chiaro.
La stessa Nintendo appariva quanto meno bipolare nei suoi comportamenti, affannandosi nel ripetere a più riprese che Switch non sarebbe stata il successore del 3DS, ma al tempo stesso unificando gli studi di sviluppo fino a quel momento divisi tra portatili e home console. Dopo un anno possiamo affermare con certezza che tutte queste previsioni si sono rivelate errate.
La premessa di questo articolo infatti, oltre a mettere in evidenza quanto la passione per i videogiochi possa essere deleteria per la sanità mentale di una persona, pone le basi per una valutazione complessiva sul successo della console, avvallata in parte da alcuni dati messi a disposizione da Nintendo stessa. Infatti secondo un sondaggio fornito ai consumatori che hanno collegato il loro Nintendo Account alla console, l’acquirente medio di Switch è un maschio (90%) con un’età tra i 25 e i 34 anni (46%).
Dunque non quel target di giovanissimi che la casa di Kyoto intendeva captare sfruttando le dimensioni e la portabilità della console (nonostante Nintendo, come detto in precedenza, abbia più volte ribadito che considera Switch una home console non concorrente al 3DS). Non quel pubblico casual che ha esaurito la sua voglia di console con l’acquisto del Wii, giudicato alla stregua di un elettrodomestico che, in quanto tale, difficilmente sarà rimpiazzato. Improbabile, infine, inquadrare in quella fascia di età l’ampia fetta di pubblico che passa intere giornate a scannarsi tra Call of Duty e FIFA.
Come spiegare quel 46% quindi? Secondo una statistica del 2017 stilata in USA, il 27% dei videogiocatori (senza distinzioni tra piattaforme) ha un’età compresa tra i 18 e i 35 anni, mentre il 45% dai 36 anni in su. Il dato è molto interessante in quanto certifica un innalzamento sostanziale dell’età media dei videogiocatori, spiegabile, in parte, con la non più giovane età del medium videoludico.
Questo nuovo pubblico ha trovato in Switch un’ancora di salvezza
Però in tutte le analisi preliminari riguardanti la console, si è sempre sottovalutato il possibile impatto di questo nuovo segmento di mercato, ossia gli appassionati come me, cresciuti a pane e videogame tra gli anni 80/90, che, a causa dello scorrere inesorabile del tempo, adesso possono considerarsi uomini (im)maturi e soprattutto economicamente indipendenti.
Ragazzoni alla soglia dei 30 anni, con ancora la voglia di dedicare del tempo al loro passatempo preferito, che adesso dispongono di un potere d’acquisto in grado di spostare i veri numeri del mercato. Questo nuovo pubblico, tagliato fuori dai vari titoli multiplayer che al momento macinano successi tra mercato PC e console, ha trovato in Switch un’ancora di salvezza, un porto sicuro nel quale attraccare e riscoprire emozioni ed esperienze in linea con i propri gusti. Gli arieti che hanno fatto breccia nel pubblico descritto precedentemente e, più in generale, in tutti gli acquirenti, sono stati essenzialmente due: l’uscita contemporanea di Breath of the Wild e la portabilità.
La serie Zelda è, storicamente, tra le più premiate della casa di Kyoto, ma non ha mai avuto lo stesso appeal commerciale dei vari Mario o Pokemon. Però in questo caso Nintendo è riuscita per l’ennesima volta a stupire tutti, innovando un genere che da troppo tempo era impantanato in meccaniche vecchie e stantie. L‘aurea magica e fiabesca, da sempre marchio di fabbrica di Zelda, si è fusa perfettamente con un gameplay unico, il cui protagonista non è Link, ma l’esplorazione e il senso di scoperta e sopravvivenza che ne scaturisce. La libertà estrema offerta dal gioco ti incatena davanti allo schermo per ore, alimentando continuamente la voglia di scoprire i luoghi più remoti della mappa.
La seconda chiave del successo della console è strettamente legata alla prima. Infatti la possibilità di giocare in portabilità un capolavoro del genere, ha aumentato notevolmente l’appeal della console nei primi mesi di vita. La soluzione ibrida permette di spostarsi senza problemi nel caso in cui compagne/mogli/figli decidano di rovinare i vostri piani monopolizzando la TV. Personalmente dopo un anno dall’acquisto, passato giocando titoli first party e indie, posso affermare di aver inserito la Switch nella dock station solo un paio di volte in tutto, preferendo il divano o il letto per lunghe sessioni pomeridiane o notturne.
Il successo della di Switch sta nell’aver fatto breccia nei cuori degli appassionati storici, riportandoli alle radici del videogame, quando bastava inserire un floppy o una cartuccia e premere ON per essere catapultati in avventure uniche. Quando a contare non erano i poligoni, le classifiche o i trofei, ma le storie e il semplice gusto di divertirsi. Probabilmente è questo il merito maggiore di Switch, nonché una delle cose più belle che il mondo dei videogiochi ci abbia offerto da dieci anni a questa parte.
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