Editoriale

Quando i Prodigy mostrarono al mondo il potenziale dei videogiochi

Alcuni giorni fa, come noto, è scomparso prematuramente Keith Flint, iconico frontman dei Prodigy. La band innalzò la cultura rave a livello mainstream e fu tra i maggior esponenti, insieme ai Chemical Brothers e Fatboy Slim, del cosiddetto movimento Big Beat durante la seconda metà degli anni ’90. Ma rispetto ai colleghi, i Prodigy unirono sapientemente l’elettronica alla forza travolgente del punk e del rock, che andava lentamente spegnendosi dopo l’ultima ed effimera scossa generazionale uscita dagli scantinati di Seattle solo cinque anni prima.
A pochi giorni dalla tragica notizia molti organi d’informazione hanno giustamente ricordato le qualità ed i meriti del terzetto inglese e, tra questi, molti siti di videogiochi, che hanno rammentato la partecipazione Flint e soci alle colonne sonore di diversi titoli. In realtà, il contributo dei Prodigy in ambito videoludico è stato determinante e va ben oltre il loro apporto musicale. Per accertare la validità di questa pensiero, torniamo indietro di venticinque anni, quando la band, figlia di una nuova sottocultura britannica, iniziava a scalare le classifiche. Pensiero di chi, è bene precisarlo, non è mai stato fan dei Prodigy, ma allo stesso tempo non indifferente ad un simile impatto nella scena musicale di quegli anni.

In quel periodo la differenza tra appassionati e non appassionati di videogiochi era decisamente più netta, rispetto ad oggi. Chi frequentava scuole medie o superiori negli anni ’90 può facilmente ricordare che i giocatori erano una minoranza. Gran parte dei ragazzi non possedeva alcuna piattaforma videoludica e, all’occorrenza, si divertiva a prendere in giro chi estraeva dallo zaino una copia di TGM o K durante la pausa. Il termine nerd preservava ancora la sua accezione originale che flirtava frequentemente col termine sfigato. E’ vero che cinema e letture fantasy, videogiochi, fumetti e giochi da tavolo sono ancora oggi il principale bagaglio culturale del nerd. Solo che in epoca attuale la cultura nerd è prepotentemente entrata nella cultura di massa. All’epoca era un biglietto omaggio di sola andata verso l’emarginazione o un’autoinflitta ghettizzazione assieme ai propri simili. Scordatevi barbe e pettinature ad hoc, tatuaggi, loquacità, trucco impeccabile ed abbigliamento stravagante, ma calcolato. La sciatteria era assai diffusa e, molto, molto genuina. Gli sfigati di oggi, al contrario, sono coloro che non hanno ancora visto l’ultimo film della Marvel, non hanno mai sentito parlare di Breaking Bad o non padroneggiano il battle royale del momento.

I videogiochi rappresentavano in quel decennio un mondo vasto, creativo, colorato e ricco di potenziale, ma invisibile agli altri media. E le poche incursioni da parte dello show business avevano un risvolto assai patetico. Qualcuno starà sicuramente pensando alle inguardabili trasposizioni cinematografiche. Sì, è vero, ma c’è di peggio. Divi del cinema da tempo dimenticati ed ex-bambini prodigio sull’orlo del baratro prestavano la loro figura durante il boom del full motion video, dei film interattivi e dei giochi con scene d’intermezzo in live-action su sfondi renderizzati. I primi, in particolare, erano vere e proprie perle trash del panorama videoludico che fortunatamente hanno avuto vita breve. Qualche nome? Mark Hamill, che con Malcom McDowell e John-Rys Davies, ha condiviso alcuni capitoli di Wing Commander, Christopher Walken, Tim Curry e la sfortunata Dana Plato.
Chiaramente non tutti i giocatori o appassionati di fumetti erano nerd emarginati ma, credetemi, i film interrattivi erano tutti, ma proprio tutti terrificanti. E le cutscene del costosissimo Wing Commander 3 (140, 150 mila lire!) erano già stucchevoli alla terza esperienza. Salverei solo Under a Killing Moon, ma forse la memoria m’inganna.

Ora, nel 1996, in questo scenario, non una band qualunque ma niente meno che la più figa del momento concede una delle sue hit per un videogioco di corse futuristico, il pluriosannato Wipeout 2097, secondo capitolo della serie della Psygnosis. Il connubio funzionò, cosa tutt’altro che scontata, ed improvvisamente il mondo esterno si accorse dei videogiochi. Non è stata la prima collaborazione di lusso tra industria discografica e universo videoludico, dato che, ad esempio, qualche mese prima i Nine Inch Nails avevano realizzato le musiche per Quake. Ma l’attenzione mediatica nei confronti di Wipeout 2097 fu considerevole, ben superiore al titolo più atteso dell’anno e relative composizioni del talentuosissimo Trent Reznor. Oltretutto il titolo di Psygnosis ospitava altri fuoriclasse della scena electro come i Chemical Brothers e i Future Sounds of London. Ma Wipeout sarà sempre e indissolubilmente legato alla versione instrumentale di Firestarter. La sessione di gioco con la traccia dei Prodigy aveva un sapore diverso, unico, era una perfetta sintonia tra audio e scene in movimento. Fuori dal settore videoludico Wipeout divenne ben presto “quel gioco di corse del futuro per Playstation dove c’è la musica dei Prodigy”. Eppure il titolo era disponibile anche per Saturn, PC, Mac e addirittura Amiga. Ma solo l’ammiraglia Sony possedeva i diritti per le musiche dei Prodigy, Chemical Brothers e Future Sounds of London. Tanto è bastato per dimenticarsi delle altre piattaforme. Si è trattato forse di un primo tassello che avrebbe portato negli anni successivi ad accostare il nome Playstation a qualsiasi entità di carattere videoludico da parte dei non addetti.
Firestarter avrebbe fatto parte del loro album più famoso, The Fat Of The Land, che contiene le altre iconiche Smack my bitch up e Breathe. L’uscita del disco era prevista nello stesso anno ma venne posticipato al 1997. La causa? Liam Howelett, cofondatore della band, non riusciva a smettere di giocare al primo capitolo di Tomb Raider. Un endorsement dietro l’altro.

Dopo quell’esperienza, negli anni a venire i videogiochi avrebbero acquisito maggior visibilità e rapporti sempre più saldi con altri soggetti legati all’intrattenimento. Del settore discografico ricordiamo Song 2 dei Blur e Tubthumping dei Chumbawamba, autentiche hit degli anni ’90, inserite nella playlist di Fifa 98/Road To Word Cup fino ad arrivare alle radio della serie Grand Theft Auto. Ma furono i Prodigy con Firestarter a valutare per primi il potenziale dei videogiochi. E per i giocatori dell’epoca fu un motivo di vanto e la sensazione di essere, almeno una volta, dalla parte più cool.

Iacopo Risi

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