Editoriale

Ready Player One: meglio tardi che mai

Sono due gli approcci possibili per parlarvi di Ready Player One. Il primo è quello del quarantenne nostalgico rimasto affascinato dal romanzo di Ernest Cline, trovandolo ricco di ottimi riferimenti nerd alla propria infanzia, con personaggi ben caratterizzati, qualche cliffhanger tutt’altro che banale e la ricostruzione di un futuro distopico in cui gli eventi narrati acquistano un senso più ampio. Il secondo è quello del quarantenne capace di fare un distinguo tra letteratura di genere e cinema, consapevole dei limiti che avrebbe comportato una pellicola fedele alla visione dello scrittore statunitense, quindi incentrata sull’aspetto introverso della scoperta – di sé e delle proprie capacità – piuttosto che quello della spettacolarizzazione e degli effetti speciali, questi ultimi certamente più accattivanti per un pubblico adolescenziale. Il problema è che in me vivono entrambi gli approcci, dove se da un lato comprendo le scelte operate da Steven Spielberg in ottica di “vendiamolo ai ragazzi”, miniaturizzando così la trama rendendola a tratti ridicola, dall’altro non riesco a fare pace con l’incredibile occasione sprecata da Warner Bros. di realizzare un capolavoro.

La storia è di dominio pubblico, quindi non c’è pericolo di grossi spoiler: in un prossimo futuro distopico in cui la sovrappopolazione e le condizioni ambientali in continuo peggioramento hanno creato enormi sacche di povertà, le persone hanno iniziato a vivere sempre più concentrate, creando sobborghi simili alle baraccopoli sudamericane del nostro immaginario. L’unica via di fuga da un’esistenza fatta di stenti e miseria è quella rappresentata da OASIS, realtà virtuale creata da James Halliday e Ogden Morrow dov’è possibile impersonare un avatar a cui far fare qualsiasi cosa si desideri, a patto di grindare in stile MMORPG.

la storia è di dominio pubblico, quindi non c’è pericolo di grossi spoiler

Prima di morire, Halliday dà vita a un easter egg come premio per chi riuscirà a superare tre prove segrete, accessibili decifrando indizi basati sulla sua vita da nerd degli anni ‘80. In molti si mettono a cercare l’uovo, compresa la multinazionale cattiva che vuole impossessarsene perché chi lo farà per primo diventerà il nuovo proprietario di OASIS e, ça va sans dire, ciò comporterebbe il controllo totale sulla vita di tutti gli abitanti della terra. Ready Player One, quindi, racconta le vicende di un diciassettenne dell’Ohio, al secolo Wade Watts, che come tanti suoi coetanei sceglie la via del gunter lanciandosi alla ricerca delle chiavi per aprire la porta che conduce all’easter egg… e qui mi fermo, ché poi iniziano le rivelazioni ed è giusto che alcune cose le scopriate da soli.

Da un punto di vista strettamente citazionista, il film è un flusso continuo di comparsate. Basta guardare i titoli di coda per accorgersi che vengono elencate, precedute da “courtesy of”, circa 25 major: Disney, Blizzard, Bandai, Capcom, Atari, Hasbro, Mattel, Microsoft, Sega, Mojang, Rare e tantissime altre. Dovete immaginarvi un personaggio o un mezzo di trasporto a caso di una serie animata, telefilm, film, videogioco o fumetto creato dalla fine degli anni ‘70 a oggi e potete star sicuri di trovarlo, fatta eccezione per Nintendo che non ha concesso i diritti all’utilizzo delle sue IP. Dalle Tartarughe Ninja ad Halo, da Street Fighter a Il gigante di ferro, passando per Battlestar Galactica e Shining, ogni fotogramma di Ready Player One è caratterizzato da un richiamo al “nostro” mondo dell’intrattenimento (merchandising, anyone?). È impossibile, però, non storcere il naso di fronte alla superficialità con cui molte di queste IP vengano letteralmente buttate nel calderone.

ogni fotogramma di Ready Player One è caratterizzato da un richiamo al “nostro” mondo dell’intrattenimento

Che si tratti di una produzione per “addetti ai lavori” è pleonastico ribadirlo, ma chiunque abbia letto il romanzo di Cline sa bene quanto ogni riferimento alla cultura pop di quegli anni venga introdotta dall’autore nel flusso narrativo in maniera quasi maniacale. Nel film si perde completamente il contesto, fermo restando il fatto che lo stesso è accaduto alla trama tout court, che parte a cannone senza grandi preamboli impedendo a chiunque non sia già informato sui fatti di comprendere il legame tra i coprotagonisti, il perché della loro caccia e quali fossero le basi di partenza in termini di dotazioni e reali opportunità di successo. Se poi volessi fare una digressione sulla libera interpretazione di Spielberg delle prove affrontate dai gunter – nella pellicola davvero banali – ne uscirebbe un giudizio alquanto negativo. Come scrivevo all’inizio, però, in me vive anche l’approccio da “ehi, sei sopravvissuto alla mortificazione del romanzo di Harry Potter nella sua trasposizione cinematografica, sopravviverai anche a questo”, quindi sono riuscito a guardarmi le due ore abbondanti di Ready Player One lasciandomi portare dallo spettacolo. Non importa che il cattivo di turno venga dipinto come uno stupido – nel libro non lo è per niente – o che la relazione sentimentale inscenata ad hoc per gli adolescenti la faccia da padrone, quando nel romanzo era foriera di una riflessione tutt’altro che stupida sulla costruzione delle relazioni virtuali… mi sono goduto le esplosioni, i cosplayer e le citazioni senza troppi plissè.

Ho visto il film in ritardo, recuperato in HD su Chili dov’è possibile acquistarlo anche in SD o HD+; incuriosito dal clamore suscitato e dall’entusiasmo con cui molti ne hanno parlato ho persino letto molte recensioni prima della visione – cosa che non faccio mai – e sono arrivato ai titoli di coda in stile giano bifronte: vecchio con le mani dietro la schiena che guarda il cantiere pensando al fatto che una volta, lì, era tutta campagna… e giovane con contratto a termine che si esalta per quel potpourri nerd renderizzato ad arte e inedito. Se questa fosse una recensione del day one non avrei dubbi: sarebbe stata diversa. Oggi, a quattro mesi di distanza dalla sua uscita nelle sale, mi sento di consigliarne la visione senza troppi ripensamenti. Dubito diventerà mai un cult tipo I Goonies o Ghostbuster, ma ce lo ricorderemo comunque tutti per sempre.

Roberto Turrini

Per 10 anni sulle pagine di The Games Machine ha sognato una vita a tre con Lara T'Sioni ed Elena Fisher; poi ha scoperto che non sapevano cucinare e si è dato all'autoerotismo.

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