Editoriale

Perché scrivere di videogiochi è figo… ma non per tutti

I videogiochi hanno sempre avuto il grande merito di saper divertire e affascinare e, in alcuni casi, anche stupire.

Questi ultimi, però, hanno anche diviso l’opinione pubblica al riguardo, tra chi è sempre pronto ad additarli come istigatori di violenza nei più giovani e segno inconfutabile di “infantilismo” in quelli più in là con l’età, e chi, invece, li ama. Molti studi, ricerche o semplicemente considerazioni “da salotto” sono state condotte sull’argomento, ma nessuna mai è riuscita a dare una connotazione certa all’argomento in questione. Tutto, infatti, si riduce sempre ad una visione puramente personale, che di fatto azzera le numerose discussioni al riguardo, lasciando nelle nostre mani l’ardua sentenza.

Non soltanto giocare ai videogiochi, però, risulta argomento di grande discussione, anzi: a finire sotto i riflettori è anche chi con i videogiochi ci lavora, che di videogiochi parla per professione o chi, semplicemente, coi videogiochi “ci campa”.

Si, non avete letto male: alcuni fortunati (molti più di altri) coi videogiochi ci “mangiano” e sono riusciti, seppur con mezzi diversi, a renderli il proprio lavoro.

Una situazione impensabile anni fa, ma che, col passare del tempo, è diventata una piacevole realtà. In tal modo, la figura del nerd o comunque del videogiocatore incallito o del troppo grande per giocare ha subito un grosso cambiamento. Il primo importante tassello è rappresentato, chiaramente, dalla nascita del binomio informazione ufficiale – videogiochi che visto la propria genesi diversi anni addietro.

Chi scriveva (o scrive) di videogiochi ha attirato a sé le critiche di tanta gente, certo, ancora legata alla concezione più vetusta dell’argomento, ma anche l’ammirazione e, perché no, l’invidia da parte di una diversa fetta di utenza.

Tali persone sono finite col diventare dei veri e propri personaggi “famosi”, una sorta di modello da imitare, amare e seguire. Accade così che la figura del nerd assume diverse accezioni, grazie a un lavoro nuovo e del tutto inaspettato.

Diventa, in questo modo, una sorta di sogno che si avvera: lavorare – nel caso di chi vi parla, scrivendo – utilizzando le proprie passioni come tramite. Un vero e proprio successo, per chi ci riesce, un modo piacevole per sferrare un bel calcio rotante che vuole significare, in fin dei conti, un bel “ce l’ho fatta, a modo mio”. Non tutti però riescono a intraprendere questa strada con successo: così come per tutto il resto delle cose, vuoi per talento, predisposizione o, perché no, una dose di fortuna più pronunciata – che non guasta mai – c’è chi riesce ad affermarsi in modo diverso rispetto ad altri.

Seppur con le dovute conseguenze si finisce col fare della passione per i videogiochi un lavoro vero e proprio, ma attenzione a sottovalutare la cosa: spesso e volentieri, dietro al giornalista videoludico c’è un lavoro duro svolto per anni, sui libri di scuola prima e sul campo poi, e per nessun motivo al mondo questa cosa va ignorata.

Per scrivere di videogiochi, per farne la propria realtà, non basta essere appassionati: chi vuole sfondare in questo settore sa di dover dare come e più che in altri, ma ovviamente, se oltre alla competenza vi è una grande passione mai doma, questo non può che essere un enorme punto a favore.

Appare così evidente che, oggi più di ieri, nonostante a livello economico la realtà editoriale videoludica sia sempre meno conveniente, che essere un giornalista di videogiochi sia diventata una cosa “fighissima”.

Chi scrive di videogiochi riesce ad attirare su di sé una discreta attenzione mediatica, che aumenta man mano che si sale di grado all’interno del proprio sito o giornale o semplicemente facendosi conoscere sempre di più. Non stupisce quindi vedere orde di ragazzini (ma non solo) rincorrere il redattore di turno per scattare una foto insieme, come non stupisce vedere questi ultimi ospiti a programmi televisivi, radiofonici e tanto altro.

I videogiochi, insomma, hanno cambiato chi nei videogiochi ha sempre creduto e investito il proprio tempo… ma è anche il contrario.

Poco sopra, vi parlavamo di “strade alternative” per poter entrare ufficialmente nel mondo dell’informazione videoludica o comunque per rendere la passione per i videogiochi un vero e proprio lavoro e fonte di guadagno.

Ci riferiamo, in tal senso, alla figura dello streamer o del videomaker. Che sia su Twitch o su YouTube, l’idea di raccontare un gioco mentre effettivamente lo si gioca, di analizzarlo e condividerlo con i fan si è rivelata rivoluzionaria. Qui però è doveroso sottolineare la differenza tra giornalisti e streamer (e videomaker), che spesso però si rivela essere più esigua di quanto si potrebbe immaginare: alcuni noti youtuber (vedi Sabaku no Maiku), hanno avuto la capacità di elevare il proprio lavoro fino a diventare dei veri e propri guru dell’informazione, non avendo nulla da invidiare alle migliori testate giornalistiche di riferimento; altri, invece, sono passati da YouTube o Twitch al mondo del giornalismo videoludico vero e proprio. Ovviamente ricordiamo sempre che tra il vero e proprio giornalista videoludico e lo youtuber o il twitcher c’è una forte differenza: i primi puntano a informare, i secondi a intrattenere.

Non a tutti riesce, certo, di sfondare nel suddetto campo, ma questo è soltanto un altro esempio di come la passione per il videogioco sia diventata un lavoro come un altro, anche migliore di altri, seppur con le dovute premesse.

Nonostante sia magnifico (il sottoscritto si reputa più che fortunato per esser entrato nel settore, sia chiaro), questo lavoro non fa certamente per tutti.

Il giornalismo videoludico italiano sta vivendo un momento di grande difficoltà, soprattutto sul lato economico, e contare di poter fare della passione per videogiochi il proprio unico lavoro è sempre più difficile. Non tutti, infatti, riescono ad arrivare a toccare quell’apice, e spesso capita anche che, a un certo punto del viaggio, si decida di cambiare lavoro o addirittura settore. Un tristo epilogo, ovviamente, specie se si considera la genesi di un lavoro spinto prima di tutto dalla passione, se vogliamo per alcuni fanciullesca e “giovanile” che col tempo è costretta a scontrarsi con la dura legge della realtà.

In fin dei conti, quindi, probabilmente, consigliare di intraprendere questa strada è un’arma a doppio taglio. Il rischio di delusioni continue e fallimenti vari è dietro l’angolo ma, credeteci, scrivere di videogiochi è veramente un gran bella cosa!

 

Salvatore Cardone

Scrivo, cucino, mangio. Spesso contemporaneamente. Necessito di più mani.

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