Editoriale

Videogiochi e solitudine

Aristotele disse che l’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società, non solo per cause materiali, ma soprattutto dal fatto che, come individuo singolo al di fuori della comunità, l’uomo non potrebbe mai realizzare la sua più intima natura, cioè lo sviluppo e l’esercizio della ragione¹. La socialità è la condizione per esprimere la propria personalità, di conseguenza l’uomo ha necessità di stare con gli altri, anche se di fondo vi è una ragione di soddisfare i propri bisogni, egoisticamente. Appurato che la socialità è fondamentale nell’uomo, a volte tendiamo a stare in solitudine (in questo caso voluta, vedremo più a fondo) perché ne sentiamo il bisogno e ci circondiamo di prodotti d’intrattenimento: libri, serie tv, film e videogiochi. Tutti questi sono da considerare mezzi, che sicuramente potremmo reputare cultura o arte, ma principalmente svolgono la funzione d’intrattenere il fruitore. Prima di tutto sfatiamo un mito: la maggior parte dei videogiochi coinvolgono attività sociali, come stare online con altri, guardare i propri amici o figli giocare o partecipare a titoli multigiocatore in locale². Il problema si crea quando ci isoliamo per usufruirne e rimaniamo soli, tuttavia è sbagliato?

Foto di Jean Yves Lemoigne

Il cervello, nonostante sia in continuo risparmio energetico per non esplodere, ha bisogno continuo di stimoli: non può rimanere con le mani in mano altrimenti avrebbe allucinazioni e si creerebbero gravi problemi cerebrali³. A molti sarà sicuramente capitato di prendere in mano lo smartphone mentre si trovava in fila e la stessa cosa può accadere con i videogiochi: giocare perché si ci sta annoiando, trovarlo più come un passatempo che come strumento con cui si riflette, che a volte è utile per staccare la spina dalla routine quotidiana. Tuttavia, la maggior parte delle volte giochiamo per motivazione intrinseca e quindi per puro piacere di farlo e, sopratutto nei giochi in singolo, si sente la necessità di stare soli per provare maggiore climax emotivo e vivere la storia in maniera più intima. Nei titoli multigiocatore si può creare una squadra con amici virtuali o conosciuti nella vita reale, ma si crea comunque una barriera filtrata dallo schermo e manca il contatto fisico, il poter guardarsi negli occhi. Anche se, come dimostra lo studio di McMillan e Morrison del 2006⁴, le persone sono più propense ad aggregarsi con persone già conosciute. Non vogliamo assolutamente demonizzare i videogiochi multigiocatore in cui si conoscono persone nuove, poiché in questo modo si può creare una rete di amici più ampia e a volte può davvero salvarci.

Foto di Jean Yves Lemoigne

La difficoltà la possono trovare i genitori che scoprono i propri figli chiusi in stanza a giocare e si preoccupano (non analizzano il problema in sé, demonizzando solamente il mezzo), adolescenti, ma anche adulti, che non riescono ad accettare (non che sia semplice) i propri problemi e si rifugiano in esperienze alienanti per non affrontarle, tuttavia sanno che ciò non li fa sentire bene con se stessi. Innanzitutto, risulta imprescindibile compiere una distinzione fra le due tipologie di solitudine e la lingua inglese ci viene in aiuto con le parole “alone” e “lonely”. Entrambi possono essere tradotti con “solo”, ma acquistano sfumature di significato differenti: 

  • alone è la concreta e oggettiva assenza di persone
  • lonely è uno stato d’animo (“mi sento solo”).

“Alone” è possibile dividerlo a sua volta in:

  • solitudine voluta (ho deciso di stare da solo a giocare perché mi piace, mi fa stare bene, conosco e accresco me stesso).
  • solitudine imposta (in alcuni casi può essere dovuto alla prigionia et similia o a fattori psicologi personali che bisognerebbe comprendere fino in fondo, poiché, alcuni, rimangono chiusi davanti allo schermo perché non capiscono e/o non accettano i problemi interiori e non fanno nulla per gestirli).

Si rimane da soli un po’ per colpa degli altri (amici che non ci soddisfano, persone con cui ci costringiamo a rimanere, individui che giudicano il nostro operato e le nostre apparenze), un po’ per colpa di sé stessi (difficoltà nel socializzare, ansia sociale…). I videogiochi, come già scientificamente dimostrato, non distruggono l’empatia⁵, quindi la causa della solitudine è dovuta ad altri fattori. Il disagio si crea quando si è costretti da se stessi a rimanere in solitudine controvoglia, non riuscendo a creare ambienti sociali nella vita reale e non esprimendo la propria personalità, creando effetti a cascata per la vita privata, lavorativa e, appunto, sociale. L’ideale è di equilibrare la propria vita sociale con quella in solitudine. Sicuramente non è semplice arrivare al punto ideale, nessuna fretta: un passo alla volta. Ai miscredenti, a tutti coloro che trovano nel videogioco un capro espiatorio, “lo strumento che ha reso mio figlio da solo, apatico”, è necessario educarli nella comprensione che il videogioco è un mezzo (continuare a ribadirlo è il primo passo) e un’attenta e autentica apertura nei confronti della persona che presenta alcuni disagi sarebbe l’ideale e la soluzione più semplice è di chiedere cosa prova, come si sente mentre fa uso di videogiochi. In conclusione , un piccolo promemoria: la solitudine non è in sé qualcosa di sbagliato, è il luogo in cui allontanarsi dalla vita quotidiana: può diventare il luogo di ricerca interiore di se stessi (e il momento in cui si platinano i giochi).


Fonti:

1 – Luca Guidetti, Giovanni Matteucci, Le grammatiche del pensiero, Zanichelli, 2018

2 – Randy Kulman, My child prefers video games to friends, Additude

3 – Vsauce –  Isolation Mind Field (Ep 1)

4 – Sally J. Mcmillan, Margaret Morrison, Coming of age with the internet: A qualitative exploration of how the internet has become an integral part of young people’s lives

5 – Le scienze – I videogiochi violenti non riducono l’empatia 

6 -Psiconalisi e Scienza – La solitudine

Giulio Baiunco

Cresciuto ad arancini, Playstation 1 e Windows '98, viene attratto dai picchiaduro e dai platform. Venera la narrazione dal momento in cui ha conosciuto il Killer degli Origami.

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