Possiamo definire Pac-Man un videogioco, ma non c’è niente di più sbagliato nel definire Pac-Man solo un videogioco. Pac-Man è un icona culturale, la prima e la più importante proveniente dal mondo dei videogiochi. Se volessimo rappresentare il medium videoludico attraverso un simbolo o un artefatto riconoscibile dalla massa, la scelta dovrebbe ricadere sull’iconica faccina gialla.
Cerchiamo di capire oggi, a 40 anni esatti di distanza, i motivi che hanno reso Pac-Man il classico che tutti, non solo i giocatori, riconoscono.
Verso la fine degli anni ’70 il medium videoludico aveva da poco superato la sua fase embrionale, eppure aveva già dato origine ad alcuni stereotipi ancora oggi di grande attualità. L’utenza videoludica era esclusivamente rappresentata da bambini e adolescenti di sesso prevalentemente maschile, dato che i “giochini elettronici” toccavano tematiche cupe, violente e di natura apocalittica che non sembravano attrarre il pubblico femminile: creature mostruose da affrontare, avamposti da bombardare o alieni da sconfiggere. Questi preconcetti non passarono inosservati a Toru Iwatani, ventenne game designer presso Namco Ltd, la casa software giapponese divenuta famosa per Galaxian (conosciuto dalle nostre parti come Galaga). Iwatani voleva realizzare un gioco arcade che potesse allargare il bacino di utenza, preferibilmente formato da un pubblico più eterogeneo, tramite un gameplay basato su azioni meno belligeranti e più legate alla vita quotidiana. Come…mangiare! Un’idea nata non per caso, dato che prese forma nella mente del giovane autore durante una cena tra amici, osservando la pizza nel suo piatto a cui mancava uno spicchio. La visione della nostra celebre pietanza ispirò Iwatani anche per l’aspetto del rotondo protagonista di colore giallo che, per poter progredire nel gioco, doveva ingerire puntini luminosi disseminati all’interno di un labirinto.
Completavano il quadro un affiatato team di avversari composto dai celebri fantasmi Blinky, Pinky, Inky and Clyde ed i bonus, le quattro pillole che avrebbero reso temporaneamente vulnerabili (leggasi: commestibili) i nostri antagonisti. Inutile dire che i vertici di Namco accolsero con entusiasmo l’idea di un gioco dal design così innovativo.
Lo studio attento delle azioni avversarie acquisiva un ruolo centrale per il proseguimento del gioco. Si trattava di un approccio inedito al gameplay, dato che fino a quel momento i videogiochi richiedevano soltanto una buona prontezza di riflessi. Ogni fantasma alternava tre differenti pattern d’inseguimento e adottava contromisure durante la fase di bonus dato dalle pillole, i primi power-up della storia dei videogiochi (se volete saperne di più, questo esauriente articolo fornisce tutto sul comportamento di Blinky e compagnia). Inoltre Iwatani inserì per la prima volta scene d’intermezzo all’interno di un videogioco.
Poco più di un anno dopo quella famosa cena, il 22 maggio del 1980, il gioco venne pubblicato in Giappone con il titolo di Puckman, che venne successivamente rinominato per il mercato occidentale in Pac-Man, per evitare il facile storpiamento in Fuckman. La scelta del titolo (e del personaggio) è legata alla parola “paku” che per i giapponesi rappresenta il suono onomatopeico della masticazione di cibo, come “gnam” per l’italiano o “chomp” per l’inglese.
Il lancio in Giappone non sortì l’effetto sperato e la timida reazione del pubblico del Sol Levante venne replicata nei confronti di un altro titolo pubblicato da Namco alcuni mesi dopo, ovvero Rally-x. Oltre allo stesso publisher quest’ultimo aveva in comune con Pac-Man le principali meccaniche di gioco: un automobile doveva muoversi lungo un labirinto raccogliendo bandierine, inseguita da altre automobili di diverso colore. Uno scenario accattivante che aveva catturato buona parte dell’interesse degli investitori americani durante un evento sponsorizzato dalla Amusement Machine Operators of America (quell’anno vennero mostrati altri classici come Battlezone e Defender). Ma il pubblico americano la pensava diversamente, poiché aveva ben compreso la profondità del design di Pac-Man rispetto al seppur ottimo Rally-x. Il cugino motorizzato presentava infatti un’intelligenza artificiale basilare, in cui gli avversari comparivano dal nulla e si mettevano semplicemente sulla scia dell’auto manovrata dal giocatore.
Namco piazzò negli Stati Uniti più di 300.000 cabinati dedicati al celebre mangiapuntini e nel 1982 il gioco in versione coin-op fruttava circa otto milioni di dollari a settimana. La popolarità di Pac-Man cresceva a dismisura e catturò, come previsto da Iwatani, l’attenzione del pubblico femminile. I videogiochi divennero un fenomeno di massa e Pac-Man, naturalmente, varcò i confini del medium videoludico. Il cosiddetto fenomeno della “Pac-mania” aprì le porte al merchandising che comprendeva gadget, indumenti, giochi di carte, da tavolo, oggetti d’arredamento e persino una serie a cartoni animati prodotta da Hanna & Barbera. Nel 1982, un certo Jeffrey R. Yee, di appena 8 anni, ricevette addirittura una lettera di congratulazioni dal Presidente Ronald Reagan in persona, per aver realizzato il record mondiale di Pac-Man, totalizzando 6.131.940 punti e completando tutti e 256 i livelli di gioco. Anche se il gioco era potenzialmente infinito il livello 256 era infatti affetto da un bug che introduceva alcune anomalie che rendevano impossibile il completamento.
Nel 2015, il personaggio di Pac-Man è stato anche uno dei protagonisti di Pixels, ennesimo inutile e dimenticabile film basato sui videogiochi.
Ma c’è chi dietro a quell’esilarante figura a forma di pizza ha notato alcuni aspetti inquietanti. Nel saggio “Dots, Fruit, Speed and Pills: The Happy Consciousness of Pac-Man”, il ricercatore Alex Wade paragona l’esperienza di gioco di Pac-Man al labirinto di Jorge Louis Borges, allegoria ricorrente nelle opere dello scrittore argentino che esprime la complessità del mondo che ci circonda: un “edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine”. Se le illusorie vie d’uscita non sono altro che ingressi in altre zone dello stesso schema, i suoi percorsi ad angolo retto celano una visione globale, limitando il pensiero razionale. Un’altra interpretazione vede in Pac-Man una metafora del consumismo, dove il protagonista rappresenta il prototipo dell’acquirente odierno, intrappolato in un ciclo di consumo compulsivo senza fine.
Forse l’accostamento negativo più diffuso è quello legato alla droga e alle dipendenze in senso generale. A partire dal concept di gioco di Pac-Man che tende, ancora oggi, a creare una certa assuefazione. Provate il Doodle dedicato a Pac-Man per il suo trentesimo anniversario, per rendervi conto di quanto sia fresco, coinvolgente, per non dire magnetico, il gameplay ancora oggi. Gran parte dei “meriti” sarebbero da attribuire anche all’ipnotico effetto sonoro “wacka wacka” durante l’ingestione dei puntini. Altri vedono in Pac-Man la storia di un tossicodipendente alla ricerca di pillole, alcune delle quali, quelle del power-up, dovrebbero portare ad un viaggio lisergico in grado di sconfiggere (temporaneamente) ansie e paure.
Su questo tema interviene scherzosamente il comico inglese Marcus Brigstocke, mettendo a confronto il gioco con la cultura rave, legata alla diffusione dell’ecstasy: “Se Pac-Man ci avesse influenzati da bambini, saremmo tutti in giro in stanze buie, sgranocchiando pillole e ascoltando musica elettronica ripetitiva.”
Troppa dietrologia? Probabilmente sì. Tuttavia, se da un lato Iwatani è riuscito ad abbattere alcuni stereotipi, dall’altro potrebbe aver contribuito a crearne uno, il peggiore di tutti, ovvero il dibattuto pregiudizio legato alla dipendenza ed ai disturbi psicologici causati dal videogioco.
Pochi anni dopo il lancio del coin op Pac-Man entrò di prepotenza nel mondo dell’intrattenimento domestico. Si contavano decine di porting, tra cui la tristemente nota conversione per Atari 2600. I limiti tecnici dell’hardware portarono sulla prima console domestica della storia una rozza versione cubettosa e sgradevole dal punto di vista cromatico che ricordava solo lontanamente il capolavoro di Namco. Anche il minimale comparto sonoro produceva solo effetti fastidiosi. Delle dodici milioni di copie realizzate, cinque rimasero invendute, un fiasco commerciale che avviò la ben nota crisi dei videogiochi del 1983. In seguito l’universo di Pac-Man venne ampliato da altri titoli e spin-off come Ms. Pac-Man, una sorta di more of the same al femminile realizzato dal publisher americano Midway ma non autorizzato da Namco. Una favolosa variante sul tema era rappresentata da Pac-Land, platform 2D a scorrimento, ispirato al cartone animato. Iwatani lo incoronò come miglior gioco basato sul personaggio da lui creato e pare che Myiamoto una volta gli avesse confessato di aver utilizzato alcune idee di Pac-Land per la creazione di Super Mario Bros. Successivamente vennero realizzate alcune riedizioni del classico titolo con nuove vesti grafiche e nuove visuali, isometriche e tridimensionali. Non mancavano giochi fortemente ispirati come Amidar, interessante connubio tra Pac Man e Qix (leggendario antenato di Galpanic), Bomb Jack, celebre variante in salsa platform e cloni spudorati come Gobbler o Jelly Monsters per Vic 20. Negli anni ’80 la stampa specializzata coniò il genere maze videogame, ovvero giochi ambientati in un labirinto, dal quale uscirono altri titoli iconici come quelli appartenenti alla saga di Bomberman. Al di là del genere, tutti i giochi dall’aspetto spassoso, dai contemporanei Frogger e Pengo, ai classici delle generazioni successive come Bubble Bobble, Rainbow Island e Pang! non sarebbero mai esistiti senza la seminale opera di Iwatani.
Ma l’eredità di Pac-Man ha lasciato segni evidenti anche sul medium videoludico moderno. Come spiegato in precedenza, non è essenzialmente un gioco basato sulla prontezza di riflessi. Se il giocatore medio tende a stare il più lontano possibile dai fantasmi, l’esperto impara i pattern avversari per adottare una soluzione di tipo stealth. E’ un metodo efficace e l’unico per poter progredire nei livelli successivi, laddove un approccio casual non lascia scampo dinanzi alla crescente frenesia del gameplay. Perché, in sostanza, i livelli successivi non erano altro che lo stesso schema a velocità aumentata. Osservando il contenuto sottostante, che riporta il video integrale del record assoluto della classica versione arcade, potete comprendere l’enorme influenza di Pac-Man sui giochi stealth come i titoli della saga di Metal Gear Solid e affini.
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