Monografia

Sangue degli dei: la storia di God of War

A distanza di tredici anni dall’uscita del primo capitolo non è difficile capire l’incredibile successo della saga di God of War, una serie capace di vendere complessivamente circa 25 milioni di copie e ormai vera e propria icona del marchio PlayStation. Parliamo d’altronde di titoli action dal concept geniale, dove veniamo catapultati a combattere e massacrare divinità di ogni tipo e dimensione, sconfinando in scontri talmente grandiosi ed epici da fare invidia a molti dei blockbuster cinematografici più recenti.

Dovreste giocare God of War perché vi stenderà – Richard Foge, God of War combat designer.  The making of God of War.

La storia della serie risulta però lunga e tortuosa, come l’ascesa al Monte Olimpo del terzo capitolo, e scorre attraverso ben sei episodi, sparsi su tre piattaforme e tutti volti a trasporre un momento differente della problematica esistenza del tormentato Kratos. Il nuovo God of War è quindi solo il punto di arrivo di un percorso decennale, partito su PS2 nell’ormai lontano 2005. Cosa si cela dunque dietro una delle produzioni più titaniche della storia del videogioco? Scopritelo nel nostro speciale!

God of War – PlayStation 2 (2005)

C’erano già moltissime meccaniche di gameplay nei miti greci, pronte per essere utilizzate. La testa di Medusa, ciclopi da combattere e i fulmini di Zeus sono solo alcuni esempi. Quel mix, combinato con il mio amore per il materiale, mi ha fatto capire che quello era ciò che dovevamo fare. Dovevamo fare questo gioco.  – David Jaffe, God of War director. The making of God of War.

Se c’è una persona in particolare la quale dobbiamo ringraziare per la nascita di God of War, quella è David Jaffe. Il director californiano, ideatore del concept originale, ha difatti plasmato un titolo storico, affiancando un gameplay action solido ed appagante alla mitologia greca, da sempre fonte interminabile di contenuti artistici e narrativi, spesso entrati nell’immaginario comune e quindi non troppo difficili da comunicare e rappresentare (vedi Iliade ed Odissea).

Ci troviamo dunque nei panni di Kratos, guerriero spartano furioso con Ares – con il quale aveva stretto un patto di sangue – e pronto a fare di tutto per dimenticare il suo drammatico passato, compreso servire i tanto disprezzati dei dell’Olimpo. Dopo aver ucciso l’ Idra (tipico prologo mozzafiato che diventerà costante nella serie), veniamo mandati a salvare Atene dalle truppe del dio della guerra. Stop. Questo è tutto ciò che sappiamo fino alla metà dell’avventura, semplicemente perché non serve sapere altro. La narrazione, per quanto ben gestita e coerente nella sua semplicità, specialmente nella gestione del personaggio principale, non fa infatti che da contorno allo splendore ludico dell’esperienza, un perfetto mix di combat system, fasi puzzle e incredibile meraviglia tecnica.

Kratos non è stato sempre stato lo stesso. Ecco parte dell’evoluzione del suo concept

Il sistema di combattimento si presentava al pubblico come una sorta di compromesso tra deriva hardcore e casual, tanto fluido e accessibile quanto sfaccettato e vario, abbastanza valido da tener testa al granitico standard del tempo, ovvero il Devil May Cry 3 di Capcom. Al contrario del titolo di Kamiya, Sony Santa Monica preferisce invece  sacrificare una maggiore profondità d’azione, in favore di script, spettacolarità e sano button mashing ; allo stesso tempo strizza tuttavia anche un occhio ai giocatori più severi, infarcendo il sistema di meccaniche di parry, cancel e modalità rage, piuttosto essenziali per procedere nelle fasi avanzate del gioco.

If you like to kill freaky things with your giant serrated knives, you’ll love the s*** out of this.- Recensione di IGN.com

Combattere però non serve a nulla senza un qualcosa da uccidere, cosa che non risulta un problema dato che la mitologia greca ne è piena, garantendo una varietà di nemici da capogiro. Con le Lame del Caos squartiamo, mutiliamo, sgozziamo e decapitiamo, con animazioni contestuali da far impallidire Mortal Kombat, decine e decine di nemici differenti; dai minotauri ai ciclopi, dalle arpie alle gorgoni, fino ad arrivare alle splendide boss fight con Ares e l’Idra, tutti passano per la furia sanguinario di Kratos, il fantasma di Sparta. Dozzine di creature inondano perciò lo schermo, con una curva della difficoltà mai troppo gentile, tesa a mettere alla prova l’abilità del giocatore nello sfruttare magie e mosse special (utilizzabili con i dorsali del pad).

Vi ricordate di questo bestione?

In ogni caso, per quanto il materiale originale fosse allettante, Jaffe e soci non si limitarono esclusivamente a fare un mero copia e incolla del folto catalogo della mitologia, ma cercarono di applicare un carattere unico ed originale ad ogni personaggio e ambiente presentato. Lo stile plastico, saturo e sopra le righe dato ad ogni elemento dell’opera si rispecchia infatti in ambienti mozzafiato e creature inquietanti, il tutto coadiuvato da un avanzatissimo comparto tecnico, top di gamma della generazione PlayStation 2, dove stupivano in particolare la profondità di campo e i brevissimi tempi di caricamento.

Caratteristica della produzione era anche la saggia scelta di implementare una telecamera cinematografica (non gestita dal giocatore), pronta ad evidenziare gli elementi topici e a sottolineare scorci per l’epoca mozzafiato, senza perdersi nei problemi di approcci più dinamici.  La cura posta nel dettaglio artistico viene inoltre ritrovata anche nel level design del titolo, abbastanza intricato da rendere l’intera seconda metà del gioco un gigantesco rompicapo da risolvere (tra un combattimento e l’altro, si intende).

SAPEVATE CHE?: Le ali di Icaro, meccanica del secondo capitolo provengono in realtà da un prototipo avanzato del primo capitolo. Non si butta niente in Santa Monica, come vedremo anche più avanti.

God of War II – PlayStation 2 (2007)

I really wanted players to experience that being cut down to size, that fall from grace – Cory Barlog, director di God of War II. The Making of God of War II.

Marzo 2007. Playstation 3 è stata appena rilasciata in Nord America e Giappone, siamo a un paio di settimane dal lancio in Europa, l’intera community scalpita per la nuova generazione, una generazione che avrebbe portato un salto tecnologico impensabile per l’epoca, sdoganando una volta per tutte i network di gioco. Eppure in questo frangente di transizione accade qualcosa di inaspettato, quasi incredibile: Sony Santa Monica decide di ignorare – per il momento – PS3 e regala alla veneranda PlayStation 2 un maestoso canto del cigno: niente di meno che il tanto atteso God of War II,  diretto sequel di quel capolavoro del 2005.

Qual è il motivo di una scelta del genere? Le cause in realtà sono molte, in primis la base installata (120 milioni di unità), che avrebbe garantito cospicue vendite, in secondo luogo la conoscenza dell’hardware, ormai completamente sviscerato di ogni segreto. La scelta di evitare di spendere troppe risorse sulla comprensione di nuovi kit di sviluppo permise allo studio californiano di concentrarsi sul perfezionamento della formula originale, in un more of the same all’ennesima potenza che, a parere di chi scrive, si è dimostrato essere la migliore iterazione della serie.

 

Parlavamo di prologhi spacca mascella vero?

Procediamo però con ordine. God of War II inizia la sua epopea con un Kratos dio della Guerra, carica ottenuta dopo aver aperto il vaso di Pandora e avere massacrato Ares, antagonista principale dell’avventura precedente. Il guerriero spartano ha però perso il senno, corrotto nella sua furia, e gli dei non sono in grado di contenerlo. A seguito di un incipit fuori di testa, in cui il giocatore si scontra con il famoso Colosso di Rodi (sì, una delle sette meraviglie del mondo antico), il fantasma di Sparta viene ucciso da Zeus, per motivi che verranno meglio spiegati nel capitolo successivo.

Duro a morire, Kratos fugge dall’Ade e si dirige alla ricerca delle Parche, in modo da modificare il suo destino e prevenire la sua morte. Si configura quindi una storyline più concreta e drammatica, ricca di colpi di scena, dove gli dei capricciosi vengono rappresentati in tutta la loro cupidigia, un topos (tratto tipico) che si riscontra in quasi tutti i poemi classici, in particolare omerici.

Just think of how many ways you can kill someone – Sean Gilley, Senior Animator di God of War II. Making of God of War II.

Passando invece al gameplay vero e proprio, God of War II perfeziona in ogni aspetto l’eccellenza del predecessore, andando a ritoccare in particolare la fluidità del giocato. Le fasi puzzle e platform sono ora infatti più immediate e meno tediose, evitando fastidiosi trial and error che spezzavano il ritmo dell’azione. Pad alla mano, la differenza tangibile sta tutta però nelle animazioni, rifinite qui in maniera maniacale, con eventi contestuali crudi e brutali, elaborati meticolosamente per favorire l’immersione (e la soddisfazione) del giocatore.

Tra tutto questo, si aggiungono al sistema di combattimento alcune nuove magie, quasi tutte reskin delle quattro già viste, e il vello d’oro, oggetto legato al mito degli Argonauti che introduce il binomio parry- contrattacco nella serie. La volontà di osare poi non manca nemmeno in Santa Monica, nuove di zecca sono infatti le sezioni in volo su Pegaso e l’aggiunta dell’abilità di planata con le ali di Icaro, meccaniche molto grezze ma comunque apprezzate al tempo dalla critica internazionale.

Dove però l’opera di Cory Barlog (director anche del capitolo in uscita nei prossimi giorni) stupisce di più è ancora una volta il lato tecnico, frutto della grande esperienza maturata dal team sulla console. Gli ambienti sono difatti più estesi, ma anche più vari. Si passa da ambienti nevosi a caverne immerse in materiale organico (avete capito bene), da boschi a splendidi giardini, fino ad arrivare agli splendidi luoghi sacri tipici del mito greco. Dopo tutti questi complimenti, che God of War sarebbe senza boss-fight spacca mascella?

In questo il titolo certo non delude, proponendo boss e mid-boss di grande caratura, anche se non estremamente complessi da abbattere. Il primo a cadere è il Gigante di Rodi, seguono Kraken e Parche, per poi concludere con Zeus, il re dell’Olimpo; cosa volere di più? Su questo versante probabilmente solo God of War III avrebbe raggiunto livelli superiori, al netto tuttavia di un salto generazionale.

SAPEVI CHE?: Oceano, titano mutaforme e completamente basato sull’acqua, fu tagliato dalla versione finale di God of War II per poi riapparire in God of War III. Avete presente? Vi ricorda qualcuno? Sì, è proprio il Poseidone del prologo!

 

God of War: Chains of Olympus – PlayStation Portable (2008)

&

God of War: Ghost of Sparta – PlayStation Portable (2010)

Il combattimento, il level design, il gore, il sesso e la mitologia sono tutti qui — sebbene in una forma leggermente ridimensionata. – Recensione di Gamespot.com di Chain of Olympus

Come ogni grande saga che si rispetti, God of War non poteva passare indenne dal trattamento spin off, in questo caso entrambi (se si esclude un titolo mobile) rilasciati su PlayStation Portable, l’ormai defunta portatile di casa Sony. Chain of Olympus prima e Ghost of Sparta poi furono sviluppati, uno di seguito all’altro, da Ready at Dawn, il team di Andrea Pessino noto per Deformers The New Order:1886, esclusiva PlayStation 4 uscita nel 2015.  Il primo dei due si posizionava nel 2008, il secondo nel 2010, con God of War III lo stesso anno; in pratica c’è stato un felice periodo in cui avevamo quattro episodi della saga in quattro anni, mica male.

Nonostante quindi le tempistiche molto strette, Ready at Dawn riuscì nell’impresa di riprodurre fedelmente il feeling delle versione console anche su PSP, sviluppando, secondo molti, il miglior gioco a livello grafico sulla piattaforma. I moveset e il funzionamento del combat system rimangono infatti più o meno gli stessi anche in questi spin off, senza particolari stravolgimenti, permettendo al giocatore di sperimentare la stessa esperienza che viveva sul divano di casa.

Ciascun cambio ai controlli è stato implementato in maniera fantastica e non vi mancherà nessuno dei pulsanti mancanti. – Recensione di IGN.com di Chain of Olympus

Da questo punto di vista il fatto che la serie non avesse mai avuto una telecamera dinamica si rivelò alla fine una benedizione;  dopotutto su PlayStation Portable mancava lo stick analogico destro, in God of War utilizzato fortunatamente solo per la gestione delle schivate, laddove di solito viene impiegato per il movimento della visuale. Per sopperire alla mancanza dello stick e dei tasti trigger (L2/R2) lo studio di Pessino fu perciò forzato ad introdurre un nuovo schema di comandi, dove il dodging e le magie venivano controllati tramite una combinazione dei tasti dorsali (L/R), soluzione che si rivelò intuitiva e funzionale all’azione.

Tuttavia, mettendo da parte le tante caratteristiche in comune, Ghost of Sparta si rivelò essere sensibilmente più coraggioso del predecessore, sia per quanto riguarda lo sviluppo diegetico, sia per quanto riguarda il gameplay.

Dove infatti Chain of Olympus venne criticato per l’assenza di novità e la mancanza di boss fight significative, Ghost of Sparta presentava un sistema di combattimento in parte ritoccato e diverse boss fight di buon livello, come Scilla, il famoso mostro affrontato da Ulisse nell’Odissea. Ad offrire nuova linfa agli scontri erano poi le armi di Sparta, una lancia e uno scudo, ovvero le armi originali di Kratos quando era ancora un generale spartano. Queste costituivano un’alternativa valida alle lame di Atena, rendendo possibile applicare un approccio melee (con lo scudo come arma da impatto) e uno a lungo raggio (con la lancia).

Per quanto concerne invece la narrazione, i due titoli sono piuttosto lontani tra loro. Chain of Olympus vede Kratos lottare per gli dei poco prima degli eventi del primo God of War, dopo aver infranto il suo patto di sangue con Ares (fatti di Ascension). Nel tentativo di salvare Elio (dio del Sole), improvvisamente sconfitto, andrà incontro a una particolare rivisitazione dei fatti della titanomachia (una parte dell’epica greca), scontrandosi con il piano di vendetta di Desdemona e Atlante.

Ghost of Sparta sembra anche essere la più intima storia nella serie, umanizzando Kratos in modi prima solo accennati nei giochi precedenti – Recensione di Ghost of Sparta di Destructoid.com

Ghost of Sparta nella timeline è invece posizionato poco dopo la morte di Ares da parte di Kratos, che, nonostante il potere accumulato, è ora tormentato da alcune questioni familiari irrisolte, relative a un passato ancora più remoto rispetto alla tragedia che ha colpito sua moglie e Calliope, sua figlia. Il nostro eroe si dirige dunque ad Atlantide in cerca di sua madre, la ninfa Callisto, la quale poi è costretto a uccidere. Tuttavia la ninfa, prima di morire, affida a Kratos la missione di ritrovare Deimos, nientepopodimeno che suo fratello. Ebbene sì, il fantasma di Sparta ha un fratello, catturato da Ares e affidato alla “cura” di Thanatos (il dio della morte) in età ancora infantile.

E’ facile da questo punto capire l’evolversi della vicenda, con momenti di vera e propria family reunion strappalacrime: un tentativo, quasi esplicito, di dare maggior caratterizzazione al protagonista della serie, tendenza in realtà già introdotta dal secondo capitolo principale e purtroppo banalizzata in God of War III.

SAPEVI CHE?: Atlantide, uno dei setting di Ghost of Sparta, era uno degli ambienti previsti per God of War II, ma venne alla fine esclusa dal prodotto finale.

P.S. Tranquilli, in entrambi ci sono ancora i minigiochi sexy. 😉

God of War III – PlayStation 3 (2010)

God of War III marks the finale to Kratos’ search for revenge and properly caps off a trilogy that ranks near the very top of the best action games ever list. – Recensione di IGN.com

Se God of War ha inaugurato la formula e God of War II l’ha migliorata, allora il merito di God of War III è stato senza dubbio quello di sublimarla, elevando il materiale originale al suo punto di apogeo. L‘intera esperienza, pur rispettando l’eredità lasciata dal passato, sfonda ogni convenzione e costruisce quello che è a tutti gli effetti un orgasmo ludico, merito soprattutto delle nuove possibilità offerte dal salto su PlayStation 3.

Proprio dal punto di vista visivo infatti questo capitolo mostra tutto il suo potenziale, sfoderando ambienti dinamici e ad ampio respiro, come anche modelli più complessi e dettagliati, mostrati in tutto il loro splendore da un nuovo sistema di illuminazione e di effettistica. Sorvolando sui tecnicismi, è chiaro però che God of War III non nasconde certo la sua forza bruta, piuttosto la spara in faccia alle povere retine del giocatore, a partire dall’indimenticabile prologo.

Anche prima dei titoli di testa, questo è un gioco dove qualcosa sta sempre eruttando, dove dietro l’angolo troverai sempre qualcosa di più grande, più folle, più brutto, più bello. – Recensione di Eurogamer.net

L’epilogo dell’arco greco di Kratos inizia infatti in medias res, con il fantasma di Sparta pronto ad attaccare l’Olimpo con l’aiuto di Gaia e dei titani. Zeus però ovviamente non ci sta e scatena gli dei contro il suo stesso figlio (oops, spoiler), in una sequenza cinematografica da standing ovation. Lo scontro con Poseidone che segue – diviso in fasi come le altre boss fight del gioco – è probabilmente una delle sezioni più spettacolari mai portate su schermo, con nemici e alleati migliaia di volte più grandi del piccolo eroe greco, quasi una formica rispetto ai mastodontici eventi rappresentati: in questo modo i personaggi “titanici” smettono di essere semplici NPC e diventano dei veri e propri livelli.

Il proseguimento dell’intreccio, lineare quanto scontato, consente il ripetersi di situazioni di cotanto ben di Dio, assimilando una declinazione di brutalità che trascende la tradizione della saga. In maniera estremamente creativa si abbattono Ade, Ermes, Elio, Era, Efesto, Ercole, Crono ed infine Zeus, un numero di scontri che, nonostante la cospicua quantità, offre una grandissima varietà di approcci e situazioni, senza mai cadere (eccessivamente) nella banalità o nel già visto.

Certo, a fronte di un gameplay del genere sembra quasi strana l’evoluzione di Kratos nel gioco, all’insegna di una redenzione in fortissimo contrasto con quello che il guerriero effettivamente compie durante l’avventura. L’aggravarsi di questa contraddizione, misto a un finale non convincente e banale nella sua ricerca di moralità, costituisce forse l’unica grave pecca dell’intera opera, fortunatamente non tale da intaccare la qualità generale.

Tuttavia, oltre ad offrire stupefacenti boss fight, God of War III metteva sul piatto anche tutta una serie di nuove aggiunte, relative in primo luogo al combat system. Insieme all’ordinaria presenza di nuove combo e moveset, il sistema di prese fu completamente rivoluzionato, permettendo l’engage con cerchio per poi eseguire tre diverse azioni contestuali, a seconda della pressione di quadrato, triangolo o croce.

Come se non bastasse, la gestione delle armi secondarie subisce qui un deciso stravolgimento, mirato a renderle più utili e diversificate di quanto non fossero in passato. Le lame di Atena e le tre soluzioni alternative si legano nel gioco ognuna a un singolo tipo di magia, praticabile esclusivamente quando la relativa arma risulta equipaggiata. Due di queste, ovvero la Frusta di Nemesis e i Cestus di Nemea, risultano poi elementi essenziali per interagire con l’ambiente e risolvere le numerose (e variegate) fasi puzzle.

Mirate non solo all’interazione con l’ambiente, ma anche alla semplice offensiva, sono pure gli oggetti, aggiunta totalmente inedita di questa terza iterazione. La testa di Elio illumina le zone buie e stordisce i nemici; l’arco di Apollo funge da arma sulla lunga distanza e permette di bruciare le sterpi che bloccano il passaggio; gli stivali di Ermes, infine, aiutano principalmente a scalare le pareti verticali, sbloccando shortcut prima inaccessibili.

SAPEVI CHE?: Stan Lee, leggenda del fumetto Marvel, ha visitato gli studi di Santa Monica durante un walkabout del gioco nel 2008. Anche il buon vecchio Stan conosce God of War!

God of War: Ascension – PlayStation 3 (2013)

Dopo tutto, se le sue ultime cinque uscite ci hanno insegnato qualcosa, è che non importa se tu sia un demone, o un mostro, o persino un Dio, Kratos non ha problemi a soddisfare la sua sete di sangue staccandoti la testa. – Recensione di Gamespot.com

La saga di God of War ha da sempre ricevuto un univoco consenso di critica e di pubblico, quasi mai messo in discussione, nemmeno per i più deboli spin-off per PlayStation Portable. In questa sede ci troviamo però proprio ad analizzare God of War: Ascension, ovvero la pecora nera della serie di Sony Santa Monica, il cui insuccesso – vendette meno della metà delle copie di God of War III – può essere sicuramente additato alla necessaria stanca di un concept vecchio di un decennio e mai stravolto, incapace di reggere il confronto con i nuovi standard del genere, Bayonetta in prima linea. Vediamo quindi cosa non ha funzionato (e cosa invece sì) in questa ultima opera dello studio californiano.

Per evitare di forzare la linea degli eventi, vista la conclusione del terzo episodio principale, Ascension sviluppa il proprio intreccio come prequel di Chain of Olympus (prequel di un prequel, non ci pensate), con protagonista un Kratos che ha appena tradito il patto di sangue con Ares e per questo è vittima della tortura delle Furie, le personificazioni della vendetta. Dopo il solito, clamoroso prologo in cui lo spartano fugge dalla prigionia, la narrazione cerca di approfondire la figura del guerriero greco ben prima che questo diventasse il fantasma di Sparta, quando la magia dell’accordo con il dio della Guerra ancora riusciva a mascherare il senso di colpa della strage commessa.

In ogni caso , sebbene le premesse per una trama interessante ci fossero quindi tutte, la scrittura non riesce ad evolversi in un qualcosa di interessante, soprattutto per la mancanza di comprimari interessanti e veri e propri colpi di scena. La promessa caratterizzazione di Kratos viene poi purtroppo delegata esclusivamente ad alcune banali sequenze di intermezzo, per lo più eclissate dalle azioni brutali del protagonista.

Passando invece ad aspetti prettamente ludici, escludendo l’introduzione del drop delle armi dei nemici, la novità più importante di Ascension è sicuramente il multiplayer, elemento su cui Sony aveva puntato l’intera campagna marketing del prodotto. In gruppi da quattro o da otto si poteva dunque scegliere tra quattro modalità, dove ogni giocatore sceglieva una di quattro fazioni (Ares, Zeus, Ade o Poseidone) per poi ottenere pregi e difetti di tale classe.

It’s a genuinely fresh addition to the series that successfully carries over many of the hallmarks of the much-loved single-player. Players align with one of four Gods, which gift them different abilities.

La modalità più notevole risulta essere senza dubbio la Prova degli Dei (affrontabile anche in singolo), in cui due squadre si scontrano per ottenere il punteggio più alto (catturare basi, uccidere nemici ecc.). Non mancano però modalità skirmish e caccia alla bandiera, come non è assente nemmeno il più classico deathmatch.

La presenza delle classi ovviamente presuppone in ognuna delle fasi multiplayer un certo livello di strategia, ottenuta per mezzo di un combat system più lento e ragionato, dove vige un principio di carta – forbice – sasso (leggero vince su pesante, pesante vince su guardia) in cui la parry acquista un’importanza fondamentale. Peccato però per una progressione fin troppo veloce, troppo semplice per acquistare mordente sul lungo periodo.

 

 

Simone Di Gregorio

Da sempre cinefilo e videogiocatore, passioni di una vita e forza propulsiva nel quotidiano. Scrivo, guardo e gioco, ormai da 2 anni a questa parte. Responsabile sezione cinema.

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