Prima dell’annuncio di CD Projekt RED, prima persino del celebre gioco di ruolo carta e penna, il movimento Cyberpunk esisteva già, custodito gelosamente da una ristretta cerchia di cultori di una fantascienza molto particolare. Mai veramente stabilitosi come fenomeno di massa, questo mondo distopico ed oppressivo si appresta ad approdare presso il grande pubblico grazie a Cyberpunk 2077, il nuovo gioco ad opera dei creatori della serie di The Witcher: in onore di ciò, andiamo a dissotterrarne le radici.
Il 1982 segna un momento di svolta importante per la fantascienza nella sua accezione più ampia. Se da un lato muore Philip K. Dick, mente creativa e visionaria dietro un numero straordinario di pietre miliari letterarie, dall’altro esce nei cinema Blade Runner di Ridley Scott. I temi, le fantasie, i suoni e le suggestioni della fantascienza prendono repentinamente vita sul grande schermo, cristallizzando quanto fino a quel momento era solamente teorizzato nelle pagine dei libri.
È in questo contesto temporale, così vibrante di idee, colori e forme, che si innesta Il Neuromante di William Gibson. Pubblicato inizialmente nel 1984 ed arrivato due anni più tardi in Italia ad opera dell’Editrice Nord, questo libro rappresenta la bibbia della fantascienza cyberpunk. Forse non la sua teorizzazione dal nulla, perché come detto molti elementi già permeavano gli ambienti cultori della fantascienza da almeno un paio di anni, ma sicuramente la delineazione formale dei caposaldi e dei confini del genere.
Il cielo sul porto era dello stesso colore di una tv sintonizzata su un canale morto.
Acclamato dalla critica ma largamente ignorato dal grande pubblico, non diversamente dallo stesso Blade Runner, Il Neuromante impiega una scrittura precisa, suggestiva, spiazzante e ricca di dettagli per dare vita ad un racconto in precario equilibrio tra la realtà e l’allucinazione.
Neuromante racconta la storia di Case, un hacker freelance al soldo del migliore offerente. Incontriamo per la prima volta questo cowboy della tastiera (o console, in inglese) nel sottobosco urbano di Chiba City, un distretto ipertecnologico situato su una sponda della baia di Tokyo.
Night City è un esperimento disturbato in darwinismo sociale condotto da uno studioso annoiato e con il dito costantemente premuto sul fast forward.
Ubriaco, forse in preda alle allucinazioni, forse in fuga da un narcotrafficante a cui deve dei soldi, Case è il tipico abitante della Notte, ossia di quella striscia di terra posizionata tra il porto e la città che tutti hanno ribattezzato Night City (nulla a che vedere con la l’omonima città del libero stato della California, in cui si svolgerà Cyberpunk 2077).
In questa landa selvaggia, popolata da criminali, mercanti e prostitute, Case sta vagando tra le cliniche nere che popolano l’oscuro circondario, alla ricerca di una neuroriparazione per il proprio sistema nervoso. Questi macabri centri di neurochirurgia avanzata per il potenziamento di esseri umani offrono infatti modifiche ed innesti cibernetici illegali che attraggono hacker, samurai e criminali di ogni genere dai quattro angoli del globo. Eppure, nonostante il libro narri di una tecnologia onnipotente, capace di trasformare un essere umano in una macchina organico-sintetica dalle capacità sovraumane, nessuno ha una cura per Case.
Il cyberspazio è un’allucinazione consensuale, condivisa ogni giorno da miliardi di legittimi utilizzatori.
Iniettato con della micotossina da parte di ex-datori di lavoro ai quali aveva cercato di rubare il bottino di un colpo, egli presenta una menomazione nervosa che non gli consente più di connettere la sua mente alla rete globale, anche chiamata cyberspazio.
Case passa il suo tempo in attesa che la sua spirale autodistruttiva, fatta di droga ed alcool e nessun futuro (ricordate no future scribacchiato su una porta all’inizio del trailer di Cyberpunk 2077), si porti a compimento, poiché un hacker esiste veramente solo quando è nel cyberspazio dove la mente, liberata dalla carne, vaga tra costellazioni di dati e si infiltra nei sistemi firewall eretti a protezioni delle informazioni preziose. In tal senso, la rete è una terra di scontro fra le grandi corporazioni ed i ribelli che si oppongono al monopolio: la guerra si combatte a colpi di tecnologia sofisticatissima. Il Neuromante racconta di intelligenze artificiali spesso dalle sembianze umane, come ad esempio l’oscuro Armitage il quale assolda Case in cambio della neuroriparazione di cui ha bisogno, che perseguono scopi misteriosi, scolpiti nei loro circuiti da parte di programmatori ignoti dei quali si sono perse le tracce. Le persone al potere sono figure kafkiane ed irraggiungibili che, grazie al progresso, hanno la capacità di assumere contorni divini ed immortali: criogenesi, clonazione o addirittura la facoltà di incapsulare la coscienza di una persona in un’intelligenza artificiale giustificano la presenza di una vita dopo la morte, senza scomodare mai argomenti religiosi. La tecnologia è la religione.
In tal senso, si percepisce la fascinazione per il potenziale dell’avanzamento scientifico che si respirava ad inizio degli anni ’80, quando internet iniziava a prendere piede, seppur in ambienti ristretti. È curioso notare tuttavia come questa infatuazione abbia prodotto delle proiezioni fittizie del futuro in cui non vi è felicità. Il mondo cyberpunk è un’odissea triste per tutti i suoi protagonisti: un panorama in cui pochissimi, ignoti potenti alla guida di conglomerati industriali monopolizzanti confinano la moltitudine ad esistenze grigie ed in cui la tecnologia, per quanto onnipotente, non gioca in favore della persona, bensì la soverchia e se ne affranca.
Andando dunque al nocciolo, allo stretto essenziale, cosa è la fantascienza cyberpunk nella sua accezione originale? Dividiamo la parola in “Cyber”, come cibernetico, e “punk”.
La prima parola è multidisciplinare, tuttavia in questo caso si riferisce al campo delle neuroscienze e, in particolare, alla possibilità di integrare di impianti sintetici su tessuto organico. Altrettanto importante è la facoltà che deriva da questi potenziamenti di separare la mente dal resto del corpo (talvolta anche unendo l’esperienza sensoriale di due persone tramite la tecnica del simstimdescritta da Gibson, con cui Case riesce a vedere attraverso gli occhi di qualcun’altro).
I “punk” sono gli antieroi protagonisti di queste storie: i cowboy della console che cavalcano il cyberspazio, sprezzanti dei pericoli. Senza uno scopo ben preciso, né un futuro possibile, tuttavia, queste figure affascinanti ma tragiche esistono solo nel momento presente, illuminate dalle luci al neon.
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